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Editoriali

PREGHIERA DEGLI ALPINI. LA POLEMICA INUTILE

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Tempo di lettura 2 minuti Molti politici preso posizioni forti su una notizia fasulla

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di Silvio Rossi

Sembra una di quelle bolle mediatiche, che spesso ingigantiscono una falsa notizia, col risultato di generare esternazioni da parte di tutti, politici compresi, che spesso fanno dell’avventatezza una caratteristica della loro comunicazione.
È bastato quindi che qualcuno diffondesse la notizia che il vescovo di Vittorio Veneto avesse censurato la preghiera degli alpini, perché nelle sue parole: “Rendi forti le nostre armi contro chiunque minacci la nostra Patria, la nostra Bandiera, la nostra millenaria civiltà cristiana” si ravvisava una possibile offesa agli stranieri.
Una decisione che sembrerebbe assurda, e proprio per questo motivo, prima di commentarla, meriterebbe un approfondimento, per evitare commenti sbagliati. Un processo di verifica della notizia che però sembra non appartenere al modus operandi di molti politici nostrani.
L’intero centrodestra, con in prima linea Salvini, ha lanciato parole di fuoco contro questa ingerenza della chiesa. Il leader della Lega ha twittato: “VIETATA la Preghiera dell’Alpino a Messa! Pazzesco. La Diocesi di Vittorio Veneto ha proibito la lettura di questo brano alla fine della Messa al Passo San Boldo, tra Treviso e Belluno”.
Poco dopo ha fatto da eco Daniela Santanché, che nella sua pagina ha scritto: “Non si può più recitare la preghiera degli alpini in chiesa perché è offensiva nei confronti degli stranieri #senzaparole”.
Polemiche che hanno stupito il vescovo di Vittorio Veneto, monsignor Corrado Pizziolo, che ha dichiarato a Sat2000: “Io per rispetto alla tradizione che non è neanche troppo antica e facendo leva sul buonsenso delle persone non ho emanato nessun intervento che proibisca o indichi in quale modo dev’essere recitata la preghiera. Sono un po’ caduto dalle nuvole difronte a questa esplosione che mi sembra assolutamente esagerata”.
Sarebbe bastato però informarsi sul testo della Preghiera dell’Alpino, invece di “dare fiato al tweet”, per accorgersi come la versione non accettata dal sacerdote officiante, non sia quella riconosciuta ufficialmente, ma una vecchia versione apparsa subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, e modificata, proprio perché conteneva la frase suddetta, non in linea con lo spirito cristiano, che dovrebbe essere la base perché una preghiera venga letta in una chiesa, nel 1972 dal cappellano del 4° Corpo d’Armata alpino, monsignor Pietro Parisio, che la modificò in: “Rendici forti a difesa della nostra Patria e della nostra Bandiera”. L’indignazione di Salvini e Santanché giunge quindi con la bellezza di quarantatré anni di ritardo.
Ad affermare la modifica della preghiera è una fonte non certo contraria alle penne nere, la storia della preghiera è ben rappresentata nel sito dell’Associazione Nazionale Alpini di Roncegno (vedi link).
C’è da dire che non solo tra i politici di centrodestra c’è stata questa incauta levata di scudi. Anche il sindaco di Treviso, Giovanni Manildo del PD, ex alpino, ha contestato la decisione di non far leggere la preghiera, nella versione non ufficiale.
Troppe volte molti nostro politici si lanciano in esternazioni che, dopo una semplice verifica dei fatti, appaiono perlomeno ingenue. Ci si chiede a questo punto, ma se affrontano tutte le questioni con la stessa leggerezza con cui lanciano i propri strali, come possono prendere decisioni che influiscono sulla vita dei propri concittadini?

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Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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