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Editoriali

La speranza è una trappola

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di Angelo Barraco
 
“Non serve dirvi che le cose vanno male, tutti quanti sanno che vanno male. Abbiamo una crisi. Molti non hanno un lavoro, e chi ce l'ha vive con la paura di perderlo” è la frase che Howard Beale –interpretato da Peter Finch- pronuncia nel film Quinto Potere del 1976. Lo specchio di una società in declino diventa la rappresentazione di uno dei motivi che spingono l’attore a dare un input al suo pubblico e l’invito a reagire e riacquistare il pensiero soggettivo ormai sfiorito. Beale viene licenziato poichè  la sua trasmissione televisiva subisce un vertiginoso calo nell’indice di gradimento. Prima di congedarsi però annuncia pubblicamente  il suicidio in diretta, generando scandalo e sgomento tra i telespettatori e gli addetti ai lavori. Tale esternazione porta al suo licenziamento in tronco. Chiede però di poter parlare un’ultima volta davanti alle telecamere, davanti al suo pubblico, per smentire quell’annuncio shock fatto in precedenza e chiudere il sipario alla sua illustre carriera in modo dignitoso. Il suo pubblico è attento, silente, pronto ad ascoltarlo, ma è anche un pubblico con la mente sedata da informazioni distorte che costantemente vengono propinate da una scatola che non fa altro che indottrinare forvianti notizie che addomesticano la mente e lo tengono ben distante dalla realtà. Dinnanzi al suo pubblico cala il velo che da sempre vige in quel mondo fatto di bei sorrisi e sigle d’apertura, tagliando tutte le apparenti certezze propinate fino a quel momento e  sottolineando quanto il potere della tv fosse influente per gli americani che si tengono ben distanti da libri e giornali “La tv è la loro bibbia, la suprema rivelazione” enuncia camminando animatamente e sottolinea “la tv può creare, può distruggere Presidenti, Papi, primi ministri”. Frasi che mirano al risveglio delle coscienze dei presenti, alla voglia di far capire quanto sia innaturale il mondo che si prospetta dinnanzi a loro poiché rilegato costantemente da forvianti informazioni incanalate da un sistema che crea il bello. Il dato oggettivo che mette sullo stesso piano la società di ieri, raccontata nel film e analizzata dagli attori, con la società di oggi è che tutto è oggettivamente uguale a quanto raccontato con rabbia da Beale. Facendo un raffronto tra le parole dette da Beale sopracitate e lo stato in cui versa l’Italia oggi, ci rendiamo conto che il nostro paese versa in una situazione in cui la crisi economica ha indotto magnati dell’industria e dell’imprenditoria a dover chiudere le loro aziende a causa della tassazione che vige in Italia che pian piano sgretola veri e propri imperi che diventano polvere e lacrime. Tanti i giovani  che  emigrano all’estero in cerca di un lavoro dopo aver conseguito un titolo di studio, poiché il nostro paese non è in grado di valorizzare le menti eccelse che potrebbero dare un ulteriore spinta alla crescita dello stivale; Tanti i giovani inoccupati, malgrado abbiano in mano titoli, qualifiche e quant’altro e spesso sono costretti a svolgere lavori ben lontani da quello che il loro titolo di studio dovrebbe loro garantire ma spesso rimangono senza lavoro per giorni, mesi, anni. Chi ha un lavoro invece “ha paura di perderlo”, come dice Beale, ed è proprio questo l’elemento su cui fanno leva i grandi poteri poiché tendono ad anestetizzare con promesse ricoperte di glassa il popolo che si aggrappa alla flebile speranza di poter raggiungere quanto prima l’ambito traguardo del “meritato riposo” chiamato pensione, ma più passano gli anni e tutto ciò diventa mera illusione e allora cambiano i governi, i politicanti, le leggi e la sfilata dei buoni propositi è sempre dietro l’angolo. Un paese che vive di speranze e si aggrappa ad un illusorio cambiamento messo in atto da una classe dirigente che mira ad interessi che si poggiano sull’assenza di reazione da parte di una generazione che ormai risulta sterile, assente e incentrata sul becero materialismo che prevale su valori ormai utopici. Risultano ormai un lontano ricordo le lotte sociali e che in passato hanno fatto grande l’Italia. Il paese non reagisce più dinnanzi al contraddittorio messo in atto dalla classe dirigente attraverso i talk show, in cui vengono mostrate in vetrina i dibattiti tra politici che dovrebbe porre il telespettatore dinnanzi ad bivalenza politica, che nella concretezza poi si annullano in un caffè al bar arrecando ulteriore confusione tra i cittadini. Una tv che è ben distante da quella di Beale, in cui è riuscito ad affrontare il suo pubblico a muso duro poiché i conduttori e giornalisti si badano nel pesare le parole come fossero posti su di un bilancino, mantenendo la postura adeguata e cercando di curare il capello, la barba e la parola giusta al momento giusto. “La speranza è una trappola” diceva il compianto Mario Monicelli nel corso della storia intervista a Servizio Pubblico; è una parola usata da coloro che vogliono tranquillizzare il prossimo con il fine ultimo dell’ottenimento di un riscatto  etico e morale, in modo tale da poter ottenere un riscatto nell’al di là. Un invito a vivere la vita con il capo chinato, senza alzare la testa e guardare la realtà come ha fatto Beale con il suo pubblico, ma una promessa che induce il soggetto a credere che prima o poi qualcosa cambi, che la società e la classe dirigente possano risollevare un paese sull’orlo del baratro. 
 
 

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