Connect with us

Editoriali

Buona scuola, Conservatori di musica: il girone dei condannati al precariato

Clicca e condividi l'articolo

Tempo di lettura 7 minuti Dopo la caduta di Renzi, un nuovo Presidente del Consiglio, un nuovo Ministro dell’Università e Ricerca e un nulla di fatto per le molte voci e istanze provenienti dal mondo della scuola

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 7 minuti
image_pdfimage_print

 

di Roberto Ragone

 

Tutto il mondo invidia la nostra storia, i nostri monumenti, le nostre vestigia gloriose. Ma di questo, noi Italiani, che ci viviamo dentro, non ci rendiamo conto finchè non andiamo all'estero, dove, per esempio, in America, a Washington, una tavolo fiorentino del '500 in noce massello è esposto al Metropolitan Museum: da noi, lo troviamo in vendita presso qualche buon antiquario. Pare che le stime globali calcolino che circa il 60/80 percento delle opere d'arte del mondo sia in Italia. Ormai saturi gli spazi museali, il più di tele, sculture, eccetera, trova posto nei sotterranei, nelle cantine dei nostri musei. Insomma, di cultura e di arte l'italiano medio ne ha fin sopra i capelli, a quanto pare. Analogamente a quanto succede per la buona musica. E fin qui sarebbe nulla. Il guaio è che la politica – per non dire 'i politici' – seguono quest'ultima corrente. Sempre pronti a sponsorizzare personaggi da piazza del Popolo o piazza San Giovanni, come gli ultimi più celebrati rapper, stanno letteralmente distruggendo la struttura della musica classica, chiudendo le orchestre sinfoniche, o provocandone la chiusura con l'interruzione di erogazione di fondi; chiudendo, o trasformandone la vera natura, i conservatori di musica, oggi affidati in toto ad un esercito di insegnanti precari, riconfermati anno per anno, senza prospettiva di una pensione adeguata, senza scatti di anzianità, senza una sicurezza lavorativa, insomma precari a vita, fino all'età della pensione.

Di questa situazione abbiamo già scritto,
con il supporto del maestro Carlo Pari, che, da musicista, s'è dovuto trasformare in consulente legale, politico e sindacalista della categoria, riuscendo a portare in sede politica le varie questioni che concernono lui e i suoi colleghi.
In realtà, la deprecarizzazione sarebbe un diritto già acquisito, se non fosse che nella stanza dei bottoni le istruzioni pare siano diverse, e le cose vengono tirate per le lunghe, invece di trovare una soluzione che doverosamente metta fine a queste situazioni 'all'italiana' decisamente inique, visto che le coperture finanziarie sono già presenti e disponibili.

Un'ultima nota polemica:
è vergognoso che proprio coloro a cui viene demandata la tutela dei nostri patrimoni culturali – e qui ci mettiamo a buon dovere tutta la tradizione musicale italiana – non siano in grado, non solo, di adempiere al loro compito, ma che li disprezzino, nei fatti se non nelle parole.

Un esempio per tutti: oggi un insegnante di Conservatorio, precario, dopo aver conseguito titoli di studio anche di alta specializzazione – al termine dei dieci anni di studio – e dopo essere bene o male entrato in graduatoria, dopo aver conseguito titoli didattici ed artistici (pubblicazioni, concerti e insegnamento), guadagna poco più di un bidello di scuola media. Dopo la caduta di Renzi, un nuovo Presidente del Consiglio, un nuovo Ministro dell’Università e Ricerca e un nulla di fatto per le molte voci e istanze provenienti dal mondo della scuola dell’università e ricerca e AFAM.


A distanza di qualche mese siamo ad intervistare nuovamente il Prof. Carlo Pari che si occupa in prima persona della questione Conservatori per fare il punto, un bilancio, di questo travagliato biennio 2015-2016 per il mondo della conoscenza.

Maestro, un nulla di fatto quindi. Siete stati così tanto vicini ad una risoluzione della vostra condizione lavorativa con la legge di stabilità, poi la crisi del Governo Renzi, un nuovo Ministro, nuovi interlocutori, eccoci punto e a capo insomma. Tanto lavoro per nulla?

Tanto lavoro per nulla proprio non direi. Guardi, non credo ci sia mai stata una tale convergenza politica sulla questione del precariato nell’AFAM – Alta Formazione Artistica, Musicale e Coreutica Ndr. – come quella manifestatasi nella fase pre-referendaria e questo è indubbiamente merito di un importante e costante lavoro da parte degli addetti al settore, primi su tutti, i precari. Tutto il mondo politico si è stretto, con ragione aggiungo, attorno alla questione del precariato storico nell’AFAM, con particolare riferimento alle Graduatorie Nazionali ex lege 128 del 2013, con una attenzione e volontà mai manifestata prima. Certo non bisogna mai abbassare la guardia, ma io credo che la strada per le graduatorie nazionali 128 sia oramai segnata. Si tratta ora di tempo e di trovare lo strumento normativo, ma dopo che la netta decisione politica di trasformare ad esaurimento le stesse, in analogia con quanto precedentemente avvenuto per le simmetriche e gemelle Graduatorie Nazionali ex lege 143 si sia già concretizzata in ben due proposte, governative e ministeriali, nonché nei diversi emendamenti alla legge di stabilità, atti che hanno avuto l’ampio sostegno di tutte le forze politiche, vedo ora molto difficile si possa tornare indietro da questa impostazione.

 

Non ha paura quindi che siano state solo tante promesse da parte del Governo per ricucire quel lacerato rapporto con il mondo della scuola all’unico scopo di portare a casa il si al referendum?
Il quadro generale va visto nell’insieme. Il referendum da lei citato, è stato senz’altro un fattore di convergenza influente, ma vi sono altri aspetti non di minore importanza come il possibile impatto economico dovuto ai recenti sviluppi giurisprudenziali sulla annosa questione in materia di contratto a termine per violazione di norme comunitarie.

Ci dica qualcosa in più.
Il discorso è tecnico. La recente sentenza Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, del 7 novembre del 2016, n. 22552, ha infatti ricostruito in via interpretativa la disciplina applicabile in caso di reiterazione dei contratti a termine a seguito della declaratoria di illegittimità dell’art. 4, commi 1 e 11 della legge 124 del 1999 ad opera della sentenza della Corte Costituzionale, n. 187 del 2016. In appoggio alla legge della scuola la Suprema corte afferma quindi che, il rinnovo dei contratti a termine, per la copertura di posti vacanti in “organico di diritto”, entro un termine massimo di 36 mesi, va ritenuto giustificato, mentre solo il superamento del suddetto limite costituisce abusiva reiterazione dei contratti a tempo determinato da parte della pubblica amministrazione. “La Buona Scuola” tuttavia, non ha secondo la Suprema Corte eliminato gli illeciti costituiti dalla reiterazione di contratti a termine per il solo fatto di aver previsto procedimenti di stabilizzazione, in quanto, solo la concreta utilizzazione di tali procedimenti da parte del docente è idonea ad evitare l’abuso e a costituire una misura risarcitoria. L’ astratta chance di stabilizzazione infatti, sebbene sia idonea a cancellare l’illecito sul piano comunitario, non costituisce, per il diritto interno, misura idonea a sanzionare l’abuso e a fungere da misura risarcitoria in forma specifica a favore del personale scolastico, in quanto connotata da evidente aleatorietà. In particolare conclude la Corte e qui sta il succo, la misura della stabilizzazione è idonea misura risarcitoria in forma specifica nel seguenti tre casi:
a) Nel caso di concreta assegnazione del posto di ruolo.
b) Nella ipotesi della certezza di fruire, in tempi certi e ravvicinati, di un accesso privilegiato al pubblico impiego, nel tempo compreso fino al totale scorrimento delle graduatorie ad esaurimento, secondo quanto previsto dal comma 109 dell’art. 1 della legge n. 107/15;
c) Nella stabilizzazione assicurata ai docenti attraverso precedenti strumenti concorsuali o selettivi diversi da quelli contenuti nella citata legge 107/2015.
Solo al di fuori di queste ipotesi il docente ha diritto al solo risarcimento del danno, nel rispetto dei criteri di quantificazione affermati dalla stessa Corte di Cassazione nella sentenza, pronunciata dalle Sezioni Unite, 15 marzo 2016, n. 5072, la quale individua, quale parametro normativo, l’art. 32, comma 5, della legge 4 novembre 2010, n. 183.

Quindi lei sta dicendo in sostanza che i precari transitati in ruolo o inclusi nelle GAE non avrebbero diritto a nessun risarcimento del danno per gli anni di precariato subiti?

Esattamente. La Cassazione Lavoro, rispondeva proprio a quei precari che erano già transitati in ruolo con “La Buona Scuola” del governo Renzi e chiedevano ora a fronte dei numerosi anni di precariato il risarcimento dei danni, dicendo loro che non avevano diritto a niente poiché essi erano già stati risarciti con la loro stessa assunzione. Si è in sostanza fatto passare l’assunzione, che era una legittima aspettativa, come sanzione anti-abusiva, annullando così di fatto la sanzione stessa. Però vede, i continui tentativi della magistratura di “arginare i danni” in un momento così delicato di recessione del nostro paese fanno si che “preclusione” diventi paradossalmente “soluzione”. Va da se infatti che ora il Ministero abbia tutto l’interesse ad esaurire le graduatorie nazionali, viso che anche in uno stato di pre-ruolo il personale incluso non ha più diritto al risarcimento dei danni.

Però la Legge della scuola ha previsto dei fondi per risarcire la violazione dei 36 mesi, o sbaglio?
No, non sbaglia, è corretto. Ma se i risarcimenti sono troppi, la situazione può diventare incontenibile. Pensi solo che da uno studio che abbiamo commissionato ad un consulente del lavoro, è emerso che risarcire i 1200 precari inclusi in 128 costerebbe, secondo i parametri stabiliti dalla Cassazione a SSUU, più di dieci milioni di euro, mentre stabilizzarli nulla per il primo anno e dal secondo circa 3 milioni per la ricostruzione di carriera.

Lei ritiene che si debba puntare solo sul fattore economico quindi come fattore deterrente?
No, non solo. Solo sull’art. 19 della legge n. 128 del 2013 sono stati sollevati ben due pregiudizi di legittimità costituzionale in violazione degli artt. 3 e 117 della carta fondamentale. Il primo dei due quesiti, mira proprio a stabilire se l’art. 19 della Legge 128, con cui di fatto si è applicato un diverso trattamento al personale dello stesso settore nella risoluzione asimmetrica delle due graduatorie nazionali 143/128 sia compatibile con all’art. 3 della costituzione. Il secondo quesito invece si interroga sul rapporto dell’art. 19 con il diritto dell’Unione Europea. Vede quando lo Stato emana una legge, tale legge non può sottrarsi ai parametri di diritto comunitario. Posto che l’Italia ha recepito la normativa europea con il numero dei rinnovi possibili (fino a 36 mesi) occorre chiedersi se una legge che prevede che del personale con tre anni accademici di servizio e il superamento di un concorso selettivo venga incluso in apposite graduatorie nazionali utili solo al tempo determinato sia compatibile con il diritto dell’unione e quindi per analogia se compatibile con l’art. 117 della carta fondamentale.  Infatti il personale in oggetto andrebbe assunto, o eventualmente, licenziato e risarcito. Certamente non può essere incluso in apposite graduatorie nazionali per essere utilizzato nuovamente a tempo determinato.

Lei è convinto che il Ministero e la politica siano a conoscenza di questi aspetti più legali che non di merito?

Come dicevo, c’è in essere una concomitanza di fattori. Il MIUR è certamente consapevole delle cause collettive ed individuali del precariato. Anche gli atti giudiziari di tutela hanno indubbiamente influito. L’aspetto della asimmetria nella risoluzione delle due graduatorie nazionali è stato inequivocabilmente evidenziato all’atto della presentazione del d.p.r. Poi intendiamoci, alcuni precari da 128 sono andati in pensione, altri ci andranno presto. È anche una questione di buon senso. Ma cosa si deve aspettare? Sono piccoli numeri. Parliamo di poche centinaia di docenti che vengono già utilizzati da anni e che sono necessari. Sono già previsti in partita di spesa. Non parliamo di chissà quale aggravio. Il MIUR e la politica, hanno infatti sempre precisato che risolvere il precariato nell’AFAM non è una questione di spesa o di bilancio visto l’esiguo impegno economico.            

Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 2 minuti
image_pdfimage_print


Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

Continua a leggere

Editoriali

La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 2 minuti
image_pdfimage_print


La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

Continua a leggere

Editoriali

Un anno senza Silvio Berlusconi

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura < 1 minuto
image_pdfimage_print

Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

Continua a leggere

SEGUI SU Facebook

I più letti