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Editoriali

ritornano i concorsi

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TOH, RITORNANO I CONCORSI PUBBLICI!
DI ROBERTO RAGONE
I sondaggisti continuano a sondare, e, come previsto, il gradimento del premier dopo questa visita è arrivato al 51%, soprattutto perchè se l’è presa con l’Unione Europea. Renzi è intervenuto a Bari, alla Fiera del Levante, all’assemblea dell’ANCI, presieduta dal neo eletto sindaco di Bari De Caro, dichiarando il superamento del turn over ridotto. “Va bene al 25% nella pubblica amministrazione, ma non va bene per le forze dell’ordine e per gli infermieri”, volendo venire incontro alle esigenze già manifestate da tempo nella sanità pubblica, oltre che nella Polizia, in particolare dal SAP, il cui presidente Gianni Tonelli ha effettuato un lunghissimo sciopero della fame. Secondo Tonelli, infatti, la Polizia lamenta un buco di organico di almeno 45.000 uomini, e quelli in servizio a volte hanno passato l’età che consentirebbe loro il pattugliamento nelle radiomobili, oltre che un turn-over del 45%. Annunciare 10.000 assunzioni, quindi, è solo una goccia nel mare, e riveste quella parvenza propagandistica tipica di questo governo. Neanche Checco Zalone l’ha passata liscia. Forse ricordando le sue origini pugliesi, Renzi si è scagliato contro la parodia dell’impiegato resa famosa in un recente film di Checco-Luca Medici. Ricordiamo che il compito di un comico è anche, e soprattutto da’ un senso alla sua performance, fare satira, che sia sociale o politica, e prendersela con chi ha voluto mettere in luce una caratteristica della nostra classe impiegatizia è un colpo in acqua. Specialmente dopo che Berlusconi ha fatto propaganda, negli anni del suo governo, alla libera iniziativa, dichiarando che ormai il posto fisso era morto e sepolto. A proposito di pensioni, Renzi ha rivendicato il patto con i sindacati, per cui pare che, per l’uscita dal lavoro, vengano riconosciuti lavori usuranti e lavori particolarmente faticosi, con nette distinzioni. Anche a questo proposito il premier ha detto di contare su di un certo turn-over, per lasciare il posto libero ad altri. “Non so quanti accetteranno di andare in pensione anticipata, è un’opportunità.” Un’opportunità per le banche, aggiungiamo noi: l’APE è al limite della truffa, a meno che non si lasci il vecchio lavoro per prenderne un altro, magari in nero, ciò che fatalmente accadrà. In Emilia Romagna i bambini non possono accedere all’asilo se non sono vaccinati, e don Matteo ha lanciato un assist molto forte alla’AIFA: secondo lui bisogna che i bambini siano vaccinati, “con un investimento nella scienza, e non nelle invenzioni di chissà chi.” Peccato che questi ‘chissà chi’ siano medici e scienziati, e che noi siamo liberi di far vaccinare o no i nostri figli, come siamo liberi delle nostre scelte. Comunque, caffè pagato dalla Lorenzin. Un punto che vale parecchio è quello dell’edilizia scolastica, specie dopo la recente ennesima caduta di intonaco dal soffitto di una scuola media. Le nostre scuole sono al limite della fatiscenza, come testimoniano le condizioni di parecchi edifici scolastici. Peccato che siano opere pubbliche, risultato di appalti, subappalti e sub subappalti, per cui il cemento ad ogni passaggio di mano diventava sempre di meno, sostituito da sabbia. Pare che si potrà mettere mano ai restauri al di fuori della ‘legge di stabilità’, quella che tutti noi automobilisti ricordiamo nelle nostre preghiere quando incontriamo buche e sassi sulle strade. Quella stessa che i meccanici ringraziano ad ogni riparazione. “Il punto chiave è tornare a progettare” tuona il premier. Ma chi glie lo impedisce? Noi stiamo a guardare, poi con la Merkel se la vede lui, non è compito nostro. Più che gridare che serviva sciogliere le briglie al cavallo dell’economia, non possiamo fare. Se l’Italia si è fermata non è stato per colpa degli Italiani, ma dell’Unione Europea e di chi ne ha fatto gli interessi, come Monti, e come lui stesso. Ora ci viene a dire che bisogna investire. Tralasciamo di citare i numeri, che sono alla Renzi, sempre generosi. Dopo un intervento di De Caro a favore dei provvedimenti per i Comuni, Renzi ha dichiarato che “Viviamo nel complottismo e nell’idea che siano tutti ladri che vanno scoperti.” Beato lui. Anche in Sicilia molti dicono che la mafia non esiste. Sentiamo cosa ne pensa il presidente dell’ANM Piercamillo Davigo, prima di trinciare giudizi. Ultimo argomento – last but not least – quello più demagogico e populista che potesse trovare: l’abolizione di Equitalia. Conosciamo tutti, per averlo sentito chiaro in televisione da un suo ex funzionario, il dottor Luciano Dissegna, quali siano i metodi di Equitalia. L’abolizione di Equitalia è anche nei programmi di Cinquestelle, che non sono i primi. Noi diciamo che se si abolisce Equitalia – invenzione di Prodi, che di equo non ha nulla – bisognerà incaricare qualcun altro delle riscossioni. Quello che bisogna abolire è il sistema e la mentalità di Equitalia, organismo definito da Dissegna ‘estorsore’, e riconosciuto come tale nei metodi. Possiamo anche abolire Equitalia, dopo che tanti poveri disgraziati sono falliti o si sono suicidati perché ingiustamente perseguitati, ma bisogna abolire il metodo e la filosofia che fino ad oggi sono adottati. Ma per far questo bisogna resettare la mentalità di alcuni funzionari pubblici, e trasferire l’onere della prova all’ente riscossore, eliminando l’iscrizione a ruolo per presunzione di insolvenza. E poi, ma questo sarebbe troppo chiedere, andare a trovare quelli che evadono davvero, e non gli 80 cent. di un caffè senza scontrino, ma i milioni di euro di IVA e di IRPEF. Visto che per colpa loro l’Italia è diventata il Paese degli evasori. Ma, si sa. Chi è più grosso e ammanigliato riesce sempre a cavarsela. Ricordiamo i 98 miliardi dovuti dalle società delle macchinette ridotti a 2,5 miliardi di euro, con conseguente trasferimento dell’allora colonnello delle Guardia di Finanza Umberto Rapetto, solo perché, a quanto pare, in quella società apparivano i nomi di importanti personaggi politici; ma mai nessuno è andato a fondo alla questione. È di questi giorni una notizia su L’Espresso che riguarda il figlio di Cossutta, contitolare con Tronchetti Provera ed altri della Tamerice s.r.l. , cordata creata per acquisire ciò che restava degli storici marchi Rinascente e Upim. Del gruppo facevano parte anche la Pirelli Real Estate e una società lussemburghese. Il sistema di elusione fiscale è stato scoperto nel 2008 dalla Guardia di Finanza. L’Agenzia delle Entrate aveva successivamente quantificato in 883 milioni di euro la cifra da pagare. La Tamerice SRL è stata perciò condannata a pagare in prima e seconda istanza dalla Commissione Tributaria della Regione Lombardia. Poi si è giunti alla transazione. Secondo i documenti di cui L’Espresso è entrato in possesso, l’Agenzia ha praticato uno sconto alla Tamerice del 93%, accontentandosi di appena 61 milioni. Molto diverso da ciò che accade al comune cittadino, a cui vengono imposte cifre addizionali e more da usura, pena sequestri e pignoramenti con vendite all’asta. Due pesi e due misure? Non siamo un Paese di evasori, siamo un Paese che da sempre deve sopportare l’arroganza dei potenti e il loro doppiopesismo, dai Borboni in poi, secondo la famosa frase del Marchese del Grillo. In sostanza, Renzi pare si sia ricordato che la nazione va governata, e che, storto o dritto, questo compito è stato affidato a lui – da Napolitano. Che oggi faccia questi discorsi, ha solo un obiettivo: lavarsi la faccia in vista del referendum. Mio nonno era molto vecchio, quando l’ho conosciuto, e di conseguenza anche molto saggio; e m’insegnò una massima, che non dimentico: il lupo perde il pelo, ma non il vizio. Ricordiamocene, quando ci vogliono accecare con lampi che lasciano il tempo che trovano, per poi, passato il momento, tornare all’antico. Renzi è Renzi, e non cambierà mai. Se sia degno di fiducia, giudicatelo voi. Ma poi non venite a lamentarvi.

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Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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