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Cronaca

Polizia penitenziaria, si deve indossare una divisa o un camice bianco?

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Una situazione che appare come disperata quella dei poliziotti penitenziari che si trovano a gestire i detenuti delle varie carceri sparse sul territorio nazionale. Poliziotti che secondo i dati aggiornati a ottobre del 2018 risultano essere sotto organico di 4.661 unità: 35.599 uomini in forza anziché i 40.260 previsti.

Un contesto organico che a settembre 2019, sempre secondo i dati, risulta peggiorato di altre 993 unità presentando dunque conto di 5.654 agenti in meno rispetto quelli previsti.
I detenuti, sempre al 30 settembre 2019, risultano invece in esubero di ben 10.409 persone, ben 60.881 ospiti dei vari istituti penitenziari, di cui un terzo rappresentato da stranieri (20.225), rispetto i 50.472 della capienza regolamentare.

E se da una parte si assiste a una crescita esponenziale degli ospiti penitenziari, con un costo giornaliero per lo Stato di circa 140 euro per persona, dall’altra, anziché assistere a un rafforzamento relativo l’organico di polizia penitenziaria, si assiste addirittura ad un depotenziamento di organico.

Garantire la sicurezza in questi luoghi, per questi poliziotti è divenuto ormai un compito arduo

Ogni giorno gli agenti si recano sul proprio posto di lavoro consapevoli degli innumerevoli rischi che corrono, da quelli di carattere sanitario dovuti al rischio di contrarre patologie infettive non disponendo, tra l’altro, di strumenti protettivi come guanti o mascherine, a quelli di doversi trovare a fronteggiare situazioni come quelle di intervenire su detenuti che aggrediscono il personale. Fenomeno quest’ultimo che ultimamente sta aumentando di giorno in giorno.

A titolo di esempio, di situazioni giornaliere da gestire, che potrebbero degenerare in peggio, quello dei controlli alle celle che i poliziotti devono fare quotidianamente, controlli per i quali i detenuti vengono invitati a uscire dalle camere per permettere agli agenti di svolgere il loro compito istituzionale. Succede che, nel caso di detenuti di religione islamica, questi controlli possano capitare mentre pregano e a nulla valgono le richieste e gli inviti a uscire dalla cella che restano ignorati per proseguire nella preghiera.
Una fra le tante situazioni giornaliere a rischio che devono affrontare i poliziotti penitenziari, decidendo all’istante su come è meglio comportarsi, non potendo contare su specifici protocolli, al fine di evitare il degenerarsi di situazioni di pericolo.

E ancora, sempre a titolo di esempio, capita che uno o più detenuti non si ritengano soddisfatti del menù giornaliero evidenziando quindi un atteggiamento di insoddisfazione e a volte di protesta. Atteggiamenti che devono essere gestiti da questi servitori dello Stato, sempre di iniziativa, al fine di smorzare immediatamente qualsiasi focolaio che possa originare episodi di pericolo. E riguardo i pasti l’amministrazione penitenziaria garantisce menu’ personalizzati a seconda dei “gusti” dei vari detenuti. E così gli ospiti di quelle che una volta venivano definite come patrie galere oggi possono contare sul menu’ vegetariano o quello per i musulmani. Ci sono i pasti in bianco e quelli per diabetici. Sembra quasi quasi l’offerta in volo delle compagnie aeree. Nello storico carcere romano di Regina Coeli è stata addirittura stilata, con la collaborazione di alcuni nutrizionisti, una lunga e dettagliata lista di differenti menu che copre le varie esigenze degli oltre 700 detenuti.

Poliziotti penitenziari abbandonati dalla politica

“La politica si sta occupando dei detenuti ma non credo assolutamente che si stia occupando della polizia penitenziaria”. Queste le parole del presidente del Sindacato di Polizia Penitenziaria – SIPPE – Alessandro De Pasquale che accende ancora una volta i fari sulle numerose criticità che devono affrontare quotidianamente gli appartenenti al corpo della Polizia Penitenziaria. Lavoratori che quotidianamente devono garantire la sicurezza all’interno degli istituti penitenziari e che si trovano a dover gestire delle situazioni, per le quali non è previsto nessun protocollo e che potrebbero rivelarsi pericolose per questi uomini.

“Quando c’era la possibilità di trasformare in reato l’introduzione di cellulari all’interno degli istituti penitenziari – ha detto De Pasquale – qualcuno che ricopre lo scranno più alto della Camera dei Deputati – il riferimento è indirizzato al pentastellato Roberto Fico Ndr. – ha probabilmente ritenuto, ma questo non lo dico io ma lo ha detto il sottosegretario Morrone in commissione Giustizia qualche giorno fa, dove pare che sia stato ritenuto inammissibile, perché il provvedimento doveva essere inserito nel decreto sicurezza bis. Quindi che succede oggi? L’introduzione di un cellulare all’interno degli istituti penitenziari è considerata una cosa normale? Ma noi sappiamo – prosegue De Pasquale – quanto sia grave introdurre all’interno di un carcere dei cellulari, perché la malavita, la mafia, può relazionarsi con l’esterno e comandare il territorio. E allora vogliamo mettere mano alla sicurezza del nostro Paese? Vogliamo spiegare all’attuale politica di sinistra che in questo momento storico c’è un problema di sicurezza? La nostra organizzazione sindacale – prosegue ancora De Pasquale – è apartitica e apolitica, però possiamo dire tranquillamente che quando c’è stata la Lega al governo noi abbiamo immaginato un futuro diverso per le forze di polizia. Noi siamo servitori dello Stato – conclude il presidente del SIPPE – ma non siamo i servi dello Stato.”

I suicidi in carcere

Una situazione, quella degli istituti penitenziari che assiste anche al tragico fenomeno dei suicidi con una media nazionale di quattro/cinque suicidi su base mensile.

Nel 2018 ci sono stati 64 casi di suicidio, in crescita rispetto al 2017, quando erano stati 50, e sono stati quasi mille i tentativi di suicidio sventati dai poliziotti, cioè, per ogni suicidio messo in atto, ce ne sono almeno 25 tentati. Dal 2000 a oggi, i suicidi nelle prigioni italiane sono stati più di mille, mentre i morti in totale sono stati quasi tremila.
Ma anche suicidi che avvengono tra il personale che lavora in carcere. Nella Polizia Penitenziaria il fenomeno dei suicidi registra percentuali preoccupanti e mediamente ogni anno si suicidano sette poliziotti penitenziari.

“Prendiamo come esempio il carcere di Velletri, una realtà che rispecchia quello che succede in tutti gli altri istituti penitenziari” A parlare è Carmine Olanda Segretario Generale del SIPPE che presta servizio nel carcere castellano. Olanda spiega che la struttura ospita regolarmente 411 detenuti divisi in due padiglioni: quello nuovo e quello vecchio e che attualmente i detenuti sono 588, ben 177 ospiti in più di quelli previsti contro un personale di polizia penitenziaria che dovrebbe essere di 277 unità mentre al momento ne risultano 209, quindi un sotto organico di 68 poliziotti. Una situazione, spiega il Segretario Generale del sindacato di Polizia Penitenziaria che comporta più stress, più turni di lavoro e che assiste anche alla carenza di figure professionali, come nel caso degli educatori che a Velletri sono 3 anziché i 7 previsti con la conseguenza che se un detenuto fa una richiesta specifica, in assenza di uno specialista, a rispondere al detenuto sarà il poliziotto penitenziario.

L’appello alle Istituzioni

“Ministro è giunta l’ora che lei ci dica che ruolo deve avere la Polizia Penitenziaria negli istituti penitenziari: se deve indossare una divisa o un camice bianco” Con queste parole il Segretario Generale del SIPPE ha inteso rivolgere un appello al Ministro della Giustizia.

Alessandro De Pasquale ricorda infine che non si parla mai delle continue aggressioni giornaliere ai poliziotti penitenziari. “Questo è il vero dramma. – ha detto il Presidente del SIPPE – E allora – ha proseguito De Pasquale – la politica come ha voluto introdurre il reato di tortura verso i detenuti, inasprisca le pene nei confronti di quei soggetti che creano disagio psico fisico agli uomini delle forze di polizia. Perché gli uomini e le donne delle forze di polizia subiscono aggressioni continuamente. Allora caro legislatore è arrivato il momento che tu valuti attentamente cosa realmente vuoi dalle forze di polizia. Io dico – ha concluso il Presidente del SIPPE – che occorre sicurezza. E la sicurezza è un bene comune, è un bene bipartisan.” .

CLICCARE SULLA FOTO PER GUARDARE IL VIDEO

Alessandro De Pasquale (Presidente Nazionale del Sindacato Polizia Penitenziaria – Sippe) e Carmine Olanda (Segretario Generale – Sippe) ospiti a Officina Stampa del 17/10/2019 dove hanno parlato delle condizioni in cui si trovano a lavorare gli agenti di Polizia Penitenziaria

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In Italia primi casi di puntura letale: sono i “parenti” della Dengue

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Un virus d’importazione, “parente” della Dengue e del West Nile, della famiglia delle arbovirosi che è già stato diagnosticato in Italia, intorno alla metà di luglio, nel laboratorio dedicato alle Bioemergenze dell’ospedale Sacco di Milano in due pazienti arrivati dal Brasile e da Cuba, e anche in Veneto, al Dipartimento di Malattie Infettive, Tropicali e Microbiologia dell‘Irccs Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (Verona), sempre in una paziente con una storia recente di viaggi nella regione tropicale caraibica. In tutto, i casi diagnosticati finora in Italia sono stati quattro. L’infezione provoca febbre molto alta, dolori articolari e muscolari e rash cutaneo e si trasmette all’uomo attraverso le punture di moscerini o di zanzare, principale vettore (la zanzara Culicoides paraensis) è attualmente presente solo in Sud e Centro Americhe e non è presente in Europa e ad oggi non esistono prove di trasmissione interumana del virus Oropouche.

Il segretariato di Bahia riferisce che i pazienti deceduti a causa della febbre Oropuche avevano sintomi come febbre, mal di testa, dolore retro-orbitale(nella parte più profonda dell’occhio), mialgia (dolore muscolare), nausea, vomito, diarrea, dolore agli arti inferiori e debolezza. In entrambi i casi, poi, i sintomi si sono evoluti con segni più gravi come macchie rosse e viola sul corpo, sanguinamento, sonnolenza e vomito con ipotensione, gravi emorragie e un brusco calo dell’emoglobina e delle piastrine nel sangue.

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Aggredito giornalista de “La Stampa”: l’ennesimo attacco alla libertá di stampa

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Parto da un fatto semplice, apparentemente banale, ma che dovrebbe, condizionale d’obbligo, far riflettere tutti: la violenza va condannata senza se e senza ma.
E quando la violenza parte da un presupposto di odio da parte di un gruppo la condanna deve essere fatta ancora con più forza e con più decisione.
E va fatta con ancora più veemenza quando l’aggressione viene rivolta a chi, da sempre, è in prima linea per consentire ad un paese democratico che verità ed informazione possano essere sempre un connubio di libertà: un collega giornalista.
L’ aggressione ai danni di Andrea Joly, giornalista de La Stampa di Torino, è l’ennesima dimostrazione di come l’odio troppo spesso popoli il nostro paese. Dietro di esso si nasconde il tentativo forte di delegittimare una categoria, quella dei giornalisti, da sempre coscienza libera in quanto lettori attenti ed obiettivi della realtà.
Diventa necessaria, quindi, una levata di scudi dell’intera classe politica nazionale per ristabilire un argine di rispetto e di sicurezza che eviti i troppi tentativi di bavaglio che violano il principio, sancito dalla nostra Carta Costituzionale, della libertà di stampa.
Scriveva Thomas Jefferson:
“Quando la stampa è libera e ogni uomo è in grado di leggere, tutto è sicuro”.
Mai parole sono state così attuali.

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Crollo della vela a Scampia, gravi due bambine

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Sono in gravissime condizioni due dei sette bimbi ricoverati all’ospedale Santobono di Napoli dopo il crollo della scorsa notte a Scampia.

Due delle sette piccole pazienti, rispettivamente di 7 e 4 anni, sono in gravissime condizioni per lesioni multiple del cranio e, attualmente, sono ricoverate in rianimazione con prognosi riservata.

Nello specifico, si legge nel bollettino dell’Ospedale Santobono, una bimba è stata sottoposta nella notte ad intervento neurochirurgo per il monitoraggio della pressione intracranica, presenta emorragia subaracnoidea, fratture della teca cranica e versa in condizioni cliniche gravissime, con prognosi riservata. L’altra, ha una frattura infossata cranica e grave edema cerebrale. È stata sottoposta ad intervento di craniectomia decompressa nella notte e impianto di sensore per il monitoraggio della pressione intracranica. Attualmente è emodinamicamente instabile e versa in condizioni cliniche gravissime con prognosi riservata. Altre tre piccole pazienti, rispettivamente di 10, 2 e 9 anni, hanno riportato lesioni ossee importanti e sono attualmente ricoverate in ortopedia. Una per un trauma maxillo facciale con grave frattura infossata della sinfisi mandibolare e con frattura di femore esposta, un’altra con frattura chiusa del terzo distale dell’omero sinistro, l’ultima con frattura dell’omero sinistro scomposta prossimale. Sono state stabilizzate e saranno sottoposte in giornata a intervento chirurgico ortopedico. Le ultime due, rispettivamente di 2 e 4 anni, hanno riportato contusioni multiple con interessamento splenico, trauma cranico non commotivo e contusioni polmonari bilaterali, ricoverate in chirurgia d’urgenza sono state stabilizzate e, al momento, non presentano indicazioni chirurgiche.

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