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di Giuseppe Girardi
ANGUILLARA SABAZIA (RM) – Anguillara ha vissuto il periodo più buio degli ultimi decenni; è, fra le città del lago e dell’intero comprensorio, quella che ha subito un continuo regresso: sul piano economico, ma ancor più su quello della coesione sociale, della consapevolezza di essere comunità, della vita di donne e uomini che si sentano cittadini ed elemento cardine della “cosa pubblica”.
E’ calata a livelli
preoccupanti la fiducia nelle Istituzioni per responsabilità ingiustificabile
di una “classe politica” locale che ha mostrato, seppure con rarissime
eccezioni, una plateale assenza di cultura politica ed una disarmante
inadeguatezza: sono cresciuti a dismisura lotte intestine fra gruppi e
gruppetti di potere, personalismi “paesani” intorno a vecchi e nuovi “capibastone”,
è mancata clamorosamente la esplicitazione di una qualsivoglia visione sul
futuro di Anguillara.
E’
una regressione che ha interessato in maniera particolarmente evidente quelli
che hanno governato la città negli ultimi 4 anni: si erano affermati come una
possibile soluzione alla stagnazione politica e morale di Anguillara,
passeranno alla storia come esempio fulgido del più clamoroso e fulmineo auto-trasformismo,
un misto di ignoranza cosmica e saccenza senza limiti che li ha fatti
sprofondare, portandoci tutti con un piede nel baratro.
Non
ci meritiamo tutto questo. Anguillara non è diversa dal resto d’Italia: ci sono
tante forze vive, tante risorse culturali; di una cultura non costruita sui
banchi di scuola o dell’università, ma cresciuta nella vita quotidiana di
comitati e associazioni di vario tipo che costituiscono una ricchezza enorme di
capacità, fantasia, entusiasmo, altruismo, senso civico, attenzione ai bisogni
veri delle persone.
Occorre dare spazio a queste
realtà, abbattere i muri costruiti per contenere tutto ciò che si muoveva al di
fuori dei partiti: è una occasione unica per Anguillara, e una vera opportunità
per quei partiti, ormai ridotti all’ombra di quello che furono i loro antenati
o loro stessi, per tornare a svolgere la funzione – fondamentale – loro assegna
dalla Costituzione.
Vale per tutti, destra e
sinistra, centro destra e centro sinistra: sono loro che devono riorganizzare
due campi larghi che si confrontino su programmi chiari incarnati da persone credibili.
Non
vogliamo più vedere libri dei sogni, un elenco di tutto ciò che può essere
immaginato: questa è demagogia, populismo, presa in giro.
Un programma è fatto di una
“visione”, cioè della esplicitazione dell’idea di società che si ha: sullo
sviluppo economico, su come si intende la sostenibilità (che non è ambientale,
o economica, o sociale: e tutt’e tre insieme; altrimenti ha un altro nome), sui
beni comuni, sulla solidarietà, sulla accoglienza, sulla formazione scolastica,
sulla cultura, sullo sport (che dovrebbe essere
parte integrante del bagaglio culturale di ciascuno di noi), sui servizi
essenziali (sanità, acqua, rifiuti, ..) e sulle modalità della loro gestione
(pubblica? privata? mista?), sulla intera organizzazione della città, sul ruolo
all’interno di Roma metropolitana.
Ma occorre accanto alla
“visione” indicare il “percorso”, le tappe intermedie, gli obiettivi concreti
con i tempi di realizzazione, le risorse – ripeto, le risorse: senza ambiguità
e senza aggettivi e avverbi tipici della genericità populistica.
E’ difficile?
Si, specialmente nelle disastrose condizioni attuali.
Per
questo serve una sorte di “amministrazione di unità comunale”? Assolutamente
No.
Serve, questo si, un grande
spirito di lealtà e rispetto, l’impegno di tutti a collaborare nel nuovo
Consiglio comunale in un rapporto chiaro fra maggioranza e opposizione,
garantendo che il confronto si sviluppi sul merito delle questioni e non si
traduca nella continuazione della campagna elettorale e nella contrapposizione
“per principio” fra schieramenti diversi.
E il M5S? Se presenterà una sua
lista, auguri! Decideranno cosa fare al secondo turno.
Non servono due “listone civiche con tutti dentro, perché tanto
le differenza fra destra e sinistra non esistono più”: le differenze
esistono eccome su alcune questioni essenziali, anche se a livello locale
decisamente meno, e verranno fuori su gran parte dei temi programmatici che
ricordavo prima.
E per
il “campo della sinistra e del centro sinistra“? Serve il modello emiliano;
certo, c’è una profonda differenza: lì c’era un presidente uscente autorevole e
apprezzato, qui no; lì c’è una diversa cultura politica ed una vita sociale
molto avanzate, come la generale qualità della vita, qui no.
Se saremo, tutti, capaci di
ispirarci a quel metodo, abbattere muri, abbandonare personalismi e
ideologismi, guardare all’essenzialità’, allora possiamo farcela. Ma dobbiamo
farlo in fretta.
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