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di Silvio Rossi
Un’alleanza sulle riforme che ha creato più di uno scontento, in entrambi i fronti del panorama politico italiano (e che naturalmente non è benvista neanche dai Cinque Stelle, che sono invisi alla politica perpetrata dai partiti tradizionali). L’aiuto portato da Denis Verdini a Matteo Renzi, con l’ALA che, con i suoi sette deputati, e soprattutto con i tredici senatori, potrebbe rivelarsi determinante per far approdare con successo la riforma costituzionale, non è piaciuto né ai vecchi alleati del banchiere fiorentino, in primis il leader di Forza Italia, Silvio Berlusconi, né tantomeno alla minoranza del PD, che spesso in parlamento si dimostra l’ala più dura contro i cambiamenti proposti dal Premier.
I «duri e puri» del Partito Democratico, l’ala sinistra gruppo parlamentare, rimproverano la loro “sostituzione” con Verdini, per raggiungere la maggioranza in Senato. Giudicando «inaccettabili» i voti provenienti dal nuovo gruppo. Verdini è diventato, per Bersani e seguaci, il simbolo degli inqualificabili, il simulacro dell’avversario con cui non si può concordare neanche sulle riforme.
Da parte dei renziani, la replica è che ALA non è entrata nella maggioranza di governo, ma sta sostenendo il processo delle riforme, così come fece anche Forza Italia, prima che Berlusconi dichiarasse concluso il “Patto del Nazareno”, e che il Primo Ministro ha sempre detto che, mentre le azoni governative vengono votate dalla sola maggioranza, le riforme sono da intendere come provvedimenti da condividere con chiunque abbia voglia di partecipare a un percorso condiviso con tutti.
Ma anche fosse entrata ALA nella coalizione, con quale coerenza Gotor, Migliavacca, Mineo, possono additare Verdini, quando solo due anni fa, dopo il fallimento del tentativo bersaniano di formare un governo, hanno partecipato a un governo in cui Berlusconi era alleato, ed esprimeva cinque ministri, tra cui il vicepremier (che era appartenente a Forza Italia prima della separazione con NCD), e la De Girolamo, appena tornata tra le braccia del Cavaliere?
Con quale serietà un Fassina può parlare oggi di Verdini, se durante il governo Letta, divideva il ruolo di viceministro alle Finanze insieme a Casero, allora appartenente a Forza Italia?
Verdini, e i venti parlamentari che hanno condiviso con lui la nuova avventura, possono essere politicamente poco attrattivi per gli esponenti di un partito di centrosinistra, ma certamente ciò non avviene oggi, mentre lo si considerava un buon alleato di governo, quando l’ala sinistra del partito aveva la presunzione di dare le carte, non conoscendo neanche i segreti del gioco.
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