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Editoriali

caro dottor matteo renzi

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CARO DOTTOR MATTEO RENZI…
DI ROBERTO RAGONE
Caro dottor Matteo Renzi, leggo senza sorpresa ma con un leggero senso di noia, come quello che prende dinanzi ad un brutto film già visto,  ciò che lei scrive oggi su L’Osservatore. C’ero anch’io in televisione, ad assistere alla sua ennesima recita a favore del SI’ al referendum costituzionale. Mi perdoni, il suo marchio di fabbrica, a guardare da questa parte della barricata, non è fare proposte, ma un altro, ben diverso. L’andare ‘contro’ è normale e doveroso quando si va contro ciò che fa male alla nazione e ai cittadini. Lei dice che fa proposte, ma le sue proposte sono vecchie come il cucco, altro che aria fresca. Sa perché sono vecchie? Perché non sono le sue, lei sa soltanto fare proclami e pronunciare slogan, in questo è bravissimo, ed è ciò che ha fatto fin da quando è stato messo sul seggiolone di presidente del consiglio dal suo mentore Giorgio Napolitano. Ebbene sì, le ‘sue’ proposte sono vecchie come chi le ha formulate, il presidente emerito Giorgio Napolitano, perché datano da qualche lustro, e sono quelle che Napolitano persegue appunto da così lunga data. L’aria pulita che lei pretende di portare in Italia, tanto pulita non è, e questo lo dimostra il suo accanimento – e quello di Napolitano – nel voler forzare a tutti i costi il voto degli Italiani. Già la scheda elettorale è faziosa, offre un panorama assolutamente appetibile da chiunque, falsando la realtà. Non mi va qui di ripetere ciò che è sotto gli occhi di tutti: il bicameralismo continua imperterrito, peggio di prima, le spese si riducono di un decimo di ciò che lei dichiara – fonte Ragioneria di Stato -, i nuovi senatori non saranno eletti ma nominati, godendo di una immunità ‘parlamentare’ anacronistica. Eccetera eccetera. Eppure lei, con una sicurezza degna di ben altro scopo continua a dire sempre le stesse cose, secondo la legge del fatto che una bugia ripetuta diventa verità. In questo caso le bugie ripetute suscitano curiosità, e le campane che si sentono suonare sono due, e quella del NO è molto forte, almeno per chi voglia approfondire il tema. Oppure pensa – non senza avere un po’ di ragione – che tutti gli Italiani, o la maggior parte siano proprio stupidi? Piuttosto li definirei superficiali, visto che negli ultimi tempi li avete disamorati alla politica, e quindi pochi continuano ad interessarsene, tanto non succede nulla e avete sempre ragione voi. C’è un detto che recita: “Articolo quinto, chi ha in mano ha vinto.” Prova ne sia il voto europeo, nel quale voi PD avreste preso il 41%… del 50% degli aventi diritto, quindi al mio paese significa un bel 20,5%. Che vi basterebbe per avere la maggioranza se restasse l’Italicum, ma a quel proposito il ballo deve ancora incominciare. Quanto poi al suo incontro con Travaglio, si faccia capace che certi termini sono ormai stati sdoganati. Molto più gravi sono le asserzioni che non corrispondono a verità, le promesse non mantenute, le nomine fatte ad usum delphini, le promozioni pilotate secondo non i meriti ma l’orientamento politico e personale. Travaglio non è un urlatore, né appartiene a quella categoria; né cercava di interromperla. Cercava, a volte, di arrestare l’inarrestabile fiume di parole che lei confezionava continuamente, tentando invano di obiettare ad argomenti palesemente faziosi, interrotto, questo sì, da una Gruber palesemente di parte. Per esempio i nuovi assunti: i numeri che lei fa non corrispondono ad una realtà che il Paese sta vivendo. Si faccia capace che il Jobs Act – perché poi scegliere un termine inglese, forse per ‘epater le bourgeois’, per rendere meno comprensibile un ‘disegno di lavoro’ che detto così non avrebbe impressionato nessuno? – è stato un fallimento, prova ne siano i licenziamenti aumentati del 7% in questi ultimi mesi, e l’aumento della vendita dei vaucher, il veicolo principale del lavoro nero. Il nostri timore di Italiani è che lei incominci davvero a credere a tutto ciò che dice. Le 585mila unità che l’Istat sbandiera cosa comprendono? Anche gente che ha lavorato un mese, una settimana, un giorno, o addirittura un’ora? A giudicare da ciò che si vive tutti i giorni, e non dai dati ufficiali, che sono come quella famosa pelle che più la tiri e più s’allunga, l’Italia non è in crescita, e questa responsabilità è tutta sua e del suo governo. Se le pensioni non fossero un’elemosina – la maggior parte – che consente al 40% dei pensionati soltanto di sopravvivere aspettando la morte (anche chi ha versato per quarant’anni), a fronte di ‘privilegi acquisiti’ assolutamente assurdi; se il cappio del fisco non strangolasse le imprese, costringendole a chiudere o a vendere agli stranieri; se si adottassero dei provvedimenti a favore di quello che è stato sempre il motore dell’economia, l’edilizia, magari riducendo gli assurdi aumenti catastali varati da Monti, che hanno strozzato il mercato; se le banche aprissero i cordoni della borsa, concedendo prestiti e mutui senza il contagocce come fanno oggi, lucrando sugli interessi del denaro che Draghi distribuisce ogni mese: allora forse potremmo vedere uno spiraglio. Un cavallo per correre ha bisogno che gli si sciolgano le briglie, altrimenti andrà sempre al passo. Una volta la sinistra voleva dire equità sociale: cosa significa oggi il PD? Vediamo fra le righe l’ombra di un Nuovo Ordine Mondiale che non è certo equità. Un Ordine evocato da lei e da Napolitano pubblicamente.- un Ordine che secondo ciò che è accessibile a tutti fa capo ai grossi capitali americani, Rockfeller, Rotschild, Morgan. A scapito dei veri interessi di un’Italia per la quale né lei né altri dimostrare amor di patria. Quanto alla Signora Michelle Obama, nessuno le impedisce di abbracciarla, la prossima volta che andrà negli Stati Uniti a fare rapporto. Barack non è geloso – almeno in pubblico – e poi lei ha l’immunità. Parlamentare.

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Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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