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Editoriali

MATTEO RENZI, OPERAZIONE REFERENDUM: I SOLDI DEGLI ITALIANI E… JIM MESSINA

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Tempo di lettura 4 minuti Se Obama gli ha potuto mettere a disposizione 750 milioni di dollari, possiamo conoscere il budget che invece gli ha offerto Renzi?

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di Roberto Ragone

Tutti abbiamo capito che la faccenda della Riforma Costituzionale, con annessa legge elettorale Italicum, è vitale per il governo Renzi. Ma forse non abbiamo capito fino a che punto. Sono lecite tutte le illazioni, ma per scoprire le carte fino in fondo bisognerebbe esser addentro alle segrete cose. Possiamo comunque farci un’idea dell’importanza del referendum e del SI’ per Renzi da fatti accessori che nonostante tutto emergono all’attenzione di un osservatore attento, mentre sono accuratamente celati al grande pubblico. Per intenderci, quello che ancora ascolta e da credito alle fantasiose dichiarazioni di don Matteo in televisione. Il Fatto Quotidiano riporta che negli ultimi tempi, a fronte di 79 ore di Renzi in TV per la campagna del referendum per il SI’, ci sono stati solo 79 secondi per la campagna del NO, a riprova dell’invasione autoritaria di questo governo, avallata dal comportamento decisamente non obiettivo della Rai, dove la mano di Renzi ha fatto le nomine.

Di solito un personaggio come Jim Messina si assume per eventi importanti, come hanno fatto Obama e la Clinton, il primo per la sua rielezione alla Casa Bianca nel 2012, la seconda attualmente in corsa per la prossima presidenza degli Stati Uniti, e candidata del Partito Democratico. Jim Messina è un personaggio ben conosciuto a Washington: Dan Pfeiffer, Senior Advisor del Presidente degli Stati  Uniti, lo definisce “La persona più potente a Washington di cui non avete sentito parlare.” Messina, come si può immaginare del suo cognome, è di origine italiana, e nel 2013 ha ricevuto il Machiavelli Award, come Americano Democratico Italiano dell’anno.  È nato a Denver, in Colorado, laureato a Boise, in Idaho, nel 1993 ha conseguito la Bachelor of Arts in Scienze Politiche a Giornalismo alla University of Montana, nel 1993. Nel 1995 è assunto dal senatore democratico Max Baucus, del Montana. Nel 1999 è capo del personale per la senatrice democratica Carol Mc Carthy, al congresso degli Stati Uniti. Nel 2002 corre nella campagna per la rielezione di Max Baucus. Dal 2002 al 2004 è capo del personale per il senatore americano Byron Dorgan, del Nord Dakota. Nel 2005 è ancora con il senatore Max Baucus come capo di stato maggiore. Messina è stato accreditato dal New York Times Magazine come l’autore della sconfitta del Presidente Bush. Nel 2008 è assunto come capo del personale per la campagna di Obama alla presidenza degli Stati Uniti, con a disposizione 750 milioni di dollari, per cui ebbe a dichiarare al New York Times: “È come avere le chiavi di una fottuta Ferrari.”
La campagna condotta da Jim Messina fu definita dal Bloomberg Business Week “Il corso accelerato di più alto wattaggio mai intrapreso.” Dopo la vittoria di Obama, Messina è stato nominato capo del personale, e successivamente vice-capo di Stato maggiore alla Casa Bianca, guadagnandosi il soprannome di ‘The Fixer’ per le sue relazioni politiche. Nel 2013 Messina fonda il ‘Messina Group’, allo scopo di fornire consulenza strategica alle campagne politiche, alle organizzazioni di difesa e alle imprese. Con la guida dei più importanti leader della tecnologia, Messina ha abbandonato ogni metodo tradizionale di campagna politica, fondendo tecnologia e politica in modo imprevedibile. L’Associazione Americana dei Consulenti Politici lo ha incoronato ‘Miglior Stratega dell’anno’. Nel gennaio 2013 l’amministrazione Obama ha annunciato il lancio di una nuova strategia di difesa allo scopo di promuovere le politiche del Presidente, con Jim Messina come presidente nazionale.

Nel gennaio del 2016 Jim Messina è stato assunto dal Presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi come responsabile della campagna per il referendum costituzionale del mese di ottobre 2016. Quest’ultima notizia ci riguarda da vicino, per più di una riflessione. Dando per scontato che un personaggio come Jim Messina non si paga a santini e bruscolini, certamente Matteo Renzi ha dovuto allargare i cordoni della borsa per qualche centinaio di migliaia di dollari, se non di più. Peccato che don Matteo li spenda per sé, e non per la nazione, visto che tutto il denaro di cui dispone ha una unica provenienza, cioè le nostre tasche.
Dopo l’aereo personale, attualmente, pare, inservibile, ma che comunque costa 40.000 euro al giorno, il premier si permette il lusso di ingaggiare il consulente più importante e sicuramente meglio pagato al mondo, e per cosa? Per una consultazione che dovrebbe essere ‘popolare’, con un comportamento antidemocratico teso ad influenzarne il risultato e quindi per falsare in ogni caso la volontà dei cittadini. Non abbiamo dubbi sulla capacità di Jim Messina, dimostrata più volte nel corso della sua carriera a fianco dei personaggi più potenti del mondo.

Se Obama gli ha potuto mettere a disposizione 750 milioni di dollari, possiamo conoscere il budget che invece gli ha offerto Renzi, o almeno quello che Messina gli ha richiesto, fatte salve le competenze del suo ‘Messina Group’? Davvero la trasparenza  non è la caratteristica migliore di questo governo Renzi.
In ogni caso, la posta in gioco è più alta di quello che ci vogliono far credere, con tutte le falsità che ci propinano, e di cui abbiamo già ampiamente scritto su queste colonne, riportando anche pareri autorevoli di costituzionalisti come Lorenza Carlassare, che non sarà consulente del Presidente Obama, ma è una persona di tutto rispetto e fiducia. Facendo due conti, e tenendo presente che la permanenza dell’Italia in questa Europa è importante per i poteri forti – banche, lobby e multinazionali – possiamo vedere chiaramente che tutta la faccenda è tesa ad ottenere in Parlamento una maggioranza bulgara, dopo avere svuotato di ogni potere un Senato fatto di nominati – e che nominati!  Questo per avere le ‘mani libere’ e condurre l’Italia dove i poteri forti vogliono che sia condotta.

Se l’operazione referendum dovesse fallire, crollerebbe tutto il castello di carte, e dopo la Brexit, forse anche noi potremmo liberarci di questa catena al collo, dato che l’Europa non ha mai fatto il bene dell’Italia, anzi, i guai sono iniziati proprio con l’euro e Prodi.  Ecco perché la presenza e la consulenza di un guru occulto come il già collaudato e super pagato Messina diventa necessaria e non più surdimensionata rispetto all’occasione. L’etica non è proprio il lato forte della politica, particolarmente quella di questo governo. Ci si chiede: è morale tutto ciò? È morale impiegare contro il parere democratico dei cittadini il loro stesso denaro? È morale super pagare un personaggio come Jim Messina per distorcere la volontà dei cittadini, che già si immagina orientata diversamente, dato che Messina è stato assunto a gennaio di quest’anno? È morale indire un referendum, che è la massima espressione della volontà popolare, per poi falsarne il risultato? È morale tutto ciò invece di accettare democraticamente di intraprendere la strada che la maggioranza dei cittadini ha scelto? Ricordiamocene ad ottobre, quando andremo a scegliere fra il SI’ all’addio definitivo alla possibilità di avere un governo democratico, e il NO all’autoritarismo, ad una svolta autoritaria che potrebbe portarci indietro di qualche decennio, e metterci in mano a dei padroni indesiderati. A proposito, di recente si è ancora riunita la Bilderberg, per decidere cosa non si sa, ma si può immaginare.
 

Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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