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Ferrovia Roma Viterbo, boom di presenze al sit-in dei Pendolari. La Regione “scarica” Atac

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Tempo di lettura 8 minuti Il maltempo non ha fermato la manifestazione dei pendolari delle ferrovie concesse

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Il maltempo non ha fermato il sit-in di protesta dei pendolari delle ferrovie concesse in affidamento all’Atac di sabato mattina in Piazza del Popolo, luogo simbolo della rivoluzione romana di un tempo, ai piedi del Pincio e ai due passi della stazione di testa della ferrovia Roma-Viterbo. Striscioni, fischietti e cartelli in pugno, qualche ombrello e tanta rabbia. “La manifestazione nasce”, esordisce Fabrizio Bonanni del Comitato Pendolari RomaNord, “per dimostrare con tutte le forze i nostri disagi”.

Duecento persone, forse più, assiepati sotto l’obelisco Flaminio. Perentori i messaggi, “la ferrovia RomaNord è un diritto” oppure “chiudere la ferrovia ghettizza il territorio”, riferito, esplicitamente, alla minaccia di ANSF contenuta nella nota del 14 ottobre scorso, inviata sia all’Atac che alla Regione Lazio. Motivo centrale dell’evento, che è riuscito, grande merito, a unire le diverse identità associative, sindacali e, soprattutto, politiche, in supporto di una linea che, malgrado le difficoltà, ricopre ancora un ruolo determinante nella mobilità.   

Parterre folto di ospiti, dal sindaco di Sant’Oreste Valentina Pini, che sulle criticità della ferrovia ha istituito una commissione speciale, al Presidente del Municipio XV Stefano Simonelli, dal Segretario Regionale SLM Fast-Confsal Renzo Coppini al sindacalista Cgil Giulio De Angelis. Inoltre c’erano gli esponenti del Comitato Roma-Lido,dell’ORT – Osservatorio Regionale sui Trasporti, tra cui Roberto Donzelli dell’UTP Roma e dell’Associazione TrasportiAmo che, insieme a Odissea Quotidiana, avevano aderito all’iniziativa. Infine, dato tutt’altro che trascurabile, numerosi cittadini, i veri protagonisti.

Fabrizio Bonanni

“La manifestazione ha avuto un buon riscontro”, riprende Bonanni, “oltre ogni aspettativa. Ringraziamo tutti”.  Poi entra nel merito e la questione si fa seria. “Stiamo subendo da diversi mesi disservizi giornalieri a causa principalmente dell’inefficienza della Regione di Atac. Ai disagi cronici si sono aggiunti quelli derivati dalle direttive ANSF, subentrata all’USTIF in luglio, le quali hanno imposto severe mitigazioni all’esercizio per il mancato adeguamento dell’infrastruttura e costretto l’azienda a costruire un nuovo orario generale, entrato in vigore a settembre. Che contempla un numero di treni extraurbani decisamente inferiori rispetto all’orario passato, che sono stati sostituiti da bus navette, e non rispecchia le reali esigenze dei nostri territori. La tratta Catalano-Viterbo è pressoché isolata. La situazione è diventata insostenibile, anche perché manca il personale e il materiale rotabile, e quello esistente sta soffrendo l’usura. Vogliamo certezze, basta chiacchiere”. Ma davvero si rischia la chiusura? “Non è una nostra opinione o una provocazione”, risponde, “lo ha scritto a chiari lettere l’Agenzia nella nota del 14 ottobre, in quanto ha rilevato delle incongruenze nelle mitigazioni adottate da Atac”.

Nella famigerata nota, infatti, il direttore dell’Agenzia, l’ing. Marco D’Onofrio, sottolineava che “se non vengono comunicati, entro i tempi indicati”, ossia quindici giorni, “gli elementi richiesti, questa Agenzia non avrà elementi per poter ritenere presenti le condizioni per l’effettuazione in sicurezza di servizi di trasporto ferroviario e pertanto tali servizi non potranno essere proseguiti”. Una bordata micidiale in poche parole, divenuta oggetto di interrogazione parlamentare urgente presentata dal deputato Mauro Rotelli (FdI) e discussa alla Camera venerdì scorso, 15 novembre. “Atac con le note del 5 e dell’11 novembre e regione Lazio, con nota del 30 ottobre”, ha spiegato il sottosegretario ai trasporti sen. Salvatore Margiotta, “hanno riscontrato tale richiesta inviando nuovi elementi di propria competenza, ora al vaglio dell’ANSF”. “Parlare di misure mitigative per il recupero di una tratta ferroviaria fondamentale come la Roma Nord suona come una presa in giro per tutti i pendolari che, recandosi a Roma per studio o lavoro, subiscono ogni giorno un vero e proprio calvario caratterizzato da ritardi, cancellazioni delle corse, convogli superaffollati”, ha risposto Rotelli nella replica. Una “Situazione”, ha poi aggiunto, “ulteriormente peggiorata dall’entrata in vigore del nuovo orario che ha comportato una riduzione progressiva delle corse ed una contemporanea sostituzione con bus urbani. La tratta extraurbana si può considerare quasi completamente chiusa e ciò ha comportato un ripristino dell’uso dell’autovetture, con le inevitabili ripercussioni sul traffico di Roma e sull’inquinamento atmosferico. Una ferrovia, insomma, pressoché paleolitica con gravi problemi di sicurezza, per la quale da decenni si promettono lavori di ristrutturazione in realtà mai partiti. Non si deve perdere non una corsa, ma nemmeno un metro di ferrovie nel Lazio, chi pensa di poterle lentamente depotenziare fino a chiuderle si dovrà assumere tutte le responsabilità”.

La manifestazione di sabato è stata anche utile per riportare all’attenzione dell’opinione pubblica la vicenda della signora Maria Cristina Abballe e di suo figlio Alessandro, disabile, che aspetta gli interventi alla stazione di Rignano Flaminio. “La signora ha dovuto intraprendere, a sue spese, due cause”, rimarca Bonanni, sventolando un pannello sul quale campeggiano le immagini dell’articolo proprio de Osservatorio d’Italia, “la Regione è stata condanna in primo e secondo per la presenza delle barriere architettoniche, un problema questo che riguarda molte persone nelle condizioni di Cristina e che deve essere ancora risolto”.

La Sindaca Pini

“Rilanciamo la campagna ‘chiacchiere zero’, la politica a tutti i livelli cercasse di associarsi a questo slogan e riuscisse, in controtendenza, a fare meno chiacchiere e più fatti”, è il monito della sindaca Pini, “quello della RomaNord è un disagio avvertito in tutti i territori attraversati dalla ferrovia, e i cittadini cerano di rappresentarlo. La nostra Amministrazione continuerà a seguire con la dovuta attenzione questa vicenda, suggerendo alla Regione possibili soluzioni per contenere le criticità, rimanendo al fianco dei pendolari in queste fase quanto mai difficile”. Il Presidente del Municipio XV Simonelli “apprezza molto la linea di condotta, oltremodo capillare, del Comitato, che non fa sconti a nessuno. È uno strumento considerevole”, aggiunge, “che ci permette di conoscere da vicino le problematiche dei pendolari. Nel nostro territorio insistono i nodi di scambio più importanti della tratta urbana, come Montebello, Prima Porta, Labaro e Saxa Rubra: e il fatto che siano adoperati sempre più spesso dall’utenza, proveniente dai Comuni limitrofi, mette in risalto che la tratta extraurbana sia meno efficiente di quella urbana. Pertanto le opere di ammodernamento e di raddoppio sono assolutamente indispensabili. In questa fase la comunicazione è fondamentale, conoscere anzitempo la data di inizio di tali opere consente la Municipio di valutare, studiare e, soprattutto, informare la cittadinanza sul piano alternativo alla mobilità”. “Sovente le decisioni vengono prese”, commenta il consigliere comunale di Rignano Stefano Pucci (Pd), “da persone che non fruiscono della ferrovia. Nella manifestazione ho constato l’assenza dei rappresentanti locali, a parte Sant’Oreste, i quali sembrano più interessati a pubblicare le loro foto delle riunioni con l’assessore Mauro Alessandri. Confido su quanto emerso sabato che conferma le scelte della Regione. Il nostro gruppo ha da tempo attivato”, conclude, “un tavolo civico finalizzato a proporre soluzioni che riguardano sia ferrovia quanto i collegamenti di trasporto pubblico nell’area comunale”.

Il Segretario Coppini

Il Segretario Renzo Coppini (SLM Fast-Confsal Lazio) rileva che è “fondamentale avvicinare, in questo processo di rilancio, lavoratori e pendolari. Siamo consapevoli delle problematiche, e proprio per questo invitiamo gli utenti a non accanirsi contro il personale, il quale riceve ordini dall’alto. Questa settimana chiederemo nel dettaglio la documentazione inerente ai lavori di riqualificazione e chiederemo altresì, attraverso la Segreteria Nazionale, un incontro con ANSF. Noi ci mettiamo a vostra disposizione”. Mentre Roberto Spigai del Comitato Pendolari Roma-Lido spiega: “Stesso ente pubblico proprietario, Regione Lazio, stessa società che ‘gestisce’ un perenne ‘disservizio’ sulle nostre tre ferrovie concesse, stessa presenza parolaia del Comune di Roma, assolutamente interessato a non interessarsi delle scelte fatte dalla sua società Atac SpA e stesso modo di ‘lavarsi le mani’ da parte degli enti di prossimità, Municipio o Comune sulla RomaNord, che in campagna elettorale promettono di affrontare qualsiasi tipo di problema, salvo scoprirsi, a insediamento avvenuto, incompetenti legalmente a tutto, anche a rappresentare i disagi e i problemi dei loro territori. Disagi che son simili o eguali, e tutto questo da anni: non è più solo oggetto di critica e denuncia”.

“Il problema della RomaNord non riguarda solo gli abitanti di Labaro, di Morlupo o di Vignanello”, rincara Andrea Ricci de l’Osservatorio Regionale sui trasporti, “è un problema di tutti noi; non solo perché si tratta di un bene pubblico ma perché in questa Regione non si può perdere neanche un metro di ferro, già ne abbiamo persi troppi quando eravamo molti di meno. Siamo convinti della buona fede della Regione e del suo cambio di rotta, ma essa va nutrita dalla visibilità dei cittadini. La partecipazione certo appassionata e sofferta ma anche propositiva di tanti cittadini dimostra che ascoltando per tempo, prima che i giochi siano chiusi, e comunicando con precisione non solo alle istituzioni ma anche ai comitati ed alle popolazioni in genere, con puntualità ed onestà, le situazioni e le cause dei ritardi non solo si possono fare passi avanti nella soluzione dei problemi, ma anche far crescere un consumerismo maturo che è una garanzia di progresso sociale oltreché di crescita efficace del sistema dei trasporti e non solo”. Del medesimo tenore l’associazione TrasportiAmo: “la Viterbo ha una valenza anche turistica, senza passato non c’è futuro. Presenteremo il nostro progetto, relativo alla valorizzazione storica, ai nuovi gestori ferroviari e ai Comuni, con la speranza che stavolta vada a buon fine. Potrebbe essere un volano per le economie locali”.

Nicola Passanisi

Apprezzato da tutti l’intervenuto diNicola Passanisi, assistente dell’assessore regionale ai trasporti Alessandri. Sul pastrocchio delle mitigazioni ANSF chiarisce: “Ci siamo fidati troppo dei tecnici, ma seppur in ritardo abbiamo evitato la chiusura. Noi vogliamo il potenziamento della RomaNord”. Ricorda gli sforzi della Giunta Regionale per trovare, dal 2014 in poi, le risorse economiche necessarie. Che ora sembrano arrivate. “La prima notizia è che Atac il 12 novembre ha ceduto definitivamente il ruolo di attuatore delle linee ferroviarie. Quindi i cantieri di Flaminio, Acilia Sud e Tor di Valle possono ripartire al massimo tra quindici giorni. La Regione venti giorni fa ha deliberato il passaggio [in-house, ndr] della gestione degli esercizi a Cotral, nel gennaio 2021, e della gestione delle infrastrutture all’ASTRAL, con il supporto di RFI dal prossimo gennaio, sul modello FS“. Quest’ultima avrà, fino al subentro di Cotral, anche la manutenzione ordinaria e straordinaria del materiale rotabile. “La Regione”, riprende Passanisi, “ha già messo a disposizione di ASTRAL 4 milioni di euro per il rifacimento di 4 treni fermi al deposito”. Secondo il cronoprogramma i lavori a Flaminio inizieranno a giugno prossimo e dureranno circa 6 mesi, durante i quali la ferrovia sarà attiva dalla stazione di Acqua Acetosa. Raggiungibile attraverso con un servizio bus. Ma questo è solo l’inizio. “In seguito partiranno i lavori per la messa in sicurezza dell’intera linea e per il raddoppio. Tempo stimato 24 mesi”.

“Ringraziamo Passanisi di aver partecipato”, afferma Bonanni, “si è preso l’impegno di aprire un confronto con il Comitato Pendolari finalizzato a trovare soluzioni per evitare la chiusura della ferrovia durante i lavori a Flaminio. Ha dichiarato altresì che l’orario ferroviario sarà integrato anche secondo le indicazione racchiuse nella proposta d’orario presentata in sinergia con TrasportiAmo, che saranno presentate al tavolo dell’11 dicembre. Restiamo in attesa. Quella della Regione è stata un’apertura positiva, questo è vero, ma noi continueremo la battaglia con la tenacia e determinazione di sempre”. “Bene l’apertura da parte della Regione”, dicono dall’Associazione, “ma vogliamo vederla alla prova dei fatti. Siamo pronti fin da subito a dare un contributo per approfondire tale questione e risolvere anche la querelle sollevata con una petizione dai genitori e studenti dell’istituto agrario F.lli Agosti di Bagnoregio. Che rischia la chiusura a causa dei buchi presenti nell’orario Atac”.

I fari si spostano a sabato prossimo, 23 novembre, in programma l’assemblea pubblica indetta dal Comitato Pendolari Roma-Lido presso il Parco Vittime del Femminicidio (angolo via C. Casini – Dragona) ore 9.30. Invece, giovedì 21, è convocata la commissione regionale ai trasporti (ore 10), presieduta dal consigliere Eugenio Patanè, proprio in merito alle problematiche della Lido, tra i quali i cantieri di Acilia Sud e la ristrutturazione della fermata Tor di Valle.

Editoriali

Oriana Fallaci: Il coraggio della verità

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Scusaci Oriana,
non ti abbiamo proprio capito.

Non solo ci avevi messi in guardia ma avevi lasciato che quello che tu chiamavi “alieno che vive in me” ti divorasse perché ritenevi più importante educarci alla riscossa dell’Occidente che salvare la tua vita.

Dopo quasi 20 anni dalla tua scomparsa– te ne andasti via in silenzio quel 15 settembre 2006 – siamo ancora con quell’estremismo islamico mascherato da buonismo che si insinua nel nostro pianeta con la rapidità di un virus al quale non siamo un grado di porre rimedio o, meglio, non vogliamo porre rimedio.

Le tue parole, i tuoi gesti, anche estremi, il chador buttato a terra – cencio da medioevo -, non hanno fatto presa.

Purtroppo un ecumenismo buonista ci copre gli occhi.

Gli Stati Uniti, un tempo custodi di un ordine mondiale democratico, si inginocchiano per l’ennesima volta di fronte alle guerriglie talebane divenendo, ancora una volta, artefici di confusione e non di libertà.

Le donne afgane tornano ad essere al pari di animali da riproduzione e nessuna voce si scaglia più contro questa ignominia.

Il sangue di giovani soldati occidentali sparso sulla terra non grida solo giustizia ma verità e rispetto per la loro missione di democrazia.

Il sangue di troppe giovani vittime colpevoli solo di vivere “nella parte sbagliata del mondo” muoiono sotto “bombe intelligenti” che dimostrano, sempre di più, la “stupidità del genere umano”.

Senza dimenticare la continua corsa ad un riarmo che in apparenza vuole imporre la pace ma poi diventa solo “fabbrica di morti”.

Scusami se mi rivolgo a te solo oggi.

Ma sento attorno a me il silenzio della rassegnazione di un mondo prono alla violenza.
Sento l’ipocrisia di chi vorrebbe un mondo organizzato dall’alto con scelte di chi, nel mondo, ormai non vive più perché abituato alle mollezze di un cultura che vuole essere solo di morte e non più di vita.

Oggi saresti stata l’emblema vivente di una riscossa necessaria ad un mondo senza più attributi né coraggio.

Saresti quel punto di riferimento di chi, come me e tanti altri, crede ancora nella possibilità che questo martoriato mondo possa tornare ad essere luogo di pace, di rispetto reciproco, luogo in cui le “libertà individuali” possano divenire valore aggiunto.

Ma, purtroppo, non ci sei più e sentiamo terribilmente la tua mancanza.
Ci manchi, mi manchi!

15 settembre 2006 – 15 settembre 2024

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Editoriali

Omosessualità, il caso del Vescovo Reina e le ombre sulla formazione nei seminari

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L’inchiesta sul Vescovo Reina getta luce su presunte problematiche all’interno della Chiesa, alimentando il dibattito sulla formazione dei sacerdoti e il trattamento dell’omosessualità nei seminari cattolici

L’omosessualità, la maturità umana e i requisiti per il sacerdozio sono temi centrali di un dibattito che negli ultimi anni ha assunto una dimensione sempre più rilevante all’interno della Chiesa Cattolica.

Questo approfondimento de L’Osservatore d’Italia intende analizzare il contesto che coinvolge il Vescovo Baldo Reina, ex rettore del seminario di Agrigento, accusato di aver adottato pratiche discutibili nella formazione dei seminaristi, in particolare riguardo ai candidati con tendenze omosessuali.

La vicenda è stata approfondita in una recente inchiesta giornalistica, che solleva interrogativi sulle dinamiche di discernimento, il rispetto dei “fori” interno ed esterno e la condotta morale all’interno dei seminari cattolici.

La formazione nei seminari: un quadro confuso

Un primo elemento critico è la mancanza di un progetto formativo univoco che regoli la formazione dei seminaristi in modo uniforme in tutta la Chiesa cattolica.
I seminari, infatti, seguono orientamenti e approcci diversi, il che complica il processo di valutazione dei candidati al sacerdozio. In questo contesto, emergono problematiche legate alla gestione delle tendenze omosessuali e al modo in cui queste vengono affrontate durante la formazione.

La Chiesa Cattolica ha stabilito una distinzione tra due concetti fondamentali nella gestione della formazione: il foro interno e il foro esterno. Il primo riguarda l’intimità spirituale e personale del candidato, tutelato dal sigillo sacramentale e gestito da padri spirituali e confessori. Il secondo concerne la dimensione pubblica e formativa del seminarista, supervisionata da rettori e insegnanti. Tuttavia, il confine tra questi due “fori” non sempre viene rispettato, come dimostrato nel caso del seminario di Agrigento.

Tanto si potrebbe scrivere sulle origini e sviluppo della coscienza ecclesiale di questi due “fori” ma prendiamo un intervento di Papa Francesco che vale a spiegare bene in cosa consista: «E vorrei aggiungere – fuori testo – una parola sul termine “foro interno”. Questa non è un’espressione a vanvera: è detta sul serio! Foro interno è foro interno e non può uscire all’esterno. E questo lo dico perché mi sono accorto che in alcuni gruppi nella Chiesa, gli incaricati, i superiori – diciamo così – mescolano le due cose e prendono dal foro interno per le decisioni in quello all’esterno, e viceversa. Per favore, questo è peccato! È un peccato contro la dignità della persona che si fida del sacerdote, manifesta la propria realtà per chiedere il perdono, e poi la si usa per sistemare le cose di un gruppo o di un movimento, forse – non so, invento –, forse persino di una nuova congregazione, non so. Ma foro interno è foro interno. È una cosa sacra. Questo volevo dirlo, perché sono preoccupato di questo». (Papa Francesco – Presentazione della nota sull’importanza del Foro Interno e l’inviolabilità del sigillo sacramentale, 29 giugno 2019.)

La nota sull’intervento, ovviamente, ci aiuta a capire dalle stesse parole di Papa Francesco l’importanza e la serietà con cui vengono visti i due “fori”, specialmente quello interno.

Il caso di Agrigento: “Libertà” o pressioni?

Nel seminario di Agrigento, sotto la direzione di Baldo Reina, un giovane seminarista con tendenze omosessuali è stato inviato a seguire un percorso noto come “Verdad y Libertad”, un programma di guarigione dall’omosessualità, ampiamente criticato e condannato sia dalla comunità scientifica che dalla Chiesa stessa.

La decisione di sottoporre il giovane a questo programma, che ha provocato disorientamento e danni psicologici, è stata presa nel foro esterno, sotto la supervisione di Reina quando era rettore del seminario di Agrigento.

Questo solleva questioni etiche e pastorali, poiché la proposta di partecipare a tali programmi dovrebbe avvenire con il consenso del seminarista, che però si è trovato di fronte a pressioni implicite per conformarsi.

L’elemento più inquietante è l’assenza di separazione tra foro interno ed esterno: il seminarista, che si è confidato spiritualmente, è stato poi giudicato e obbligato a seguire un percorso di “cura” che violava i principi di riservatezza e rispetto del foro interno. Questo modus operandi è stato fortemente criticato, poiché ha sovrapposto il giudizio spirituale a quello formativo, con effetti devastanti sulla persona coinvolta.

Le critiche a Reina: Un giudice unico?

Reina ha agito come giudice unico nel caso del seminarista, dimostrando una gestione della formazione caratterizzata da un’autorità indiscutibile e da un’interpretazione rigida delle norme. L’inchiesta pubblicata su “Domani” evidenzia come il percorso imposto al giovane seminarista non solo mancasse di fondamento medico e psicologico, ma fosse anche moralmente discutibile. Le pratiche proposte dal programma “Verdad y Libertad” sono state condannate in vari paesi, compresa la Spagna, e ritenute contrarie agli insegnamenti della Chiesa stessa (QUI L’ARTICOLO DEL QUOTIDIANO DOMANI).

Un clima di tensione nella Diocesi di Roma

La nomina di Baldo Reina come vescovo ausiliare di Roma ha sollevato preoccupazioni anche per la gestione della Diocesi di Roma, in particolare per quanto riguarda la gestione del patrimonio immobiliare e le dinamiche interne al Vicariato. La presenza di figure discusse, come Don Renato Tarantelli Baccari, ex avvocato diventato sacerdote, e Mons. Michele Di Tolve, ex rettore del seminario lombardo, ha creato un clima di sfiducia e tensione tra i sacerdoti romani. La mancanza di trasparenza e il rischio di favoritismi hanno alimentato il malcontento.

Il caso del Vescovo Reina solleva questioni profonde su come la Chiesa Cattolica gestisce la formazione dei futuri sacerdoti, soprattutto quando si tratta di tematiche delicate come l’omosessualità. L’assenza di un progetto formativo chiaro e la mancata distinzione tra foro interno ed esterno espongono i candidati a pressioni psicologiche e morali che possono compromettere il loro percorso. La Chiesa dovrà riflettere su questi episodi per garantire un ambiente di formazione più rispettoso e trasparente, evitando che si ripetano errori simili.

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Cronaca

Renato Vallanzasca: L’ex boss della Comasina lascia il carcere dopo 52 anni. Dal mito criminale all’oblio di una RSA

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Affetto da gravi problemi cognitivi, l’ex criminale viene trasferito in una struttura per malati di Alzheimer. Ma il suo passato di violenza e crimini non verrà dimenticato

Dopo oltre mezzo secolo dietro le sbarre, Renato Vallanzasca, un nome che ha segnato la storia della criminalità italiana, lascia il carcere. L’ex capo della famigerata “banda della Comasina” ha ricevuto il differimento della pena per motivi di salute: a 74 anni, Vallanzasca è affetto da una grave forma di decadimento cognitivo che lo rende incompatibile con il regime carcerario. Il tribunale di Sorveglianza di Milano ha accolto la richiesta dei suoi legali, supportata anche dalla Procura generale, di trasferirlo in una RSA per malati di Alzheimer e demenza.

Il mito oscuro di Vallanzasca

Renato Vallanzasca non è un nome qualunque. Negli anni ’70 e ’80, la sua “banda della Comasina” terrorizzava l’Italia con una serie di crimini violenti: rapine, sequestri di persona, omicidi ed evasioni. Nato a Milano nel 1950, Vallanzasca crebbe nel quartiere popolare della Comasina, dove ben presto intraprese una carriera criminale che lo avrebbe reso celebre. Insieme ai suoi complici, organizzò rapine spettacolari, mostrando una spregiudicatezza e una violenza che lo resero uno dei criminali più temuti del Paese.

Negli anni, Vallanzasca divenne una figura quasi leggendaria: un bandito che sfidava apertamente le forze dell’ordine, riuscendo a evadere più volte dal carcere. Il suo fascino, costruito su un mix di audacia e ribellione, lo rese celebre non solo tra i criminali, ma anche in certi settori della società civile, che lo vedevano come un simbolo di resistenza all’autorità.

L’arresto e i processi

Dopo anni di crimini e inseguimenti, Vallanzasca fu arrestato definitivamente nel 1977. Il processo che ne seguì fu lungo e complesso, con testimonianze che svelarono la rete di crimini e connivenze che avevano permesso alla sua banda di prosperare. Condannato a quattro ergastoli per omicidi, rapine e sequestri, Vallanzasca è rimasto in carcere per oltre 50 anni, senza mai beneficiare di una riduzione della pena.

Il declino e la decisione del tribunale

Nel corso degli anni, l’ex boss ha visto il suo stato di salute peggiorare drasticamente. Affetto da Alzheimer e ormai incapace di badare a sé stesso, Vallanzasca è stato descritto dai medici come “disorientato nel tempo e nello spazio” e “incapace di esprimere con il linguaggio ciò che pensa”. Questa grave forma di decadimento cognitivo ha spinto i suoi legali a chiedere il differimento della pena, ritenendo il carcere ormai incompatibile con le sue condizioni di salute. La richiesta è stata accolta dal tribunale di Sorveglianza di Milano, che ha disposto il trasferimento di Vallanzasca in una RSA nella provincia di Padova, dove sarà sottoposto a un regime di detenzione domiciliare.

Un epilogo controverso

Il trasferimento di Vallanzasca in una struttura assistenziale segna l’epilogo di una storia criminale che ha lasciato cicatrici profonde nella società italiana. Nonostante il deterioramento delle sue condizioni di salute, il nome di Vallanzasca rimane legato a un passato di violenza e paura. La sua storia, che in passato aveva affascinato il pubblico per la sua audacia, oggi si conclude con l’immagine di un uomo fragile, incapace di riconoscere il mondo che lo circonda. Ma il ricordo dei suoi crimini, delle vittime e della sua sfida alle istituzioni resterà indelebile nella memoria collettiva.

Il trasferimento in RSA, previsto nei prossimi giorni, segna un momento storico: la fine della detenzione di uno dei più noti e controversi criminali italiani. Tuttavia, le cicatrici lasciate dai suoi crimini sono destinate a rimanere.

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