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Editoriali

ETRURIA BOND: QUIS CUSTODIET IPSOS CUSTODES

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Tempo di lettura 2 minuti Era il giorno degli ispettori ministeriali , quelli che con una virgola in più o in meno potevano farti saltare dalla sedia.

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di Domenico Leccese
Rotola nelle ultime ore il bidone delle responsabilità, alla ricerca di un colpevole. La Banca d'Italia tace, umiliata, per non far scappare dagli sportelli bancari quelli ancora da spennare. Tace la Consob che si è infilata nelle banche che doveva controllare. Come è attuale l'interrogativo vecchio di duemila anni "quis custodiet ipsos custodes" chi sorveglierà i sorveglianti stessi? Sarà la magistratura a trovare e a punire l'inazione che sconfina con la collusione?

Sull'argomento abbiamo voluto sentire il parere del Dirigente Generale – Dipartimento Agricoltura, Sviluppo Rurale, Economia Montana  della Regione Basilicata dr.  Rocco Rosa, che guarda, da vicino, agli amministratori… "Con l’occhio di una volta ogni tre mesi , negli Uffici dell’Ente nel quale lavoravo, tanti e tanti anni fa, si poteva tagliare l’aria col coltello. Tensione a mille, il Direttore agitato oltre misura, la cera per terra e un cero alla Madonna perchè tutto andasse per il meglio. Esagero, ma mica tanto. Era il giorno degli ispettori ministeriali , quelli che con una virgola in più o in meno potevano farti saltare dalla sedia. Si chiudevano nella loro stanza, riscaldata a puntino, la caffettiera pronta, e si alzavano alle due, per andarsene in trattoria, loro tre soli. Alle tre e mezzo tornavano a spulciare i conti, fino a sera tardi. La mattina successiva la stessa cosa. Ti rilasciavano copia del verbale e tu, dall’espressione del Direttore, vedevi se gli accertamenti erano andati a buon fine o meno. Ovviamente non è che allora tutto fosse lindo e pulito, ma tra chi ti doveva controllare e te, Ente sottoposto a vigilanza, c’erano quanto meno un ruolo delle parti ben definito e dei confini ben delimitati. Quando sento di come si è comportata la vigilanza bancaria in questi anni mi viene lo sconforto: io opero, tu giri le spalle, io ti faccio dare una consulenza per un’altra questione, tu cerchi di non vedere il rischio che sto facendo correre a chi ha investito i soldi nella mia banca. E via moltiplicando i casi di metastasi di un sistema dove alcuni sono furbi e tutti gli altri sono fessi, i furbi da una parte, a prescindere dal colore della maglietta e i fessi con la maglietta obbligatoriamente gialla, per la bile che sono costretti a mangiare. Indicazioni e suggerimenti? Non voglio trarre indicazioni o dare suggerimenti su quello che una classe politica nuova dovrebbe fare, ma un controllo, attento, oggettivo ed imparziale su come spendono i soldi pubblici ci vuole. Ci sono i revisori dei conti? Non bastano, perché essi , pur potendolo fare, quasi mai entrano nelle scelte decisionali di gestione realizzando così il paradosso di un controllo contabile che ha funzionato, mentre un ente si stava allegramente avviando verso il default (vedi il caso ENPAM). Questo per dire che quando si danno soldi pubblici non bisogna pensare che abbiamo trovato i Marchionne della situazione pronti a far diventare oro tutto quello che toccano, ma che abbiamo pure potuto incappare in qualcuno che spande e spende come se i soldi li avesse vinti alla lotteria, salvo poi lasciare un buco grande come un portone. E allora? E allora, troviamo dei meccanismi per guardarli da vicino, che sia un ufficio ispettivo oppure un resoconto semestrale a chi gli ha dato, insieme all’incarico, anche degli obiettivi da portare avanti."
 

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Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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