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di Paolino Canzoneri
Il pubblico ministero Nino Di Matteo, con il massimo dei voti, passa alla Superprocura Nazionale Antimafia come vincitore di concorso e presto si trasferirà a Roma. Stessa promozione per i PM Maria Cristina Palaia, Francesco Polino e Barbara Sargenti. Una promozione e un trasferimento che consentirà comunque a Nino Di Matteo di proseguire il processo e dibattimento sulla trattativa Stato-Mafia; egli stesso ha commentato: "Io stesso ho chiesto al procuratore di Palermo e al procuratore nazionale antimafia l'applicazione per potere finire il processo sulla trattativa e anche qualche indagine collegata ala trattativa Stato-mafia, perché reputo questo un dovere. Io sono stato quello, con il dottor Ingroia che ha iniziato le indagini. Con i colleghi Tartaglia, Teresi e Del Bene abbiamo affrontato un percorso difficile, irto di ostacoli anche strumentalmente posti lungo il nostro cammino. Reputo doveroso tentare di concludere il mio sforzo. La mia non è una fuga, ma una scelta per potere continuare a occuparmi di mafia". Di fatto erano cinque i posti disponibili adesso occupati dai vincitori del concorso. Restano esclusi l'ex PM di Caltanissetta Luca Tescaroli che indagò sulla strage di Capaci e su Mafia Capitale; Alfonso Sabella e Teresa Principato che occuperà incarico di "sovrannumero" come procuratore aggiunto di Palermo che le spetta per l'aver superato gli otto anni di permanenza nell'incarico nel capoluogo siciliano.
Una disposizione e un quadro deciso dal capo della DNA Franco Lo Voi che insieme al procuratore nazionale antimafia Franco Roberti deciderà sull'applicazione di tale quadro investigativo al processo sulla Trattativa Stato-Mafia la cui conclusione sembra prevista per il 2018. Riguardo il suo impegno nella Capitale che sarà operativo fra circa due mesi, Di Matteo stesso ha chiarito: "Di cosa mi occuperò a Roma lo deciderà il procuratore nazionale antimafia. La mia esperienza è maturata in Sicilia, sulle indagini e sui processi sulle stragi, sulle cosche siciliane e sui rapporti di Cosa nostra con la politica e le istituzioni. Spero che la mia esperienza possa essere utile anche al nuovo ufficio". Sulla promozione il commento di Nino Di Matteo è chiaro: "Veti istituzionali impedirono la mia nomina. La mia scelta non è quella di una resa. Ho fatto la domanda per andare alla Procura nazionale antimafia per cercare di continuare a dare un contributo nella lotta a Cosa nostra. Non è facile dopo 25 anni di impegno, con tutti i miei limiti, molto gravoso e totalizzante nelle DDA di Caltanissetta e Palermo, lasciare la Sicilia. La mia è stata una scelta dovuta alla consapevolezza che per continuare, in questo momento, ad impegnarmi nella lotta alla mafia dovevo cambiare ruolo e ufficio".
Due anni orsono la sua candidatura venne bocciata e ricorse al Tar del Lazio ma lo stesso Di Matteo visse la vicenda come una sorta di "mortificazione ingiusta": "A prescindere dal valore altissimo dei colleghi che mi sono stati preferiti in altre circostanze resto convinto che in passato ci sia stato anche qualche veto, qualche pregiudizio. Probabilmente è accaduto che qualche alto esponente istituzionale abbia posto dei veti o abbia pressato perchè la mia domanda non fosse accolta. Questo è quello che penso: mi auguro che non sia accaduto, ma ho qualche elemento per ritenere che possa essere accaduto". Tracciando un profilo storico di Nino Di Matteo si evidenzia facilmente lo spessore e l'alta professionalità che lo ha sempre contraddistinto sin dai tempi della collaborazione dell'ex collega Antonio Ingroia nelle complesse indagini che portarono al processo per la mancata cattura del boss allora latitante Bernando Provenzano nel lontano 1995; come non ricordare pochi anni prima quando Di Matteo stesso aveva messo a processo l'ex presidente della Regione Totò Cuffaro per i rapporti con cosa nostra. Nel 2013 il boss Totò Riina fu intercettato mentre parlava dal carcere a Milano-Opera di un possibile attentato a Di Matteo mentre nel 2014 il pentito Vito Galatolo rivelò che l'attentato era stato progettato dal superlatitante Matteo Messina Danaro, rivelazione ritenuta attendibile e che da quel momento pose il pm sotto la massima protezione con scorta e accompagnati da un dispositivo dla nome "bomb jammer" che neutralizza qualsiasi funzionamento di telecomandi nei percorsi blindati del PM.
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