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Editoriali

Peccato di presunzione politica

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di Angelo Barraco
 
Il peccato rappresenta l’azione di contrasto ad un sistema di regole morali ed etiche che la nostra cultura ci impone sin dalla nascita. La rottura parziale o totale di schemi precostituiti da una società che ha sondato il proprio terreno sulla morale cattolica e sull’applicazione delle norme riportate nella carta costituzionale fa si che ogni individuo acquisisca conoscenza in merito alle conseguenze oggettive che comportano determinate azioni atte a ledere le norme impugnate dallo Stato, che reagisce di conseguenza adottando misure di soppressine e contrasto. Vi sono soggetti che sono propensi alla recidività poiché apparentemente sembrano aver appreso l’entità del danno commesso attraverso le loro azioni coercitive e attraverso i meccanismi attuati dalla giustizia vengono introdotti in sistemi di riabilitazione tali che dovrebbero indurli a guardare il passato con maggiore attenzione ai fini di non ripetere il medesimo errore. La politica attuale si muove secondo dinamiche ben differenti rispetto a quelle che in passato hanno evidenziato un’unicità democratica. La bandiera politica è diventata mercimonio di voti e consensi popolari ai fini dell’ottenimento di soluzioni che non riguardano certamente il benessere di un’Italia sempre maggiormente piegata dalla crisi, ma interessi che mirano all’accrescimento copioso del benestare dei governanti che dall’alto della poltrona osservano un popolo che naviga in preda alla tempesta. Negli ultimi mesi l’attenzione massi è riversata su Roma e sui Pentastellati che hanno in mano la Capitale, un’impresa certamente ardua poiché si sono ritrovati sotto gli occhi una situazione non rosea e un susseguirsi di problematiche interne ed esterne che hanno sicuramente abbassato la cresta e l’asticella di presunzione che vigeva in loro prima della scalata al “potere massimo”. Roma Divina Urbe rappresenta il cambiamento di un’Italia che negli anni del boom economico è riuscita a rialzarsi e da Trastevere al Testaccio ha costruito mattone su mattone per trasformare la vita di una comunità dilaniata dalla guerra e dalla fame, dove le fontane rappresentavano punti di congregazione e le case erano semidiroccate con le tende che fungevano da porta. Una città che si è sempre saputa rialzare, anche quando da Via Enrico Fermi si è costituito un gruppo criminale che avrebbe poi mosso i passi nel quartiere Magliana, cambiando per sempre il volto di una città e di un’Italia intera che intrecciava i suoi interessi con la mala romana, quella siciliana, le alte sfere del Vaticano e dello Stato e ancora oggi molti aspetti di questa vicenda rimangono avvolti da una fitta cortina di mistero. Roma è stata per anni uno spazioporto di droga, armi e criminalità organizzata ma anche di ricchezza e ordine sociale poiché i quartieri periferici sono stati riqualificati e trasformati in veri e propri centri culturali. Che cos’è Roma oggi? Una domanda che non troverà facilmente risposta poiché bisogna scavare affondo, partendo dal nocciolo del problema: la mancanza oggettiva di una politica ferma che si impegna concretamente alla risoluzione di problematiche sociali e migliorie. L’ineducazione politica e sociale ha delle conseguenze oggettive che si riflettono anche sul cittadino che tende a reiterarsi nell’atto criminale poiché è consapevole che lo Stato è silente, non agisce concretamente dinnanzi ai problemi oggettivi e quindi esso si sente libero di agire liberamente con la consapevolezza che la pena applicatagli sarà sicuramente irrisoria. “Temo che la magistratura torni alla vecchia routine: i mafiosi che fanno il loro mestiere da un lato, i magistrati che fanno più o meno bene il loro dall'altro, e alla resa dei conti, palpabile, l'inefficienza dello Stato” Giovanni Falcone.

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Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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