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Editoriali

Ce lo dice l’Europa e… “ho detto tutto!”

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Quante volte si è sentito rispondere alle domande dei cittadini “ce lo dice l’Europa”. Ognuno avrà da raccontare la propria storia citando un caso specifico. Quanti avranno capito cosa abbia detto precisamente l’Europa con quel detto?Certamente pochi sono rimasti soddisfatti dalle risposte ricevute.

Noi abbiamo aggiunto “…e ho detto tutto”. Famosa frase recitata dal grande Peppino De Filippo nell’immortale film “Totò, Peppino e la malafemmina” che poi nel film segue l’altrettanto famosa risposta stizzosa di Totò, al fratello Peppino: “ … ma che dici co st’ho detto tutto che non dici mai niente”. Queste due frasi tratte dal film dei “fratelli” Totò/Peppino chiariscono meglio di qualsiasi altra cosa il contenuto ed il messaggio che si vuole trasmettere con questo scritto.

Una plastica dimostrazione

Una plastica dimostrazione di quello che si sta dicendo la offre la Regione Siciliana. Il 15 gennaio scorso l’Ispettorato centrale per la qualità e la repressione delle frodi agroalimentari della sede distaccata di Catania e del Corpo forestale , ha svolto un controllo presso un’azienda importatrice di prodotti ortofrutticoli di Siracusa. Durante il controllo sono stati sequestrati oltre ventimila chili di limoni varietà Meyer di provenienza Turca. Gli agrumi sequestrati non presentavano le caratteristiche idonee all’immissione al consumo, come stabilito dalla normativa comunitaria prevista dal regolamento Ue.

Facciamo un passo indietro. A Siracusa si producono tra i migliori limoni del mondo. Il paradosso è che nei mercati locali ci si smercia quelli esteri. Perché può accadere questo, domandano tanti. Ma è facile spiegarlo. Perché ce lo dice l’Europa.

Alea iacta est – Prodi e la resa di Roma all’euro

Il dado fu tratto precisamente il 1 gennaio 2002 quando Prodi sbagliò barattando il cambio lira/euro e Berlusconi non aveva vigilato sui prezzi.
Per poter partecipare alla nuova valuta, gli stati membri avrebbero dovuto rispettare, fra l’altro, un deficit pari o inferiore al 3% del prodotto interno lordo e un rapporto debito/PIL inferiore al 60%. L’Italia non era certo in grado di rispettare quei parametri, sta di fatto che qualcuno avendo truccato i conti fece sì che la lira passasse il Rubicone dell’euro. Mentre sei paesi membri di questa Europa, aderendo, scelsero di mantenere la convertibilità fra la vecchia valuta e l’euro, l’Italia, più realista del re, la convertibilità la effettuò subito. La vicina Spagna fu più prudente, prese tempo, volendo sondare, analizzare e solamente dopo decise che le sue banconote e monete potessero comunque essere cambiate in euro presso il Banco de España fino al 31 dicembre 2020, privilegio non concesso alla lira. Forse è bene ricordarlo che il marco tedesco non “scade”, come non hanno nessuna scadenza le valute dell’Austria, Irlanda, Lettonia, Estonia e Lussemburgo. Se allora, a Prodi fosse stato chiesto il perché la Bundesbank non aveva smesso di accettare il cambio del vecchio conio e, a differenza di quanto accade con la lira, può essere ancora scambiato gratuitamente senza limiti di tempo, senza alcun dubbio avrebbe risposto : perché ce lo chiede l’Europa. Per capire le origini delle difficoltà che incontra oggi l’Italia con l’Europa attuale, cerchez Romano Prodi, e ho detto tutto!

In Italia l’evento euro – i suoi vizi e le sue virtù

Quante discussioni e dibattiti accesi intorno al tema “povertà percepita e povertà reale.” Fior fiore di analisti, economisti e sociologi dibattono per ore e ore. Per esempio il ben noto Guido Carli e la sua opinione sulla moneta unica : “I vizi italiani si superano importando le virtù dell’Europa”. Come controcanto si citano i dati ufficiali tra il 1999 e il 2009 per l’andamento dei prezzi dei nostri manufatti in confronto a quelli prodotti nel resto d’Europa evidenziando un aumento del 7,5% contro un aumento del 5% in Francia e zero in Germania. Ad osannare l’evento euro non poteva naturalmente mancare Mario Draghi che, secondo il suo autorevole parere “grazie alla moneta unica siamo più forti, perché uniti”. Lascio a chi legge valutare quanto siamo più forti e più uniti. Ci sono quelli del politically correct. Questi non contraddicono alcuno ma si fanno sentire e dicono cose a sproposito. Per esempio dicono che non sono cambiati più di tanto i prezzi di beni più costosi, come le macchine. Per capirci, il prezzo della Bmw non è raddoppiato di colpo.

Contenti? Le fasce deboli e “l’ambaradan” dei prezzi di consumo

Per dirla con Totò, è la somma che fa il totale. Il pensiero comune è: con un milione di lire ( euro 500 ca.) prima si riusciva a fare la bella vita, ora con 1000 euro non si arriva a fine mese.

Altro che il raddoppio del prezzo della BMW!

Un quadro approssimativo dell’impoverimento della busta paga, che poi non ha subito alcun adeguamento all’euro, lo forniscono i dati Istat, registrando che la variazione dei prezzi al consumo tra il 31 dicembre 1998, quando venne introdotto il cambio, e il 2002 – anno in cui l’Euro sostituì effettivamente la Lira – ha superato di poco il 10 per cento. Uno studio fatto da Luca Piana e pubblicato su L’Espresso indicava valori di ben altro tenore. Nel periodo a cavallo tra il periodo 2001/2014 molti articoli di largo consumo hanno subito impennate intorno al 42%. Il pane, per esempio, si è visto aumentare del 43% al kg, gli spaghetti aumentati del 42% al kg, il cappuccino più cornetto si è visto lievitare con un aumento del 45%, il parrucchiere- messa in piega è schizzato con un aumento del 67%, un lavaggio di un paio di pantaloni in lavanderia è aumentato del 68% e via dicendo. Solo la busta paga è rimasta fedele ai valori di sempre, faticando di reggere il peso degli aumenti che secondo uno studio dell’Osservatorio sui Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica di Milano di allora, nel 2002, anno della conversione dalla Lira all’Euro, i prezzi sono aumentati di pochi punti percentuali ,di circa il 2,5 per cento e solo un leggero effetto è stato stimato per l’introduzione della nuova moneta comune. Come spiegare questa eterna dicotomia tra il 2,5% percepito e il 43% vissuto sulla propria pelle? Di certo non ce lo dice l’Europa. Viene in aiuto il sommo Dante al Canto XVII del Paradiso :“Tu proverai sì come sa di sale lo pane altrui, e come è duro calle lo scendere e ‘l salir per l’altrui scale“. E ho detto tutto.

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Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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