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Editoriali

SIMONETTA CESARONI: "ORE CONTATE PER L'ASSASSINO DI VIA POMA" – PARTE 3

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Tempo di lettura 12 minuti Parla il professor Carmelo Lavorino, massimo esperto per ciò che riguarda l’omicidio di via Poma, in esclusiva per L'Osservatore d'Italia

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di Roberto Ragone
L’assassino di via Poma ha le ore contate, se diamo retta a Carmelo Lavorino, certamente il massimo esperto dell’omicidio di Simonetta Cesaroni. Il prof. Lavorino è criminologo, criminalista, profiler, analista della scena del crimine, titolare della CESCRIN, scuola di investigazione scientifica criminale.

Il profilo psicologico dell'assassino di Simonetta Cesaroni è stato definito dal professor Carmelo Lavorino, già consulente della difesa di Federico Valle, nonchè di quella di Raniero Busco. A prescindere dal profilo psicologico, secondo il prof. Lavorino l’omicida è un uomo di circa quarant'anni, mancino, dal gruppo sanguigno A dqalfa4/4, sposato con figli, o con una compagna fissa. Una persona con tendenze narcisistiche, che non ammette fallimenti nella propria vita. Di persone gravitanti attorno all'ufficio dell'AIAG, già sentite in merito all'omicidio, ce ne sarebbero una o due, sarebbe quindi solo lavoro d'archivio andare a riprendere tutti i documenti agli atti e ripassare i verbali d'interrogatorio. Significativo anche il suicidio – certificato oltre ogni dubbio dalle prove e dai rilevamenti – di Pietrino Vanacore, portiere del palazzo, nell'immediatezza della convocazione in Tribunale per una testimonianza che avrebbe certamente sollevato un velo sul mistero dell'omicidio efferato e violento di Simonetta Cesaroni. Pietrino Vanacore conosceva l'identità dell'assassino, e si è suicidato per non doverla rivelare. Aveva paura di capitolare di fronte alle domande di un PM che dopo tanti anni di indagine aveva capito che Vanacore era il perno di tutta la faccenda, il punto debole che avrebbe portato all'arresto di una persona che lui, fino all'ultimo, ha voluto proteggere. Simonetta Cesaroni è stata uccisa il 7 agosto del 1990 con un tagliacarte reperito su di una scrivania dell'ufficio in cui lavorava, con ventinove colpi, sferrati agli occhi, al volto, al ventre e nella vagina. Il corpo nudo è stato messo in posa sguaiata, con le gambe aperte, in segno di disprezzo.


Professor Lavorino, lei è il massimo esperto per ciò che riguarda l’omicidio di via Poma, essendo stato perito per la difesa sia nel caso di Federico Valle, sia di Raniero Busco, oltre ai libri che ha scritto, agli tabella pubblicati e alle perizie. A questo proposito ho trovato un’intervista di Pino Nicotri che lui addirittura ha intitolato ‘Ecco l’assassino’, nella quale intervista lei ricostruisce tutte le fasi dell’omicidio. Lei parla anche di un ceffone dato a mano aperta, con la mano sinistra, e qualcuno ha ipotizzato che Simonetta sarebbe stata accoltellata quando era già morta a causa di questo colpo. Lei che mi dice?
Assolutamente no. Sicuramente Simonetta ha ricevuto un colpo sulla tempia destra sferrato con la mano sinistra con moto circolare, quindi non è stato un manrovescio destro, ma un colpo sinistro, e poi questa mano sinistra ha continuato ad infierire sulla ragazza, sia colpendola al collo, quindi entrando da destra e fuoruscendo da sinistra, e poi colpendola ai lati della vagina, all’interno della coscia sinistra, lasciando una ferita bifida, che soltanto la torsione del polso sinistro può provocare, quindi il soggetto ha un uso istintivo e istintuale della mano sinistra, tanto che lo stesso medico legale che inizialmente fece l’autopsia, prima disse che la ragazza era stata colpita con uno schiaffone sferrato con la mano sinistra, poi, si vede, ha perso un pochettino la bussola, ha perso i parametri ed è andato a dire a volte destra, a volte sinistra. Dunque, a mio avviso l’assassino è un soggetto che ha l’uso esclusivo e preminente della mano sinistra, quindi non è un destrimane; le ventinove pugnalate sono state inferte mentre la ragazza era in vita, oppure nel limine vitae. Il colpo alla tempia, alla testa – non sulla guancia, sulla tempia sinistra  – l’ha tramortita. Praticamente le ha fatto perdere i sensi e le ha fatto immediatamente abbassare la pressione. Per questo i colpi quando sono stati inferti sul collo, sul cuore e sulla parte del sesso eccetera, anche se hanno raggiunto le aorte, non c’è stato lo schizzo violento del sangue, perché ormai il cuore pompava molto molto lentamente a causa di quel colpo violentissimo che la ragazza aveva avuto sulla tempia destra. Il colpo alla tempia destra mette immediatamente knock-out. Glie lo dico perché oltre ad essere criminalista e criminologo sono esperto di karate, di arti marziali e difesa personale, il colpo alla tempia destra è pericolosissimo. Tutte le ventinove ferite erano del tipo vitale ecchimotico, quindi sono state inferte quando il cuore pompava ancora, e quando la ragazza era in vita, pur essendo ormai bassissima la pressione. Sul caso ho scritto tre libri, circa centocinquanta saggi, una decina di consulenze, quindi sono andato ad approfondire ogni aspetto della vicenda. È interessantissimo però valutare anche la questione del sangue, perché la Corte di Cassazione, precedentemente, e anche successivamente a quando è stato assolto Raniero Busco, ha sentenziato ciò che la Corte d’Appello ha detto, cioè che l’assassino ha il gruppo A-dqalfa4/4. Quindi gruppo sanguigno A-dqalfa 4/4 sarebbe lo stesso allelico che nel 90 il professor Fiori e altri periti riuscirono ad individuare, a tipizzare. Però il PM ritenne che il sangue dell'assassino sul telefono fosse di gruppo 0 e non di gruppo A. Il gruppo 0 dqalfa 4/4 era riferibile a Simonetta Cesaroni, mentre il gruppo A dqalfa4/4 è riferibile all’assassino. Per ventiquattro anni mi sono litigato con gli inquirenti e con il PM, perché dicevano che non era vero che il sangue sul telefono fosse di gruppo A. Invece, finalmente, sia la sentenza d’appello che la Cassazione hanno definito una volta per tutte che il sangue sul telefono è di gruppo A, quindi non è né della vittima, che è di gruppo 0, e tantomeno di Raniero Busco, che è ugualmente di gruppo 0. Con questo sangue di gruppo A dqalfa 4/4 ci sono uno o due soggetti di Via Poma che praticamente hanno il sangue compatibile sia con questo gruppo che con questo aspetto allelico. Poi c’è un altro aspetto importantissimo, cioè che l’assassino è stato aiutato.


A proposito del sangue, come mai ci siamo fermati al gruppo sanguigno, e non siamo andati a vedere il DNA?

Il DNA è stato individuato, ma stiamo parlando del 1990. Il DNA, oggi, è noto anche a livello mediatico che viene analizzato tramite ventuno o ventitre regioni alleliche, quindi il DNA è dato da alcuni numeretti. All’epoca il DNA è stato analizzato, ma  soltanto tramite due regioni alleliche, perché il sistema tecnico-scientifico dell’epoca era quello. Il sangue (dell’assassino ndr) è di gruppo A, il dqalfa, cioè sarebbe l’assetto allelico, secondo il metodo dell’epoca, sempre riferito al DNA, – gli alleli sono riferiti alle quattro componenti del DNA, guanina, adenina, citosina e timina  – dissero che il sangue sul telefono era di gruppo A, con  DNA individuato come dqalfa 4/4. Quello che scrissero all'epoca – poichè il PM voleva vedere per forza verso un'unica direzione – fu che il gruppo sanguigno era 0 dqalfa 4/4, e all'epoca soltanto la vittima aveva il gruppo 0 dq alfa4/4. C'erano invece uno o due soggetti che avevano sangue gruppo A dq alfa 4/4.

Questi soggetti non vennero indagati?
No, non vennero indagati perchè inizialmente si disse che l'assassino era destrimane, mentre tutti e due questi soggetti, guarda caso, erano mancini, e poi la cosa importantissima è che il PM dell’epoca non volle mai considerare che il gruppo sanguigno fosse A e non 0. Infatti io mi litigai con questo PM. Finalmente la Corte d’Appello prima e la Cassazione poi hanno riconosciuto che il sangue sul telefono era A dq alfa 4/4. Questa è la situazione che riguarda il sangue. Ora, non essendoci più quel sangue, non può essere più analizzato secondo le metodiche attuali, perché se noi avessimo ancora quel sangue, con le metodiche attuali andremmo a individuare immediatamente chi è il produttore di quel sangue, dato che oggi ci sono le famose 21/24 regioni alleliche, mentre all’epoca ce n’erano soltanto due.


Vorrei farle un’altra domanda. Guardando il modus operandi dell’assassino, se ne evince una personalità molto particolare, quindi lei che profilo ne traccerebbe?
Quello di un soggetto violento, narcisista, aggressivo, che non permette assolutamente a nessuno di ostacolarlo, che ha agito e ha perso il controllo in seguito ad un rifiuto e rabbia esplosiva. Ha cominciato a colpire con una violenza estrema, colpendo gli occhi e il volto della ragazza, sia per sfregiarla e deturparne la femminilità, e nello stesso momento per indurla a tacere per sempre. I colpi al petto significano che il soggetto era in preda ad una rabbia esplosiva, omicidiaria, assassina, che voleva eliminare la vita della ragazza. I colpi al ventre hanno voluto offendere la sua femminilità, i colpi al pube indicano una tendenza a sadismo di tipo sessuale. Tutto questo la mente non lo decide in due minuti, in queste azioni tutto viene deciso dalla parte bestiale dell’aggressore, dalle parti arcaiche del cervello. Poi la persona cosa ha fatto? Ha lasciato la vittima in posa sguaiata, con le gambe aperte, in posa di disprezzo, di vilipendio, e poi ha chiamato qualcuno per farsi aiutare, e questo l’ha fatto telefonando. Ecco perché in una certa stanza ci sono delle tracce sul telefono, tracce che poi però sono state pulite con uno straccio. Da questa stanza il soggetto ha telefonato a qualcuno che è venuto ad aiutarlo. Questo qualcuno, dopo circa 45 minuti – perché a quel punto il sangue sul corpo della ragazza si era raggrumato – ha messo sul suo ventre il top bianco, che è stato repertato non sporco di sangue, il che sta a significare che il sangue non sgorgava più, e questo è un atto di pietas, di rispetto verso la vittima.


Questo vuol dire che quando è stata accoltellata, Simonetta si era spogliata.

Sì, Simonetta era nuda. Indossava soltanto il reggiseno che era sceso sotto i capezzoli, perchè i colpi che hanno trafitto il petto della vittima sono posizionati in modo che se il reggiseno fosse stato indossato in maniera normale, sarebbe stato trafitto dai colpi. Quindi la ragazza aveva già il reggiseno abbassato sotto le coste, però non se l'era tolto. Questo sta a significare che la ragazza è stata costretta a spogliarsi, ma non era consenziente ad effettuare quel tipo di rapporto.


 Comunque, come si evidenzia anche da alune foto, le scarpe di Simonetta – piccole scarpe di gomma – sono state trovate poste ordinatamente in un canto della stanza.

Sì, appaiate, una accanto all'altra, e dallo studio della posizione dei lacci e dell'ondulamento dei lacci stessi, ho dedotto, facendo un'analisi ben precisa, che sono state posate lì da una persona che usava la mano sinistra. All'interno di queste scarpe non c'era assolutamente alcuna traccia di sangue. Questo sta a significare che quando Simonetta è stata pugnalata, cioè a circa un metro e mezzo da dove sono state posizionate le scarpe, se fosse stata nei pressi, qualche schizzo di sangue per l'arma che si alzava – si chiama effetto Brandizzi, effetto dispersione, e poi che scalava, si chiama effetto aspersorio – qualche macchia di sangue avrebbe dovuto essere all'interno delle scarpe. Non essendoci, sta a significare che l'assassino, oppure il 'pulitore' ha spostato le scarpe dopo l'omicidio. Però la cosa importantissima è la questione del tagliacarte, che è senz'ombra di dubbio l'arma del delitto, sia per la forma bombata delle ferite, e sia perchè le ferite sono ecchimotiche, ciò che sta a significare che l'arma è penetrata non per la taglienza del filo, ma per la pressione, e tutte queste ferite sono compatibili con un tagliacarte che è stato ritrovato nella stanza e sulla scrivania di una certa Maria Luisa Sibilia. Il telefono sporco di sangue era nella sua stanza, quindi il 'pulitore' e l'assassino è lì che si sono attardati a fare qualcosa. La mattina alle ore 11 Maria Luisa Sibilia, che la mattina era tornata dalle ferie, non ha trovato il tagliacarte nella propria stanza. Chiede a due colleghe, ma nessuno ha saputo dirle dov'era. Non è andata nella stanza del capufficio, cioè nella stanza in cui è stata rinvenuta Simonetta. Per cui la Sibilia, alla presenza di due sue colleghe, ha aperto la corrispondenza con un tagliacarte che le hanno prestato loro. Alle 15 la Sibilia è andata via, e ha dichiarato che non aveva più trovato il suo tagliacarte. Quando è venuta la Polizia, il tagliacarte, l’arma del delitto, pulito e rassettato, era di nuovo sulla sua scrivania. Questo sta a significare che l’assassino, o il ‘pulitore’ sapeva che il tagliacarte era della Sibilia, ma non sapeva che la stessa lo avesse cercato alle 11. A questo punto escludiamo sia la Sibilia che le due colleghe. Il soggetto si è dimostrato territoriale, conoscitore degli orari, conoscitore dei locali, conoscitore dell’ambiente, conoscitore di molte cose, ma non sapeva che alle ore 11 il tagliacarte era stato cercato dalla Sibilia, altrimenti non sarebbe andato a metterlo sulla sua scrivania.


E’ stato rimesso a posto per evitare che si potesse collegare all’omicidio?
La persona che ha rimesso a posto il tagliacarte lo ha lavato, ha cancellato tutte le impronte digitali, le impronte di sangue, le impronte papillari. Ha poi tentato, ma non da solo, di pulire scena del crimine, aiutato dal 'pulitore' a cui aveva telefonato, o dalla coppia di pulitori. Il secondo arrivato, per un atto di pietas, di disfacimento psichico o di negazione del crimine ha coperto il ventre della ragazza, al minimo quarantacinque minuti dopo l’omicidio, quando il sangue non sgorgava più. Atti del genere un assassino che lascia la vittima in posa sguaiata non li fa. Si tratta di una persona che non ha voluto toccare il cadavere, e congiuntamente ha voluto coprirne il ventre, una persona che ha avuto pietà, quindi qualcuno che aveva venti o trent’anni più della vittima. Se si lavora a livello di profilo criminale, abbiamo ipotesi multiple, e ci dobbiamo fermare di fronte a due porte: una che ci conduce di fronte all’AIAG, l’altra di fronte al portierato. Sono queste le due porte, di più non si può fare. L’anno scorso ho mandato un mio esposto al Procuratore Capo di Roma, in cui espongo alcune mie deduzioni molto personali in qualità di cittadino, dico loro come la penso e li invito ad approfondire determinate piste.


Si è detto e scritto che nello svolgimento delle indagini l’assassino è stato interrogato, ma è stato scartato come possibile colpevole, è esatto?
Sì, a mio avviso l’assassino è stato ascoltato, solo che gli inquirenti inizialmente vedevano solo Pietrino Vanacore, poi hanno visto Federico valle, poi hanno visto Raniero Busco, e ogni volta, poiché erano concentrati nel dimostrare la loro tesi, non riuscivano a vedere ciò che avevano davanti.


Abbiamo detto che l’autore del delitto è una persona di sesso maschile , sicuramente molto forte e mancina: secondo lei, un giovane o una persona più anziana di Simonetta, che differenza d’età lei potrebbe ipotizzare? Quanti anni potrebbe avere, pressappoco, l’assassino?
All’epoca questo l’ho detto e l’ho scritto, quanto meno il soggetto aveva quarant’anni. Simonetta è stata uccisa per un rifiuto sessuale, in quanto il soggetto aveva ricevuto una fortissima ferita narcisistica dall’atteggiamento di rifiuto della ragazza, e l’ha uccisa per tacitazione testimoniale, cioè per far fuori un testimone della sua umiliazione. Quindi all’epoca un soggetto del genere doveva avere una compagna fissa o doveva essere sposato, quanto meno avere una relazione stabile, con figli, che non poteva mettere a rischio con una denuncia o una protesta fatta da Simonetta Cesaroni. Questa è un’ipotesi che si va a sposare sia se guardiamo nella direzione AIAG, sia se guardiamo nella direzione portierato. Bisognerebbe analizzare tutte le dichiarazioni che hanno fatto finora queste persone, fin dall’inizio, e poi andare a cercare tutte le contraddizioni testimoniali e dichiarative. Queste cose io le ho fatte, ma sono cose molto lunghe. Ho ipotizzato cinque scenari diversi, sono andato a fare i collegamenti eccetera. Ma il problema è che non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire, e di chi non vuole mai ammettere d’avere sbagliato. Il buon investigatore e il buon criminologo, se pagati dallo Stato, non devono mai fare del caso investigativo un caso di carriera o personale.


Come profilo del ‘pulitore’, ci starebbe la signora Giuseppa?
Non vedo la pulitrice, ma il pulitore, un maschio. Che poi qualche donna abbia voluto coprire il soggetto esecutore, questo è chiaro, a livello di colleganza. Le ripeto: in ambedue gli scenari abbiamo un soggetto pulitore maschio, la donna che può coprire, e la donna che può fiancheggiare, sia in un caso che nell’altro. Ora bisogna stabilire con esattezza quando la ragazza è morta realmente, e sapere se quella telefonata delle 17,10 – perché poi ce n’è stata un’altra alle 17,35  – è stata effettuata realmente da Simonetta Cesaroni, o no. Oppure bisogna capire se c’è stata o non c’è stata. Perché questo poi ci porta a guardare con l’occhio critico dell’arte investigativa. La domanda su Giuseppa mi fa capire dove lei vuole andare a parare. Giuseppa De Luca non è la madre biologica di Mario Vanacore, e ce ne siamo accorti andando a verificare il DNA. Mario Vanacore è figlio di Pietrino avuto in prime nozze. Infatti all’epoca, quando ci arrivò l’assetto allelico, paragonando i gruppi sanguigni, fu lì che scoprimmo che Mario Vanacore non era figlio di Giuseppa De Luca, ma era figlio di un’altra donna. Col DNA non si scherza. L’unica persona al mondo che sta scherzando con il DNA attualmente è la mamma di Bossetti. Lì fu la stessa cosa, c’erano i due numeretti, dq alfa che c’indicarono chiaramente che non poteva essere la mamma di Mario Vanacore. Invece come pulitore ci può stare Pietrino Vanacore, se lo scenario ci fa guardare verso il portiere, se invece ci fa guardare verso l’AIAG può essere sempre il portiere, però in un’altra maniera, o altrimenti qualcuno che girava nella situazione. Però se in questo noi andiamo a collegare il suicidio di Pietrino Vanacore,  – quello che ha detto Francesco Bruno, che ha messo in mezzo i servizi segreti, una specie di Spectre di Via Poma non è assolutamente vero, quello si è ammazzato – perché quello si è ammazzato due o tre giorni prima che dovessero andare a deporre tutti e tre. Se poi lei nota ciò che hanno detto questi personaggi, si capisce che hanno un accanimento particolare in una certa direzione. Insomma, gli scenari sono due. Possono essere risolti soltanto tramite la questione del DNA, quindi l’aspetto allelico, se è vero come è vero che il sangue sul telefono è di gruppo A dq alfa 4/4, si va verso una direzione. Se è vero come è vero che l’assassino è mancino, oppure non può usare la mano destra, si capisca chi deve essere guardato e indagato, e poi a questo punto si possono effettuare altre verifiche investigative. Comprenda che è duro per questi qui (gli inquirenti ndr) ammettere che Lavorino aveva ragione fin dal 1990.

Un’ultima cosa: non le sembra strano il suicidio di Pietrino Vanacore, dato che lui conosceva certamente l’identità del colpevole? Non è che per caso lo hanno ‘suicidato’?
Ho già detto prima che Pietrino Vanacore non lo hanno ‘suicidato’, ma lui lo ha fatto per una serie di motivi: per motivi di suicidio vicario, perché voleva coprire qualcuno, per rimorso, perché non se la sentiva di portare più quel peso. Ma che lo abbiano suicidato non ci credo assolutamente, anche perché tutte le evidenze medico-legali, testimoniali e dichiarative ci fanno indurre che si tratti di suicidio.


In mezzo metro d’acqua?
Sì, assolutamente, in mezzo metro d’acqua, anche perché faceva freddo, lui aveva una certa età, era indebolito, ed era intenzionato a suicidarsi. Nei polmoni gli hanno trovato acqua di mare, non un altro tipo d’acqua, né tracce di un soffocamento manuale. Sul cartello la scrittura era sua, le tracce sono sue, le risposte papillari sono le sue, il DNA è suo. La corda è andato a comprarla lui. Capisco che si voglia sempre fare dietrologia, naturalmente è sempre buono e ottimo sospettare di tutto, ma guardi che in mezzo metro d’acqua, se uno è intenzionato a morire, specialmente se è in uno stato fisico o psichico particolare, lo può senz’altro fare. Non c’è alcun riscontro che vada contro il suicidio, in questo caso. Hanno voluto mettere in mezzo i fantasmi di Via Poma, i servizi segreti deviati, eccetera, ma questo è un suicidio bello e buono. Anche perché Vanacore aveva già manifestato idee del genere.

LEGGI ANCHE:

SIMONETTA CESARONI: IL SILENZIO DI VIA POMA, PARTE 1

CASO CESARONI: IL SILENZIO DI VIA POMA – PARTE 2


 

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Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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