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Cronaca

DELITTO DI COGNE: ANNAMARIA FRANZONI CHIEDE AFFIDAMENTO AI SERVIZI SOCIALI

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Tempo di lettura 3 minutiLa sua richiesta è stata discussa nella mattinata di oggi davanti al Tribunale di Bologna

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di Angelo Barraco
 
Bologna – Annamaria Franzoni, condannata a 16 anni per l’omicidio del figlio Samuele Lorenzi e condannata a 16 anni, ha chiesto l’affidamento in prova ai servizi sociali. La sua richiesta è stata discussa nella mattinata di oggi, davanti al Tribunale di Bologna, che però si è riservato di decidere. La Franzoni si trova ai domiciliari presso la casa di Ripoli Santa Cristina, dal 26 giugno 2014. La sua richiesta è stata avanzata per attenuare ulteriormente la misura restrittiva.
 
Ma ripercorriamo il delitto di Cogne e la vicenda giudiziaria di Anna Maria Franzoni; il 30 gennaio 2002 è una data che è entrata nella storia poiché l’Italia si è svegliata con lo sgomento di un delitto atroce e assurdo, quello di Samuele Lorenzi. I centralini del 118 ricevono una telefonata di Anna Maria Franzoni alle ore 8.28 e in quella telefonata si sentiva parlare una donna in preda all’ansia e alla disperazione che diceva di aver trovato nel letto coniugale il figlio minore di tre anni che vomitava sangue. Quella stessa mattina Anna Maria Franzoni chiamò anche un’altra persona che entrerà in questa storia per ciò che ha fatto la mattina del delitto: la dottoressa Ada Satragni che aveva subito ipotizzato che la causa della morte era naturale ed era dovuta ad un aneurisma cerebrale. La dottoressa inoltre, quella mattina, fece delle manovre che hanno inevitabilmente compromesso la scena del delitto, per prima cosa ha lavato la testa del bambino e poi ha spostato il piccolo fuori casa, malgrado vi fosse molto freddo, tutto ciò lo fece con una barella improvvisata e con un cuscino. Non appena giunsero i soccorritori del 118 notarono subito che quelle ferite erano la conseguenza di un atto violento e chiamarono i Carabinieri. La morte di Samuele Lorenzi avvenne alle ore 9.55, l’autopsia rivelò che le cause della morte furono dei colpi sferrati alla testa con un oggetto contundente. Sul corpo del piccolo sono rinvenute tracce di rame, ciò fa pensare che l’oggetto fosse di metallo. Esattamente quaranta giorni dopo l’omicidio la Franzoni è stata iscritta nel registro degli indagati per l’omicidio del figlio. Il 14 marzo 2002, dopo l’iscrizione al registro degli indagati, è stata arrestata con la stessa accusa. 
 
ITER PROCESSUALE: Il processo di primo grado si svolge nel 2004, la Franzoni viene condannata con rito abbreviato e la pena inflittagli è di 30 anni di reclusione, nel processo d’appello viene ribadita la colpevolezza della donna, qui la Franzoni è affiancata dall’avvocato Taormina. Il processo si conclude il 27 aprile del 2007 con una sentenza che ha ridotto la sua pena a 16 anni. La riduzione della pena è stata determinata grazie alle attenuanti generiche che furono ritenute equivalenti all’aggravante della commissione del fatto nei confronti del proprio discendente. Ci fu il ricorso il Cassazione e nel frattempo la donna rimase in libertà poiché i giudici avevano escluso il pericolo di fuga, l’inquinamento delle prove e la reiterazione del reato. E’ stata effettuata anche una perizia psichiatrica nel novembre del 2008, perizia voluta dalla stessa Franzoni. La perizia confermò il rischio di reiterazione del reato e gli fu negata la possibilità di incontrare i figli fuori dal carcere. Nel gennaio del 2009 la donna fu rinviata a giudizio per calunnia nei confronti di  Ulisse Guichardaz e per frode processuale ed è stata condannata dal Tribunale di Torino ad un anno e quattro mesi nell’aprile del 2011. Il reato successivamente cadde in prescrizione. Dopo sei anni di detenzione, esattamente il 26 giugno del 2014, la donna venne scarcerata. Il motivo? Una perizia che ha escluso il pericolo di recidività. La donna già godeva di permessi premio e lavorava fuori dal carcere.

INDAGINI NELLA VILLETTA DEGLI ORRORI; L’ACCUSA.  L’arma del delitto non fu mai ritrovata, furono fatte numerose ipotesi sul tipo di arma, sulle dimensioni ma non fu mai rinvenuta. Sul pigiama della Franzoni furono trovate grandi quantità di sangue. L’accusa in sede processuale ha sostenuto che la donna lo ha usato nel compiere il delitto, poiché questa era l’unica spiegazione possibile. Altre macchie di sangue furono trovate nelle suole delle ciabatte della Franzoni. Fuori dall’area in cui si è verificato l’omicidio, non vi erano segni di fuga ergo non poteva esserci stato alcun intruso secondo l’accusa e i vicini non hanno notato nulla di strano. 
 
LA DIFESA: La difesa sostiene che il pigiama non sarebbe stato indossato dall’assassino e che giaceva sul letto e sostiene che l’assassino si sia introdotto in casa dopo aver visto la Franzoni che accompagnava il figlio alla fermata dello scuolabus. Nessuno rubò niente all’interno della casa e la donna dichiarò di aver chiuso la porta. Anche le dichiarazioni contraddittorie della donna suscitarono scalpore. Successivamente iniziò ad additare come assassini i vicini di casa, come Ulisse Guichardaz, indicandolo come il vero assassino. La donna disse che l’uomo aveva comportamenti molesti contro di lui, comportamenti che la stessa aveva mai segnalato a nessuno e non aveva mai denunciato. L’uomo fu interrogato ma nulla emerse sul suo conto, successivamente Anna Maria Franzoni puntò il dito su Daniela Ferrod, donna con il quale ma Franzoni ebbe qualche lite in passato nonché colei che chiamò per prima in soccorso.  

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