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Giornata determinante sull’omicidio di Sarah Scazzi ad Avetrana: oggi la prima sezione penale della Cassazione deciderà se confermare o meno la sentenza di condanna all'ergastolo per Sabrina Misseri e Cosima Serrano, madre e figlia, accusate di aver ucciso la quindicenne nell'agosto 2010 trovata senza vita in una cisterna in campagna nella provincia di Taranto.
Sabrina Misseri, in carcere a Taranto dal 15 ottobre del 2010, è accusata, assieme alla madre, di omicidio volontario premeditato aggravato, sequestro di persona e soppressione di cadavere: secondo l'accusa, "una la teneva, l'altra la strangolava". Sua madre è detenuta nello stesso penitenziario, dal maggio 2011.
Ben sei sono i ricorsi che la Cassazione dovrà esaminare contro la sentenza emessa dalla Corte d'assise d'appello di Taranto il 27 luglio del 2015, oltre a quelli presentati dalle difese di Cosima Serrano, di Sabrina e Michele Misseri. Quest’ultimo condannato a 8 anni di reclusione per soppressione di cadavere e inquinamento delle prove. La Corte vaglierà i ricorsi di Carmine Misseri, fratello di Michele, condannato in secondo grado a 5 anni e 11 mesi per concorso in soppressione di cadavere, di Vito Russo junior, ex legale di Sabrina Misseri, e di Giuseppe Nigro. Quest’ultimi condannati a un anno e 4 mesi per favoreggiamento personale.
Sarah Scazzi, figlia della sorella di Cosima Serrano, scomparve il 26 agosto 2010. Il giorno della scomparsa, Sarah aveva un appuntamento per andare al mare con un'amica, ma non si presentò e da lì iniziò un giallo che da subito ha assunto le sfumature di un delitto avvenuto all’interno dell’ambito familiare della ragazza.
Dopo un mese di ricerche arriva la confessione dello zio Michele: “L’ho uccisa io e ho nascosto il cadavere in un pozzo”. Dopo pochi giorni arriva la prima modifica alla versione dei fatti: Michele chiama in causa la figlia Sabrina che nei confronti della cugina Sarah aveva delle gelosie legate anche ad un amore condiviso e forse conteso.
Michele Misseri, nel corso del processo, è più volte tornato ad autoaccusarsi, ma la sua marcia indietro è stata letta dagli inquirenti come un tentativo di sollevare moglie e figlia da una pesante condanna all’ergastolo. Condanna che poi è arrivata nei confronti delle due donne sia dalla Corte d'assise di Taranto che dalla Corte d'assise d'appello, nonostante Sabrina e Cosima si siano sempre proclamate innocenti.
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