Editoriali
SICILIA, SICILIANI E… MONNEZZA NOSTRA
Tempo di lettura 6 minutiLa domanda che il governo si è posta è: chi paga il conto? La risposta è contenuta nelle burocratiche circonlocuzioni del DL 78/2015: a pagare saranno come sempre i cittadini. Siciliani
Published
9 anni faon
di Enzo Basso
Un mese di ritardo negli stipendi? Tonnellate di spazzatura in più nei cassonetti? L’emergenza rifiuti a Messina è ormai una equazione con matematico risultato: i ritardi nella raccolta si trasformano negli ammassi di rifiuti che strabordano sui marciapiedi. Quindi incendi notturni, diossina che si sparge nell’aria fino alle
prime ore del mattino.
Una emergenza certificata per la quale a nulla valgono le denunce in Procura: l’ultima l’ha presentata la Cgil. Di integrato nel sistema rifiuti in Sicilia c’è solo il collasso economico e gestionale. Ne sanno qualcosa il manager Alessio Ciacci e il consulente Raphael Rossi. Incaricati dalla giunta free-verde targata Renato Accorinti di portare la gestione aziendale su binari di sostenibilità, hanno investito la parte più consistente del loro tempo a difendersi da altri “scarti”: le calunnie su compensi e rimborsi.
Una pratica già sperimenta anni fa contro il Gruppo Gulino, il socio privato di Enna con il quale la società mista è stata formata nell’era del sindaco Franco Providenti. Gulino, ex segretario provinciale del Pd, fedelissimo di Vladimiro Crisafulli, ha gettato la spugna per lo stesso motivo di Ciacci: anni di indagine, con il
sospetto e l’ombra della mafia addosso. che hanno poi partorito un maxi-processo durato anni a seguito dell’inchiesta portata avanti dal sostituto procuratore Ezio Arcadi e un paio di ridicole condanne.
Diagnosi finale: Messinambiente è sovrappeso e non è più gestibile. Ha più di seicento dipendenti che fanno il bello e il cattivo tempo. E a nulla valgono le lettere di contestazione minacciate dal liquidatore Giovanni Calabrò. Acqua fresca. Al punto che l’assessore all’Ambiente Daniele Ialacqua, confortato dal city manager di Palazzo Zanca Antonio Le Donne, medita di portare Messinambiente, società che tratta i rifiuti, tra i tentacolari tubi dell’Amam, che tratta acqua corrente. “Si vogliono lavare i panni sporchi, non più nell’Arno di Alessio Ciacci – nota un consigliere comunale in vena di citazioni – ma nella società guidata da Leo nardoTermini”. Il verbo del presidente Amam, svelato ai microfoni di una Tv locale nel corso della drammatica crisi idrica vissuta da Messina, è solo uno: “Rispondo a Dio e ai messinesi…”.
Messinambiente è una delle società passate ai raggi X nell’allarmante dossier elaborato dagli ispettori di Raffaele Cantone, il magistrato a capo dell’Anac, l’organismo anticorruzione del governo centrale, che ha sollevato il “caso Sicilia” prima negli affari della sanità, ora dei rifiuti.La carta di identità isolana si presenta con numeri da brivido: la più bassa percentuale di raccolta differenziata, appena il 12%, e il più alto buco nei conti pubblici degli Ato: 1 miliardo e 164milioni di euro di debiti.
La domanda che il governo si è posta è: chi paga il conto? La risposta è contenuta nelle burocratiche circonlocuzioni del decreto legge 78/2015: a pagare saranno come sempre i cittadini. Siciliani. Gli stessi che hanno votato i politici che hanno raddoppiato gli Ato da 9, uno per ogni provincia, a 18 e portato a undicimila i dipendenti da ricollocare nelle Srr, il nuovo acronimo della riforma in alto mare dei rifiuti che ha un colossale macigno da affrontare per i conti pubblici: i debiti del passato vanno spalmati in Sicilia nella tariffa Tari del futuro.
Città come Messina, già in testa alla classifica nazionale per il costo elevato della tassa rifiuti più alto con il livello di servizi più basso, rischia di non avere concorrenti diretti, se non nelle altre province siciliane. Una vera rivoluzione dal …Basso.Ai quasi 5 milioni di debiti degli Ato Messina2 e Messina4, fanno infatti buona concorrenza i trenta milioni di debiti accumulati a Trapani da Belice Ambiente, un “terremoto” contabile al quale segue il labirinto di “Dedalo Ambiente”, 5,7 milioni di debiti, per arrivare alle vette di Ennauno, dove i debiti accertati sono a quota 20,7 milioni. Sempre poca cosa rispetto ai 109 milioni accumulati dai Servizi integrati comunali. Perché una delle caratteristiche del fenomeno Sicilia, rilevata dagli ispettori di Cantone, “è la frammentazione delle sigle, enti che si sovrappongono nelle competenze, con funzioni che si trasformano in disfunzioni e centri decisionali sedimentati a livello regionale, provinciale e comunale”. Un caos operativo con due caratteristiche aumentate ancor più sotto la gestione del governo Crocetta: “emergenza e proroghe continue”.
Oggi ad esser sotto pressione è infattI per la Sicilia Sud-Occidentale la discarica di Siculiana, gestita dal vicepresidente di Confindustria Sicilia, Giuseppe Catanzaro. Lavora a piano regime e non riesce più a ospitare i rifiuti di venti comuni del Palermitano, i cui camion fanno lunghe file come l’emergenza partenopea di anni fa ci ha abituati a vedere. Ma quella dei rifiuti in Sicilia,è l’opinione degli osservatori più attenti del Ministero dell’Ambiente, rischia di essere più esplosiva di Napoli: Etna batte Vesuvio. Tre volte tanto.
La radiografia degli ispettori di Cantone è impietosa: la discarica di Mazzarrà Sant’Andrea viaggia per l’aldilà, è già “post-mortem”. Così quelle di Tripi e Formaggiara, Valdina e Vallone Guidara dove il Comune di Messina dovrebbe assicurarne per legge la gestione per i prossimi trent’anni. Dovrebbe, perché la società Metaservice di Catania, incaricata di fare defluire e riciclare negli impianti di Gioia Tauro il percolato prodotto, non riceve compensi da mesi e mesi, ha maturato più di 240 mila euro di crediti e ha annunciato la prossima sospensione del servizio.
Il rischio è che i veleni entrino silenziosamente nelle falde acquifere. L’impianto per il trattamento del percolato progettato da Tirrenoambiente, società mista chiamata a gestire la discarica di Mazzarrà, quasi ultimato e unico in Sicilia, non è mai entrato in funzione: i vertici della società sono stati azzerati dalle indagini della magistratura. E a gestire la società, che vanta crediti per 70milioni di euro verso pubbliche amministrazioni, al posto del dimissionario Alfio Raineri, nominato in quota privata è arrivato come amministratore unico il commercialista di Messina, Salvatore Avenoso.
L’unico sbocco, così, per i rifiuti di Messina, è la società Oikos di Motta Sant’Anastasia, dove l’abbancamento di rifiuti nella discarica di Valanghe d’Inverno è stato ora autorizzato dalla Regione con una ennesima ordinanza che si è aggiunta all’autorizzazione alla gestione commissariale ordinata dal consiglio di giustizia amministrativa.
Ma anche qui non mancano le polemiche scaturite da indagini su infiltrazioni mafiose e incarichi d’oro: all’ex prefetto di Messina in pensione Stefano Scammacca, chiamato a svolgere l’incarico di commissario, è assicurato un emolumento da 25mila euro lordi al mese. Ma Scammacca, il cui figlio Richard è al centro di imbarazzanti telefonate di raccomandazione tra la ex prefetta di Palermo, ora indagata, Francesca Cannizzo, e la ex presidente della sezione misure di prevenzione Silvana Saguto, fa di più. Chiama due tecnici etnei, “di fiducia” con incarichi da 45mila euro lordi al mese, l’ingegnere Riccardo Tenti e il commercialista Maurizio Cassarino. A questi si aggiunge poi la consulenza affidata a un generale dei carabinieri in pensione, Carlo Gualdi, “ingaggiato” a 8.500,00 euro al mese, affiancato a sua volta da un legale, con compenso di 9.000,00 euro al mese. Nomine del prefetto di Catania Maria Guia Federico, già “vice” del prefetto Scammacca, che hanno portato il deputato Giuseppe Beretta del Pd, ex sottosegretario alla Giustizia, a fare una interrogazione al governo che ha confermato l’imbarazzata, costosa vicenda, seguita all’arresto del titolare della Oikos, sospettato di rapporti di contiguità con la criminalità.
Un elemento in più per convincere il governo Renzi a decidere di commissariare la Sicilia. Il primo passo è quello di prevedere nell’Isola due degli otto inceneritori programmati a livello nazionale. Un piano, quello del governo centrale, che si scontra però con quello della Regione.
Crocetta vuole sei mini-inceneritori e minaccia di opporsi con tutte le sue forze all’idea dei due mega impianti, uno nella Sicilia Occidentale, uno in quella Orientale, a San Filippo del Mela, dove la A2A, che già gestisce un impianto del genere a Milano, vuole riconvertire l’ex centrale elettrica. Un impianto integrato da quattro diverse funzioni: uno fotovoltaico, da 864 kW; uno solare termico; uno di produzione di bio-metano da massa umida da raccolta differenziata; e uno, il più contestato, di Css, combustibile ricavato da rifiuti urbani indifferenziati. All’origine dell’operazione, per i manager del gruppo A2a, c’è il fatto che il costruendo Elettrodotto Sorgente-Rizziconi di Terna, di cui la settimana scorsa la Procura di Messina ha ancora una volta sequestrato un pilone a Villafranca per manifesta violazione delle leggi ambientali, mette fuori mercato e determina la chiusura della Centrale elettrica. Ma la riconversione della Centrale – studiata con un piano di innovazione e ricerca – può assicurare il mantenimento dei posti di lavoro, da un minimo di 90 a un massimo di 250 a pieno regime, rispettando le disposizioni ambientali indicate dal Ministero. Secondo il manager Alessandro Masi di A2a la diossina prodotta sarebbe appena un quarto da quella tollerata dalle tabelle ministeriali ed europee. “Frottole”, secondo lo studioso messinese Beniamino Ginatempo, che ripete “in natura nulla si crea e nulla si distrugge”e a proposito dei rifiuti vede un solo,responsabile rimedio: la crescita esponenziale della raccolta differenziata.
Perplessità sulla salubrità degli inceneritori vengono espresse anche dall’epimediologo Benedetto Terracini, che ha studiato gli effetti sull’ambiente in Emilia, notando l’anomala crescita di parti prematuri e un picco di linfomi “sospetti” nel territorio di Modena. Studi che non sono stati permessi all’ottantenne studioso nel mega inceneritore di Torino, partecipato anche dal Comune, perché le ditte che lavorano nell’indotto non hanno fatto sottoporre i dipendenti all’esame del sangue, per studiarne gli
effetti nel tempo.
Un fatto, il possibile inquinamento, che ha spaccato in tre gruppi i comuni della cintura industriale del Milazzese. Se a San Filippo del Mela il prete ambientalista padre Giuseppe Trifirò ha battuto sul tempo anche il sindaco Pasquale Aliprandi per dire il no all’impianto come è successo a Gualtieri Sicaminò per il referendum del 31 gennaio, a Condrò, Santa Lucia del Mela e San Pier Niceto hanno deciso di fare un passo indietro, bocciandone l’idea, mentre a Pace del Mela si andrà a votare per il referendum il 6 marzo prossimo.
Il sindaco di Milazzo, Giovanni Formica, si è espresso contro il referendum: “partecipano solo quelli che dicono no”, sostiene. “Meglio non farlo”. Ma se sulla carta tutti i sindaci sono contrari all’impianto, i Renziani, per bocca del sottosegretario Davide Faraone, hanno detto che il tempo è scaduto: “la Sicilia sarà commissariata”. E i due inceneritori sono la prospettiva più vicina. Una circostanza smentita dal ministro dell’Ambiente Galletti che ha assicurato anche ai sindaci della zona, andati in processione a Roma: “l’ultima parola sarà sempre della Regione”. Ma è proprio questo a preoccupare tanti in Sicilia. Una Regione che si contorce da anni dentro se stessa. Rotolando pure sull’emergenza continua dei rifiuti.
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