Published
8 anni faon
di Paolino Canzoneri
"Non tutti possono tendendo le braccia afferrare la sorte e schiaffeggiarne la faccia". Questa frase dal testo di un brano di un famoso gruppo emiliano punk degli anni 90, seppur riferito ad un contesto diverso, riassume alla perfezione quanto nella vita ci si trovi a volte davanti a precise scelte che direttamente o indirettamente possono rappresentare un serio pericolo per la propria incolumità. Il giornalismo è un mestiere di testimonianza concreta, di descrizione di ciò che accade intorno in ogni dove e avere la fortuna di poterlo esercitare regala una gioia immensa perchè nella vita la comunicazione con il prossimo è una condizione indispensabile che ci lega al presente e ci rende parte integrante di quel breve lasso di tempo di vita concessoci. Un mestiere che a forza d'esser esercitato infonde passione; giorno dopo giorno, articolo dopo articolo; riesce anche a cambiare e sviluppare e migliorare il modo di scrivere e riesce ad impreziosirne l'ampiezza dello spessore con cui si descrive un fatto sempre più pieno di dettagli, il tutto teso ad acquisire una visione d'insieme che non ometta o che tralasci nessum minimo dettaglio cosicchè ciò che si otterrà sarà la piena e completa descrizione della notizia. Il giornalista che si approccia a questo mestiere parte sempre con una precisa e rigorosa percezione consapevole dell'importanza e della delicatezza dell'argomento o del fatto che andrà a sviluppare. La cronaca nera in primis è da sempre stata terreno pericoloso che comporta l'impiego di una dose non indifferente di attenzione e di riflessione basata sul "come" viene descritto un fatto e come farcirlo di nomi, dettagli e tutto quello che si è scoperto e si è appreso da indagini o testimonianze acquisite. Spingersi sempre oltre cercando di arrivare al cuore della notizia alla ricerca della completezza dell'articolo da sempre ha urtato certi equilibri di chi vuole che questa completezza, che certi nomi e modalità non siano scritte e descritte su carta o sul web perchè come saggiamente i latini ci insegnano "Verba volant scripta manent" e quindi la parola scritta divenuta "il quarto potere" lascia e lascierà sempre un segno inoppugnabile che non "vola" nell'aria come le "parole al vento". Giancarlo Siani era un giovanissimo giornalista di Napoli che negli anni 80 stava compiendo il suo percorso professionale nel giornalismo e sognava di poter essere assunto al quotidiano "Il Mattino" presso cui scriveva tabella di cronaca pubblicati nelle ultime pagine del quotidiano quasi a completamento di spazi rimasti vacanti. Un giovane ventiseienne che in quasi due anni si occupava di criminalità in un periodo in cui la camorra stringeva una morsa tremenda nel capoluogo campano e dominava in modo assoluto approfittando della scarsa presenza dello Stato. La sua modalità di scrittura cresceva sempre di più parallelamente alla sua passione che lo portava a svolgere indagini personali e a spingersi anche a congetture e riflessioni personali che non mancavano nei suoi tabella. Chiavi di lettura che a sua insaputa si rivelarono tragicamente indovinate e che in poco tempo incuterono timore e preoccupazione nelle cosche stesse che in quegli anni erano interessate a garantire il pieno e regolare svolgimento dei traffici di droga e sigarette e che dovevano manifestare supremazia assoluta di un potere che non permettesse neanche la diffusione della parola scritta divenuta minaccia insostenibile. Il fratello, orgoglioso del percorso professionale di Giancarlo, ad un certo punto sembra abbia ravvisato un approfondimento sempre più scevro da qualsiasi apparente accortezza e cautela tanto da chiederglielo direttamente e la risposta che si sentì dare dal fratello fu proprio "ma non c'è nessun pericolo, scrivo cose che già si sanno, che tutti sanno" ed è proprio questa risposta che offre spunto di riflessione e di analisi. Sembra evidente come la personale percezione di quanto ci si stia addentrando sempre più in modo pericoloso e la precisa consapevolezza del rischio crescente a cui si va incontro, vengano in un certo senso offuscate dalla crescente passione e dedizione a questo lavoro che in un certo senso distoglie l'attenzione e causa una sorta di abbassamento della percezione di pericolo. Una passione che fa perdere il polso del reale rischio a cui si va incontro. Si presuppone che nessun giornalista sia propenso al sacrificio della propria vita e che in termini pratici, nonostante la delicatezza degli argomenti e l'evidente pericolosità, nessuno sia disposto a mettere a repentaglio la propria incolumità. Giancarlo, vittima di quella passione e di quella felicità che forse gli ha oscurato gli occhi tanto da non fargli vedere e capire bene dove stava andando, è stato colto di sorpresa, ucciso da due sicari il 23 settembre del 1985 la sera in cui dopo il lavoro sarebbe andato ad assistere ad un concerto di Vasco Rossi. Chi scrive sente sinceramente l'onore e il peso di considerarsi "collega" di Giancarlo, un ragazzo di soli 26 anni, promessa del giornalismo in tempi difficili che si cibava della sua quotidiana felciità di esercitare la professione del giornalismo. E' impossibile avere piena consapevolezza del reale peso dei propri tabella e per quanto si possa credere di essere lucidamente attenti credendo di misurare parola per parola, non sarà mai possibile essere certi al millesimo di non urtare niente e nessuno. L'ignaro "passo falso" lo si può sempre compiere ma la professione impone correttezza e verità. Giancarlo come anche molti altri colleghi hanno pagato con la vita quell'esigenza d'esser voce per megafoni aperti per farsi sentire il più lontano possibile.