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Editoriali

DONALD TRUMP. SARO' IL PRESIDENTE DI TUTTI GLI AMERICANI

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di Silvio Rossi

 

Il risultato ha sorpreso molti analisti di tutto il mondo. In pochi, alla vigilia delle elezioni americane avrebbero scommesso su un successo così netto di Donald Trump. Il suo carattere istrionico e decisamente sopra le righe, sommato alla sua inesperienza politica a certi livelli avrebbero fatto credere che alla fine l’ex First Lady avrebbe avuto la meglio sul magnate.
A posteriori, invece, tutti hanno cercato di dare la giusta spiegazione, hanno commentato come se il risultato fosse stato inevitabile, come se l’avessero saputo da sempre. Probabilmente da una parte è vero, la vittoria di Trump era molto più credibile di quanto i sondaggi avessero previsto. I segnali c’erano tutti, nonostante noi tutti, o quasi, li abbiamo ignorati, o abbiamo fatto finta di ignorarli perché non erano di nostro gradimento.
Come ha osservato il politologo Edward Luttwak, in un’intervista su RadioRai, la principale ragione che ha portato al successo il candidato repubblicano è l’individualismo del popolo statunitense, che ha voluto, col voto odierno, bocciare le riforme volute in questi anni da Obama: la sanità pubblica, la riforma universitaria, per contenere i costi delle rette, le leggi su immigrazione e i rapporti con Cuba, osteggiati dall’anima profonda dell’elettorato americano, che vede il resto del mondo come un’appendice fastidiosa per gli States. Luttwak ha aggiunto che un candidato repubblicano più scaltro, con lo stesso programma di Trump, avrebbe conquistato 45 stati su 50, perché la loro ricetta è ciò che gli americani vogliono.
Hillary Clinton rappresentava in questo confronto la continuità della politica di stampo keynesiano portata avanti dal presidente uscente, che se trova ai giorni nostri notevoli difficoltà in Europa, appare suicida se proposta sull’altra sponda dell’Atlantico. C’è da sommare la scarsa empatia che la candidata repubblicana suscitava nel popolo medio, la freddezza che la fece perdere otto anni fa alle primarie contro uno sconosciuto candidato di colore, e che non è riuscita a scrollarsi di dosso nonostante gli endorsement di tanti personaggi dello spettacolo, l’aiuto dei “salotti buoni”, delle multinazionali.
La vittoria di Trump è stata la sconfitta dei partiti americani. Dei repubblicani, che non l’hanno mai voluto, hanno cercato di boicottarlo durante le primarie, e non l’hanno adeguatamente sostenuto nella corsa alla Casa Bianca, con le defezioni eccellenti dei Bush e di altri nomi eccellenti del partito. Ma soprattutto, è stata la sconfitta dei democratici, che hanno presentato una candidata voluta solo dall’establishment, mai amata dall’elettorato, rifiutata soprattutto dai giovani e dalle classi operaie, che avrebbero preferito Bernie Sanders.
Ora le elezioni sono terminate, Trump ha vinto, come da tradizione negli Stati Uniti, la candidata democratica ha immediatamente riconosciuto il risultato, congratulandosi telefonicamente con il vincitore, il presidente Obama l’ha invitato alla Casa Bianca.
Certamente, dopo il 20 gennaio, giorno dell’insediamento ufficiale, la politica interna ed estera degli USA cambierà, non ci saranno però, come qualcuno oggi sta profetizzando, pericoli per la democrazia. Nel primo discorso dopo il voto, Donald Trump è sembrato molto più conciliante, non ha fatto cenno alle promesse di incarcerare la Clinton, di mandare via dagli Stati Uniti gli islamici, di bloccare gli accordi fatti dalla precedente amministrazione con gli altri stati. Da oggi non è più il candidato pronto a dare guerra per raggiungere la presidenza. Da uomo d’affari sa che ora la responsabilità è sua, e non può avere atteggiamenti divisivi.
Gli Stati Uniti d’America sono una grande nazione, una grande democrazia, hanno sopravvissuto a grandi tempeste, non potrà essere certo Trump un pericolo, ma diventerà comunque una risorsa.

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Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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