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VELLETRI (RM) – Erano ubicate all’interno di dimore signorili situate ai Castelli Romani le due case di riposo abusive individuate dai Finanzieri del Comando Provinciale di Roma nel corso di indagini coordinate dalla Procura della Repubblica di Velletri.
A gestirle due donne (M.E. di 53 anni e D.S. di 67 anni) – con
precedenti per fatti analoghi – unitamente alla figlia della seconda, C.F. di
43 anni, tutte denunciate all’Autorità Giudiziaria per maltrattamenti e
violazioni alla normativa sanitaria.
Le Fiamme Gialle della Compagnia di Frascati, prima di accedere nei
due ospizi, hanno dovuto monitorare a lungo i due luoghi, protetti da imponenti
recinzioni che impedivano la vista dall’esterno.
Al momento dell’ingresso all’interno della struttura di Velletri,
priva di qualsivoglia autorizzazione amministrativa e sanitaria, i militari
hanno trovato tre anziani in precarie condizioni di assistenza, mentre
nell’appartamento di Albano Laziale, in pessime condizioni igienico-sanitarie, erano
ospitate sette persone in età avanzata, una delle quali in un locale interrato,
umido e privo di finestre. La situazione non era molto migliore per gli altri
sei ospiti, le cui camere, sprovviste di riscaldamento, erano coperte di muffa.
Una donna prossima ai cento anni e non autosufficiente, dopo una visita medica
da parte del personale del 118 intervenuto sul posto su richiesta dei Finanzieri,
è stata trasportata in un vicino ospedale per essere sottoposta ad accertamenti.
Nelle due case di riposo sono stati rinvenuti medicinali scaduti, alimenti
privi di tracciabilità ed avariati, nonché personale non qualificato per la
somministrazione dei farmaci previsti dai piani terapeutici rilasciati dai
medici di famiglia.
L’incasso delle due strutture, stando alla documentazione rinvenuta
e alle dichiarazioni rilasciate dai parenti degli ospiti, si aggirava per
ciascuna su circa 100 mila euro l’anno.
All’esito delle indagini i volumi d’affari generati saranno
segnalati all’Agenzia delle Entrate, essendo le rispettive attività sconosciute
al Fisco e responsabili altresì di aver impiegato manodopera “in nero”.
L’operazione rientra
nel più ampio dispositivo di contrasto della Guardia di Finanza all’“economia
sommersa” e di tutela delle fasce più deboli della cittadinanza.
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