Connect with us

Primo piano

Ennesimo retro front di Matteo Renzi. Questa volta il ponte: "Non è una priorità"

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 3 minuti
image_pdfimage_print

di Paolino Canzoneri

Quando un presidente del Consiglio tira fuori il “jolly” del ponte, sembra proprio dare l'impressione di essere arrivato “alla frutta”. Sembra davvero che tutte le cartucce a disposizione per cercare disperatamente di recuperare consensi caduti a strapiombo siano proprio finite. La sensazione amara è che dietro a quei sorrisini, a quella camminata spavalda “alla Obama” e a quella sfrontata presunzione d'aver capito e saputo sempre fare la cosa giusta, si nasconda un politico insediatosi senza voto plebiscitario che finalmente ha compreso quanto gli italiani non siano più disposti a sopportare quelle che il grande maestro della comicità italiana Totò chiamava “fetecchie” e suo malgrado se ne accorge sempre di più per fischi e contestazioni che oramai lo accompagnano quasi in ogni luogo dove si rechi per impegni istituzionali che lo portano a contatti sempre più difficili con le categorie di lavoratori e cittadini come alla Versiliana dove il pubblico gli ha urlato del “Pinocchio” fino a Treviso dove il nostro Presidente ha rischiato grosso con insulti, cartelli offensivi e lanci di arance di fronte Palazzo Rinaldi durante un “tentativo spensierato” di una passeggiata serena ed innocua a seguito di un incontro con imprenditori locali. Questo percorso la dice lunga sulla caduta di consensi e a due mesi dal referendum l'aria è stanca, il suo volto ostenta meno sicurezza e il colore è quello di un uomo che sente spianata la strada verso una uscita poco dignitosa come è stata quella di Silvio Berlusconi, del governo dei “Tecnici” e del successivo debole e fragile Letta. Serve un espediente, serve qualcosa che possa ridare fiducia agli italiani..serve il Ponte! Questo avrà pensato Matteo Renzi che fra i suoi difetti rientra pure quello del non riflettere prima di parlare ma putroppo non fa i conti con tutta una serie di motivazioni plausibili per cui il ponte diventa un ridicolo espediente tirato fuori per scopi propagandistici e tremendamente lontani da possiblità oggettive di realizzazione. Per la sua realizzazione in quella specifica locazione geografica la struttura stessa non può avvalersi di un pilone centrale a sostegno del ponte che deve essere invece sorretto esclusivamente dai due piloni su terraferma cioè a Messina e a Villa San Giovanni in Calabria che per queste ragioni devono essere profondissimi ed enormi con un impatto ambientale non propriamente di basso conto. Gran parte della Sicilia orientale e parte della Calabria sono zone sismiche e costruire un ponte sospeso in quel corridoio di mare è palesemente un azzardo e la storia di questo paese dovrebbe averci insegnato quanto sia saggio ed importante evitare le cosiddette “tragedie annunciate” come quella del Vajont dell'ottobre del 1963 dove perdemmo il paese di Longarone e tutti i suoi abitanti per la persistente e malsana idea di costruire una diga fra due montagne fradici e umide a ridosso del paese. Un affare come quello del ponte rappresenterebbe un enorme pericolo fiscale e un affare colossale che richiamerebbe sugli attenti tutta la peggior schiera di mafie varie che si vedrebbero offrire una tentazione irresistibile a cui certamente non saprebbero rinunciare e a cui sarebbe impossibile effettuarne un controllo costante e sicuro. E la cosa che rabbrividisce di più i siciliani e i calabri è l'ipotesi sciagurata di tracce visibili di progetti interrotti abbandonati che lasciano alla pubblica gogna panorami incantevoli di mare rovinati dalla visione di  pezzi di piloni nel mare a perenne ricordo e vergogna dell'incapacità italiana di sapere sempre portare a termine le grandi opere. Una impossibilità che siamo costretti a pagare ma che preserverà e manterrà tutta quella forza lavoro relativa ai traghetti e imbarcazioni di trasporto merci che giornalmente percorre quel lembo di mare da costa a costa. Altro che tratta di alta velocità Napoli -Palermo che il nostro premier in un impeto vigoroso di ottimismo credeva di piazzare come una tele vendita dei tempi delle prime TV private; per quel tipo di spot Berlusconi è sempre stato insuperabile e di un altro pianeta. Sarà che a qualcuno attorno a Renzi sarà scapatto un sorrisino o magari qualche fedele portaborse consigliere sia proprio scoppiato a ridere girandosi magari per non farsi vedere, ma sta di fatto che di li a poche ore dopo dai microfoni di Radio Popolare, Renzi, ancora una volta è tornato sui suoi passi dicendo: ”Il Ponte sullo Stretto non è una priorità. L'ho sempre detto. Dopo di che il dire di "no" perché l'ha detto Berlusconi mi fa scappare un sorriso. Per me prima vengono la banda larga, l'edilizia scolastica, la Salerno Reggio Calabria, le ferrovie in Sicilia, i viadotti in Sicilia, tutti gli interventi sul dissesto idrogeologico. Quando si è chiuso questo pacchetto mi dovete spiegare perché un collegamento che permette di avere l'alta velocità da Napoli a Palermo non si possa fare, un'opera che costa 3 miliardi di euro, e invece si possa fare il tunnel del Brennero, la Torino-Lione”. Ma qui a ridere sono gli italiani, ma è una risata sempre più amara e sempre più vicina a una smorfia di dolore per un disinteresse e una distanza dai cittadini che nessun ponte potrà riunire. 

 

Continua a leggere
Commenta l'articolo

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 2 minuti
image_pdfimage_print


Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

Continua a leggere

Editoriali

La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 2 minuti
image_pdfimage_print


La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

Continua a leggere

In evidenza

Roma, aggressioni e borseggi in metro. Riccardi (UdC): “Linea più dura per garantire la sicurezza pubblica”

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 2 minuti
image_pdfimage_print

“Ci troviamo ad affrontare un problema che il Governo non può più ignorare: i borseggiatori operano impuniti nelle metropolitane di Roma. Questa situazione è inaccettabile e richiede un intervento deciso e immediato. Ritengo che la sicurezza dei cittadini debba essere una priorità assoluta e che la moderazione non significhi inazione”.
È assai dura la reazione del commissario cittadino di Roma Capitale dell’UdC, il dottor Roberto Riccardi, circa le continue, ripetute aggressioni e borseggi nella Capitale.

Dottor Riccardi secondo Lei dove bisogna intervenire in fretta nella legislazione italiana in tale materia?
I recenti episodi di furto nei mezzi pubblici mettono in luce una legislazione troppo permissiva. La normativa attuale, che prevede l’intervento delle Forze dell’Ordine solo su querela dei borseggiati, è del tutto inefficace. Questo non solo rallenta l’intervento delle autorità, ma spesso disincentiva le vittime a denunciare, sapendo che le conseguenze per i borseggiatori saranno minime o inesistenti.
Le leggi attuali non sono sufficienti per contrastare efficacemente questo fenomeno. È necessario un cambio di rotta deciso.

il commissario cittadino UdC di Roma Capitale, dottor Roberto Riccardi

E cosa può fare in più, in questo frangente, l’organo giudiziario?
Bisogna smettere di essere troppo indulgenti con i delinquenti. Va adottata una linea più dura per garantire la sicurezza pubblica.
Lei rappresenta uno dei partiti di governo nazionale. Esiste una vostra “ricetta” in merito?
Ecco le misure che proponiamo; arresto obbligatorio per i borseggiatori con l’introduzione dell’arresto obbligatorio per chiunque venga colto in flagrante a commettere furti nei mezzi pubblici. Questo deterrente è essenziale per scoraggiare i delinquenti e proteggere i cittadini.
Modifica della normativa vigente; bisogna consentire l’intervento delle Forze dell’Ordine anche in assenza di querela da parte della vittima, permettendo un’azione tempestiva e decisa contro i borseggiatori.
Inasprimento delle pene ed introduzione di sanzioni più severe per i reati di furto, specialmente quando commessi in luoghi pubblici e affollati come le metropolitane.
Campagne di sensibilizzazione informando i cittadini sui loro diritti e sull’importanza di denunciare ogni atto di borseggio, contribuendo così a creare una comunità più sicura e coesa.
Ma Lei crede che con tali misure si possa mettere un argine alla questione che preoccupa non solo i romani ma le decine di migliaia di turisti che ogni giorno arrivano nella capitale?
Non possiamo più permetterci di essere indulgenti. Dobbiamo agire con fermezza per garantire la sicurezza di tutti i nostri cittadini.
Le Forze dell’Ordine devono essere messe nelle condizioni di poter agire senza ritardi e senza ostacoli burocratici.
Dobbiamo essere determinati nello spuntare le armi dei buonisti ed a ripristinare la legalità nelle nostre strade e nelle nostre metropolitane. Solo con un intervento deciso e risoluto potremo garantire una Roma più sicura e vivibile per tutti.

Risposte chiare e concrete quelle del commissario cittadino UdC di Roma Capitale Roberto Riccardi.
Ci auguriamo che questa volta la politica affronti davvero con tale determinazione questa assenza di sicurezza per i romani e per le migliaia di turisti che si apprestano a giungere nella Capitale per l’imminente apertura, il 24 dicembre 2024, dell’Anno Giubilare.

Continua a leggere

SEGUI SU Facebook

I più letti