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Referendum, scontro e insulti Grillo-Renzi ma i cittadini ignorano "il bicameralismo paritario"

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Tempo di lettura 3 minuti A distanza i due si scherniscono e con toni un po "pecorecci" se ne dicono di tutti i colori, ignari del fatto che questi comportamenti creano distanzecon i cittadini

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di Paolino Canzoneri

 

Ai ferri corti e senza mandarla a dire, si inaspriscono i toni già forti a pochi giorni dal referendum fra il presidente del Consiglio Matteo Renzi e il leader del Movimento 5 Stelle Beppe Grippo. A distanza i due si scherniscono e con toni un po "pecorecci" se ne dicono di tutti i colori, ignari forse, del fatto che questi comportamenti creano distanze sempre più evidenti con i cittadini che da sondaggi e interviste varie ancora non hanno neanche la minima idea del significato del "bicameralismo paritario" alla base del referendum oramai quasi alle porte.

Il quadro La situazione al momento vede 704 comitati per il NO che operano sul territorio italiano e 100 formati dagli studenti e 35 comitati per il NO all'estero e le nuove scintille riguardano proprio il voto degli italiani all'estero che a conti fatti giocherà un ruolo decisivo per la vittoria del SI ma l'altra campana, quella del NO, si è detta pronta a fare ricorso e impugnare il risultato.

Il NO all'attacco Il presidente  del comitato del NO Alessandro Pace non usa mezzi termini e in un incontro con la stampa estera parla di una "riforma eversiva" in grado di mandare all'aria tutta la Carta Costituzionale: "Avremo la possibilità di effettuare reclamo all’ufficio centrale del referendum e si andrebbe davanti alla Corte Costituzionale. Il voto è personale libero e segreto ma il modo con cui si vota all'estero non dà garanzia di sicurezza. Confermando la legge Boschi avremo un’altra Costituzione, verrebbe radicalmente modificata la forma di governo. Il Senato non darà più la fiducia e sarà bloccato. L’unica camera funzionante, grazie al porcellum, esprimerebbe 340 seggi a favore della maggioranza. E ancorché al presidente del Consiglio non vengano attribuiti maggiori poteri, avremo un uomo solo al comando. I poteri sono già tanti, ma quello che succede è che non ci saranno più contropoteri».

Beppe e la Renzimania Il leader Beppe Grillo che con il suo solito "charme" che contraddistingue il suo modo di replicare ha prontamente scritto nel suo Blog: "Renzi ha una paura fottuta del voto del 4 dicembre. Si comporta come una scrofa ferita che attacca chiunque veda." Matteo Renzi incassato l'insulto  ha risposto durante la sua maratona elettorale che lo ha visto ieri a Piombino: "Loro insultano? E noi sorridiamo. Ieri c’è stata l’ennesima polemica di Grillo che ci ha detto che siamo dei serial killer, oggi quelli del No dicono che se perdono faranno ricorso. Noi non faremo ricorsi e controricorsi. La nostra reazione è calma e gesso, sorrisi e tranquillità. Tentano di buttarla in rissa  ma noi invece entriamo nel merito e faremo campagna col sorriso sulle labbra. Loro hanno paura di parlare del merito perché se si capisce che la domanda è sul rendere il Paese più semplice, non ce n’è per nessuno".

Renzi e la paura del NO Renzi a Piombino ha provato a convincere la platea dell'importanza del voto per il SI: "Nel 2013, nonostante l’appello di Giorgio Napolitano in Parlamento per le riforme, non c’era una riforma che andava avanti, io ero l’ultima spiaggia, mi hanno dato come mandato quello di fare le riforme. Io me lo immagino il presidente della Repubblica e tutti gli altri che avranno fatto un ragionamento come per dire: “giù giù, proviamo anche questo"..In questa campagna mi sto divertendo. Rischio di andar via? Sì, se devo star qui per cambiare l’Italia lavoro anche 25 ore al giorno, ma se ritornano quelli di prima a contrattare inciuci e a non cambiare il Paese vengono loro e amici come prima, io non sono di quelli aggrappati alla seggiola".

Silvio e lo "spauracchio della deriva autoritaria" Il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi pur ribadendo il suo fermo NO paventa il rischio di una deriva autoritaria e a seguito di interviste rilasciate da Fedele Confalonieri l'ex presidente del Consiglio è convinto che i vertici Mediaset voteranno SI per timori relativi a possibili ritorsioni del Governo. L'argomento non è affatto chiuso e nei prossimi giorni si assisterà a colpi e contraccolpi sempre più aspri da entrambe le parti del SI e del NO ma al momento sembra che sia più urgente una campagna televisiva informativa ancora più assidua,  efficace, chiara e semplice che spieghi alla stragrande percentuale dei cittadini che non vanno ad ascoltare i comizi di Renzi e che non si collegano con il blog di Grillo, quali sono i quesiti referendari e le conseguenze del proprio voto. 

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Editoriali

Migranti in crociera tra Italia e Albania: la politicizzazione di certe toghe e il peso sulle spalle dei contribuenti

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La lotta politica di alcuni magistrati rende inefficaci le soluzioni migratorie e spreca milioni di euro a spese dei cittadini

La recente vicenda dei migranti trasferiti dall’Italia all’Albania, e poi riportati indietro lo stesso giorno, ha sollevato un’ondata di critiche, non solo verso il governo, ma soprattutto verso alcuni magistrati, la cui politicizzazione sembra ormai sempre più evidente. Ancora una volta, i contribuenti si trovano a pagare il conto di operazioni dispendiose, mal gestite e inefficaci, mentre l’azione della magistratura, spesso influenzata da ideologie politiche, complica ulteriormente una situazione già di per sé delicata.

Il trasferimento di 12 migranti in Albania, solo per riportarli in Italia dopo poche ore, rappresenta l’ennesimo esempio di un fallimento organizzativo e gestionale, pagato interamente dai cittadini. Questa crociera inutile, spacciata come un simbolo di cooperazione internazionale, ha gettato luce sulla debolezza delle attuali politiche migratorie, ma anche sull’interferenza di alcuni settori della magistratura che, anziché facilitare la risoluzione delle questioni, sembrano perseguire agende personali e ideologiche.

Infatti, non è un mistero che una parte della magistratura italiana sembri sempre più politicizzata, influenzando le decisioni su questioni che dovrebbero restare nell’ambito della politica e dell’esecutivo. Quando si tratta di immigrazione, alcuni giudici si ergono a paladini di un’interpretazione dei diritti umani che non considera minimamente il peso che certe decisioni hanno sulla comunità nazionale e sulle risorse pubbliche. Questo approccio, spesso lontano da una visione pragmatica, rischia di vanificare gli sforzi del governo di gestire in modo ordinato e sostenibile i flussi migratori.

È evidente che un dialogo costruttivo tra esecutivo e magistratura sia sempre più difficile. L’immagine che ne emerge è quella di uno Stato in cui le istituzioni non collaborano, anzi, si ostacolano reciprocamente. Da un lato, il governo cerca di trovare soluzioni concrete – come l’accordo con l’Albania – per decongestionare i centri di accoglienza e alleggerire il peso sulle spalle dei cittadini italiani. Dall’altro, la magistratura, influenzata da una certa sinistra ideologica, interviene per bloccare o vanificare ogni tentativo di riorganizzazione.

Il risultato? Un teatro grottesco in cui i migranti vengono trattati come pedine di un gioco politico, e i contribuenti italiani sono costretti a finanziare operazioni inconcludenti. Nel caso dei 12 migranti trasferiti in Albania, il governo si è visto costretto a riportarli indietro per evitare problemi legali legati ai diritti di asilo e protezione, ma questo avvenimento mette in luce quanto il problema sia radicato: le leggi e le sentenze emanate da certi giudici rendono quasi impossibile l’attuazione di politiche migratorie efficaci.

La politicizzazione di certi magistrati è un ostacolo al funzionamento di uno Stato democratico. L’immigrazione è un tema complesso, che richiede decisioni tempestive e incisive. Tuttavia, la costante interferenza di un potere giudiziario sempre più politicizzato ostacola la possibilità di governare in modo efficace. Certi magistrati sembrano più interessati a fare opposizione politica che a garantire il rispetto della legge in modo equo e imparziale. In questo contesto, le operazioni come il trasferimento dei migranti in Albania finiscono per essere inutili teatrini, che aggiungono solo confusione e spreco di denaro pubblico.

Ma chi paga il prezzo di questa inefficienza? I cittadini, naturalmente. L’Italia è già alle prese con una pressione fiscale elevata e un debito pubblico in crescita, eppure milioni di euro vengono spesi per iniziative fallimentari come queste, mentre la magistratura blocca sistematicamente ogni tentativo di cambiamento reale. Ogni giorno che passa, appare sempre più chiaro che il vero ostacolo non è tanto la complessità della questione migratoria, quanto piuttosto la resistenza di un apparato giudiziario che si arroga il diritto di decidere ciò che è politicamente giusto o sbagliato, senza tener conto del benessere della collettività.

Alla luce di questi fatti, è lecito chiedersi: fino a quando i cittadini italiani dovranno continuare a pagare per operazioni inutili come questa “crociera dei migranti”? E quanto ancora il nostro sistema giudiziario potrà permettersi di ignorare il principio di separazione dei poteri, intervenendo su questioni che dovrebbero essere di esclusiva competenza del governo? Se non si affronta con decisione la questione della politicizzazione di certi magistrati, l’Italia continuerà a essere ostaggio di un sistema disfunzionale, in cui il bene comune viene messo da parte in nome di battaglie ideologiche.

È tempo che le istituzioni tornino a lavorare insieme, senza interferenze, per garantire una gestione responsabile delle risorse pubbliche e una soluzione concreta ai problemi del Paese. Diversamente, gli sprechi e i fallimenti continueranno a moltiplicarsi, e i cittadini, ancora una volta, saranno costretti a pagare il prezzo di un sistema che non funziona.

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Cronaca

Giudici contro Governo: bloccato il piano migranti in Albania, rimpatrio dei primi trasferiti

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Il tribunale di Roma blocca il trattenimento dei migranti in Albania, causando il ritorno in Italia e scatenando critiche feroci dall’opposizione. Il governo insiste, ma la strategia migratoria si rivela un boomerang politico ed economico

Il tentativo del governo Meloni di trasferire i migranti in Albania si è scontrato con un duro colpo giudiziario, sollevando aspre critiche da ogni parte politica. Il tribunale di Roma non ha convalidato il trattenimento di dodici migranti, trasportati presso il Centro di permanenza per il rimpatrio (CPR) di Gjader, sostenendo che Bangladesh ed Egitto, paesi d’origine dei migranti, non possono essere considerati “sicuri”. Questa decisione ha suscitato la reazione furiosa del governo e una serie di attacchi da parte dell’opposizione, evidenziando la fragilità di una strategia di gestione migratoria che si sta rivelando un boomerang politico e finanziario.

Giorgia Meloni non ha ancora rilasciato dichiarazioni ufficiali sulla recente decisione dei giudici riguardo al blocco del piano migranti in Albania. Tuttavia, fonti vicine al governo hanno fatto trapelare che la premier sarebbe profondamente insoddisfatta della sentenza, considerandola un ostacolo significativo agli sforzi del governo per gestire i flussi migratori.

Secondo quanto riferito, Meloni potrebbe ribadire nei prossimi giorni la sua determinazione nel portare avanti il piano, evidenziando la necessità di riforme che impediscano la paralisi delle politiche migratorie da parte delle decisioni giudiziarie, e sostenere la legittimità dell’accordo con l’Albania come modello di gestione per l’Unione Europea.

Un progetto “fuorilegge” e “inapplicabile”

La decisione del tribunale ha messo in evidenza le falle giuridiche del piano governativo. Come dichiarato dai giudici, il trasferimento in Albania dei migranti viola i principi del diritto internazionale e delle normative europee che garantiscono il rispetto della procedura di asilo e impediscono il trattenimento in paesi terzi considerati non sicuri. Il giudice ha inoltre confermato che il diniego della convalida per il trattenimento dei migranti è dovuto all’impossibilità di considerare sicuri i paesi d’origine, una sentenza che ha costretto il governo a rispedire i migranti in Italia, con ulteriori costi e disagi.

La reazione del governo: tra ricorsi e polemiche

Non si è fatta attendere la risposta del governo. Il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha annunciato che l’esecutivo presenterà ricorso, sostenendo che il piano in Albania è in linea con le normative internazionali. “Non ci fermeremo qui. Andremo fino in Cassazione per difendere il nostro diritto di attivare procedure accelerate”, ha dichiarato Piantedosi, sottolineando che l’iniziativa italiana sarà integrata nel diritto europeo entro il 2026. Tuttavia, nonostante l’intenzione di proseguire, il fallimento del progetto ha sollevato critiche anche all’interno della maggioranza, con la Lega e Fratelli d’Italia che hanno puntato il dito contro la magistratura, accusandola di interferire con il potere esecutivo. “I giudici pro-immigrati si candidino alle elezioni”, ha tuonato la Lega, mentre Fratelli d’Italia ha parlato di un “attacco” da parte della sinistra giudiziaria.

L’opposizione attacca: “Una truffa da milioni di euro”

Dall’opposizione, le critiche sono state feroci e trasversali. La leader del Partito Democratico, Elly Schlein, ha parlato di “danno erariale”, accusando il governo di aver sperperato centinaia di milioni di euro in un progetto che non rispetta le leggi internazionali. “Sono 800 milioni buttati, che potevano essere destinati alla sanità”, ha affermato Schlein, criticando l’esecutivo per aver sprecato risorse pubbliche. Anche il Movimento 5 Stelle ha duramente attaccato la premier Meloni, definendo il piano una “truffa” messa in piedi per mascherare l’incapacità del governo di realizzare il blocco navale promesso in campagna elettorale. “Meloni ha ingannato gli italiani, ma i giudici hanno smascherato il bluff”, hanno dichiarato i parlamentari del M5S, criticando l’inutilità dell’accordo con l’Albania.

Renzi e Fratoianni: denaro pubblico sprecato per uno spot elettorale

Anche Matteo Renzi, leader di Italia Viva, non ha risparmiato critiche al governo Meloni. “Stiamo buttando via un miliardo di euro per trasportare qualche decina di migranti avanti e indietro dall’Albania, solo per avere qualche like sui social”, ha scritto Renzi, sostenendo che l’immigrazione va gestita con pragmatismo e non con spot elettorali. Dello stesso avviso Nicola Fratoianni, leader di Sinistra Italiana, che ha chiesto che i ministri rimborsino di tasca loro le spese sostenute dallo Stato per un piano fallimentare. “Piantedosi e Meloni dovrebbero chiedere scusa e risarcire lo Stato per il denaro sprecato”, ha dichiarato Fratoianni, definendo la gestione del governo una “propaganda cinica”.

Una strategia fallita e costosa

Il piano del governo per risolvere la crisi migratoria attraverso il trasferimento in Albania si sta rivelando un costoso fallimento. Non solo la strategia ha suscitato perplessità a livello nazionale, ma anche a livello internazionale, sollevando dubbi sulla sua conformità con il diritto europeo. La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, aveva inizialmente definito l’accordo con l’Albania un “modello da seguire”, ma ora la situazione rischia di trasformarsi in un esempio di come non gestire la crisi migratoria.

La domanda che sorge spontanea è: quanto ancora il governo sarà disposto a investire in una strategia che sembra destinata a fallire? Con l’Italia alle prese con la necessità di risorse per settori come la sanità e l’istruzione, continuare a spendere ingenti somme di denaro per iniziative inefficaci rischia di erodere ulteriormente la fiducia degli italiani in un governo che aveva promesso soluzioni rapide e decisive.

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Cronaca

Sentenza Open Arms: conseguenze politiche per Salvini e la Lega in gioco

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Con l’arringa difensiva che si conclude oggi il processo si avvia alla conclusione con la richiesta di condanna a 6 anni di reclusione per il ministro accusato di sequestro di persona, mentre la PM Giorgia Righi, sotto scorta, continua a rappresentare l’accusa

Dopo settimane di tensione e insulti social, la Procura di Palermo ha deciso di assegnare una scorta alla PM Giorgia Righi, una delle magistrate coinvolte nel processo contro il ministro Matteo Salvini. La decisione arriva a seguito di minacce e attacchi online, a cui Righi è stata oggetto dopo la richiesta di condanna nei confronti del leader della Lega.

Il processo, che vede Salvini imputato di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio, è legato all’episodio del 2019, quando, durante il governo giallo-verde, il ministro dell’Interno rifiutò l’approdo alla nave Open Arms, con 147 migranti a bordo. La Procura di Palermo aveva richiesto una pena di sei anni di reclusione per Salvini, accusandolo di aver ostacolato l’ingresso dei migranti in Italia.

Il caso ha suscitato un acceso dibattito politico e giuridico, con una valanga di reazioni a favore e contro l’iniziativa giudiziaria. A pochi giorni dalla sentenza, i sostenitori di Salvini sono scesi in piazza per esprimere solidarietà al loro leader.

Giorgia Righi, che fa parte della Direzione Antimafia, era l’unica magistrata del pool accusatorio a non avere ancora una protezione, nonostante le numerose minacce ricevute. Dopo i numerosi insulti sui social e i commenti minacciosi, la Procura ha deciso di assegnarle una scorta, per garantire la sua sicurezza.

In una nota ufficiale, il procuratore capo di Palermo, Maurizio De Lucia, ha sottolineato che “le intimidazioni non sono mai giustificabili” e che le istituzioni sono chiamate a proteggere i magistrati che svolgono il loro dovere “con serietà e indipendenza”. La decisione di tutelare Righi arriva dopo un’intensa pressione mediatica e politica che ha scosso il processo e il dibattito pubblico.

Il processo prosegue con l’arringa difensiva del legale di Salvini, Giulia Bongiorno, che ha ribadito la posizione del suo assistito, accusando la ONG Open Arms di essere stata responsabile del ritardo nell’approdo, e quindi, delle difficoltà nei soccorsi. “Open Arms ha avuto innumerevoli opportunità di fare sbarcare i migranti, ma ha scelto di ‘bighellonare’, rifiutando l’approdo a diversi porti”, ha dichiarato Bongiorno. L’avvocato ha poi sostenuto che la nave avrebbe potuto dirigersi verso la Spagna, paese di bandiera, senza dover aspettare l’autorizzazione da parte delle autorità italiane.

Intanto, mentre in aula si svolgevano le udienze, in piazza Politeama, a Palermo, i sostenitori di Salvini si sono radunati per una manifestazione di solidarietà. Tra i presenti, oltre a numerosi militanti della Lega, c’erano anche i ministri Giuseppe Valditara, Roberto Calderoli e Giancarlo Giorgetti, insieme a parlamentari nazionali e regionali del partito. “Sono qui per sostenere Matteo Salvini, che ha difeso l’Italia e i suoi confini”, ha dichiarato Giorgetti, all’arrivo in piazza.

La vicenda ha trovato anche eco a livello internazionale. Il primo ministro ungherese, Viktor Orbán, ha espresso il suo sostegno a Salvini con un tweet, in cui ha scritto: “Siamo con te, amico mio! Matteo Salvini merita una medaglia per aver difeso l’Europa”. Orbán ha condiviso una foto di Salvini davanti all’aula bunker di Palermo, aggiungendo che il leader della Lega avrebbe difeso i valori e i confini dell’Europa contro l’immigrazione incontrollata.

Il sostegno da parte del governo ungherese ha sollevato polemiche, con critiche da parte delle opposizioni italiane e di alcune organizzazioni per i diritti umani, che hanno sottolineato come la questione dei migranti non riguardi solo la protezione dei confini, ma anche il rispetto dei diritti umani e dei trattati internazionali.

Con l’arringa difensiva che si conclude oggi, il processo si avvicina alla fase finale. Il giudice dovrà prendere in considerazione le argomentazioni delle parti e la richiesta della Procura, che invoca una condanna esemplare per l’ex ministro dell’Interno. Salvini, che è stato più volte al centro della politica italiana con la sua linea dura sui migranti, potrebbe affrontare una sentenza che non solo influenzerà la sua carriera politica, ma anche l’immagine della Lega, che si è schierata compatta al suo fianco.

In ogni caso, le implicazioni del processo sono destinate a rimanere al centro del dibattito politico e giuridico per settimane. L’attenzione ora è puntata sul verdetto finale e sulle possibili conseguenze politiche di un caso che ha suscitato forti reazioni e diviso il Paese.

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