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Editoriali

GLI ERRORI DI MARINO

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di Silvio Rossi

 

Ormai erano tutti contro di lui. Al momento delle dimissioni il sindaco Marino era più solo della particella di sodio che vagava nel bicchiere d’acqua in una nota pubblicità televisiva. Le opposizioni hanno chiesto le sue dimissioni, in un’escalation di accuse che sono partite già prima che la vicenda Mafia Capitale sconquassasse l’establishment politico capitolino, di destra e di sinistra, e che negli ultimi mesi ha raggiunto livelli di scontro notevoli.
Anche da parte della sua maggioranza, però, nessuno era più disposto a difendere il medico che preferiva gli Stati Uniti alla città eterna. Anzi, gli attacchi più feroci, ultimamente, sono giunti proprio da parte del PD, convinto che la difesa a oltranza di un simbolo ormai percepito come sbagliato dalla stragrande maggioranza della popolazione, era politicamente un suicidio.
Eppure probabilmente le vere colpe di Marino sono inferiori rispetto a quelle dei suoi predecessori. Non ci si deve scordare che Alemanno è rinviato a giudizio per finanziamento illecito (il processo inizierà tra otto mesi), Rutelli dovette pagare 40.000 euro di risarcimento al Comune di Roma, per una condanna della Corte dei Conti, la giunta Carraro dovette dimettersi per l’alto numero di arresti e incriminazioni dei suoi assessori.
Marino, però, a differenza dei precedenti, ha dato dimostrazione di non aver la minima cognizione di come affrontare una qualsiasi difficoltà. La dimostrazione fu offerta subito con la vicenda delle multe alla Panda, una storia quasi surreale, che ha comunque reso il sindaco di Roma lo zimbello dei social network (le battute sulla panda con multa incorporata sono state moltissime).
Di Marino, purtroppo, restano le sue numerose fughe. Ciò che realmente l’ha reso non credibile, non sono state le spese di rappresentanza, inferiore a quelle dei suoi predecessori, e a quelle di molti suoi colleghi. Sono le assurde giustificazioni, che avevano il tono del bambino che negava di aver mangiato la marmellata, pur avendo le labbra ancora sporche. Sono le continue assenze dal Campidoglio, nei momenti in cui si decide il futuro della città. Marino non c’era quando è stato nominato Gabrielli, non c’era quando il Presidente dell’Autorità anticorruzione Raffaele Cantone ha presentato la relazione sull’amministrazione capitolina.
Anche la sua presenza a Philadelphia, durante la visita del Papa, che avrebbe potuto essere gestita come un punto di forza da un politico capace, si è rivelata per Marino un boomerang. Il sindaco di Roma è riuscito in un’impresa che nessun altro politico nostrano, anche se ha commesso atti moralmente peggiori, ha mai neanche sfiorato. Ha visto il Santo Padre smentire le sue parole.
E si sa, il sindaco di Roma non deve stare bene solo al suo popolo (e Marino aveva perso la fiducia della gente), alle istituzioni nazionali (e certamente il rapporto tra il sindaco e il Premier si è molto incrinato negli ultimi mesi), ma soprattutto deve essere bene accetto da chi abita sul lato destro del Tevere, perché nessun sindaco può governare Roma contro il volere del Vaticano.

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