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Editoriali

VINCENZA SICARI: MORTE DI UNA CAMPIONESSA ABBANDONATA DA TUTTO E DA TUTTI

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LEGGI ANCHE: VINCENZA SICARI: LA CAMPIONESSA ASPETTA NOI

 

di Roberto Ragone

Questo è il titolo che tutti noi ci auguriamo di non dover mai leggere su di una pagina di giornale.

Vincenza Sicari, 37 anni due giorni fa, lodigiana, una splendida carriera alle spalle come maratoneta – ne ha vinte ben cinque, ventinovesima alla maratona olimpica di Pechino del 2008 – è ora inchiodata in un letto all’Ospedale di Pisa, aggrappata con disperata  determinazione a quella vita che sente sfuggirle minuto dopo minuto, mentre un male sconosciuto la sta divorando. Ma di che cosa è malata Vincenza? Questa è la faccenda più straziante. Il fatto è che non si sa quale sia la terribile malattia che la sta distruggendo, e i medici in Italia hanno alzato bandiera bianca, dopo aver compiuto tutti gli accertamenti possibili. “Vi prego,  – è il suo appello – aiutatemi. Il mio è un calvario, sto andando incontro alla morte. Ed ogni minuto che passa capisco che è una sensazione terribile…”. Nessun ospedale ha saputo darle una diagnosi. Né le Istituzioni, così pronte a polemizzare su farmaci ‘non conformi’ per fare gli interessi delle lobby, hanno risposto al suo appello.

Pare che fare le ricerche per una sola persona non valga la pena, non sia conveniente. “Le Istituzioni? Certo, ho sentito anche il ministro Lorenzin – le sue parole – mi ha detto di chiamare la direttrice sanitaria della Regione Toscana, ma qui non si muove nulla.” Nessuna voce neanche dal mondo dello sport. “Non ho ricevuto alcuna telefonata da parte della FIDAL, e quando ho chiamato il Centro Sportivo dell’Esercito, per il quale ho corso anche a piedi nudi e anche di notte, mi hanno risposto ‘Chiama Malagò’. Il presidente del CONI, almeno lui, ha capito, si è interessato. Gli avevano garantito la massima assistenza quando sono stata ricoverata a Roma, e invece nulla. E lui, mortificato, mi ha detto: ‘Cosa devo fare?’”

Il tempo passa, e Vincenza peggiora sempre più. Tutto questo è iniziato nel 2013, andava ancora bene, poi ha incominciato ad avere febbre, spossatezza, fino a che – lei, maratoneta – a non riuscire a camminare neanche per brevi percorsi. La prima diagnosi parla di ‘malattia degenerativa neuromuscolare’, ma niente di più. Viaggi in tutta Italia, in cerca di soluzione, invano. Anzi, a Roma le hanno anche detto che non poteva rimanere in ospedale, costava troppo per il Servizio Sanitario Nazionale – vedi i tagli sconsiderati e orizzontali – e il posto letto andava liberato.

Ciò che rimane è quella prima diagnosi e una TAC che parla di tumore al timo, nulla di più. Ora è a Pisa, ad aspettare chissà cosa, forse la morte, visto che ormai pesa meno di 40 chili ed è assolutamente immobile. Le rimangono la fede e la forza di volontà.  E così Vincenza è costretta, come tanti altri in questo bel Paese, a rivolgersi all’estero. Solo che i mezzi per farlo non ci sono. Per questo lanciamo un appello per una colletta che le consenta di raggiungere un Centro in cui possano trattare la sua malattia in modo adeguato, mentre in Italia l’impressione è che ognuno abbia voltato la testa dall’altra parte, in attesa che accada l’irreparabile, e così ognuno potrà tirare un sospiro di sollievo, visto che la sua presenza è diventata scomoda per tanti. Chi può fare qualcosa per Vincenza, lo faccia subito.

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Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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