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di Silvio Rossi
Uno dei mestieri a più alto tasso di precarietà oggi in Italia è fare il leader del centrodestra. Di un centrodestra unito, sostenuto dagli altri partiti della coalizione e soprattutto da Berlusconi. Il Cavaliere ha bruciato negli anni molti “delfini”. Ogni volta che qualcuno era designato come suo successore ha visto come per incanto chiudersi avanti a se le porte della carriera politica.
È accaduto a Gianfranco Fini (chi non ricorda il famoso “Che fai, mi cacci?”), forse colui che più di tutti avrebbe potuto rappresentare la prosecuzione del sogno berlusconiano, a Pierferdinando Casini, a Raffaele Fitto, a Giovanni Toti, che ha avuto almeno la consolazione della poltrona di Governatore della Liguria grazie a una scellerata politica elettorale del centrosinistra. Si sono alternati, oltre a i nomi suddetti, una schiera di possibili eredi, più o meno credibili. Ha cambiato più leader del centrodestra Berlusconi di quanti allenatori ha sostituito Maurizio Zamparini nel Palermo.
L’ultimo in ordine di tempo è stato Stefano Parisi, che dopo il lodevole e inaspettato risultato delle elezioni milanesi, dove ha tenuto testa al sindaco Beppe Sala. Un successo personale che aveva suscitato l’entusiasmo del Cavaliere, ma non dei maggiorenti del partito, che male avevano visto questo “intruso”. Anche Parisi oggi è stato “liquidato”, messo da parte, sacrificato in nome di una possibile nuova intesa con la Lega di Salvini (e di conseguenza con Fratelli d’Italia).
Questo continuo cambio di cavallo, però, nasconde quella che è la sconfitta maggiore dell’ex Presidente del Consiglio. Berlusconi ha individuato un politico che sarebbe stato in grado di prendere il suo posto senza farlo rimpiangere. Uno che ha la sua stessa capacità comunicativa, la battuta pronta, un decisionismo che lascia poco spazio ai traccheggiamenti di molti politicanti di professione. Che soprattutto, oggi che il Cavaliere ha un’età e alcuni problemini fisici che non gli permettono più l’attività a tempo pieno come avveniva fino a meno di un lustro fa, è invece nel fiore degli anni, pronto per affrontare a viso aperto ancora molte battaglie.
Il cruccio di Silvio, però, è che questo possibile delfino ha sposato lo schieramento opposto al suo, e non dimostra nessuna intenzione di cambiare casacca, né di avere nei suoi confronti quel timore reverenziale, come ha dimostrato la vicenda che ha portato all’elezione di Sergio Mattarella al Quirinale, senza il suo beneplacito, sgarbo che ha decretato la fine del Patto del Nazareno.
L’unico “figlio” che Berlusconi avrebbe volentieri riconosciuto, politicamente, è proprio colui che ha deciso di non appartenere alla sua famiglia, nonostante le lodi che l’anziano leader gli ha indirizzato, da quando Matteo Renzi ha sfidato i vertici del Partito Democratico alle primarie, fino a oggi, quando ha affermato che è “l’unico leader politico in Italia”.
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