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PENSIONI: IL DECRETO E' LEGGE. DA AGOSTO PARTIRANNO I RIMBORSI

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Tempo di lettura 2 minuti L’approvazione è avvenuta con 145 si e 97 no e un astenuto. Il provvedimento quindi ormai è legge poiché ha completato l’Iter parlamentare

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di Angelo Barraco
 
Roma – E’ stato approvato in via definitiva il decreto Pensioni presso l’Aula del Senato. L’approvazione è avvenuta con 145 si e 97 no e un astenuto. Il provvedimento quindi ormai è legge poiché ha completato l’Iter parlamentare. Dal 1 agosto partirà un rimborso parziale delle pensioni intaccate dalla Norma Foriero su cui si era pronunciata la Corte Costituzionale il 30 aprile. La norma, che è contenuta nel decreto denominato “Salva Italia”, gli anni 2012-2013 sui trattamenti pensionistici con un importo superiore a tre volte il minimo inps scatta il blocco perequazioni. 
 
Del rimborso ne aveva parlato Renzi in un programma di Giletti poco tempo fa dove ha promesso "Rimborseremo le pensioni di 4 milioni di italiani con 500 euro a testa in media". Il primo ministro ha parlato di molte cose, dalle pensioni al fantomatico termine dei lavori della Salerno-Reggio Calabria per il 2016, con un Giletti stupito che diceva al premier che la responsabilità di quell’impegno era enorme e infatti lo è poiché la speranza della chiusura di quei lavori ormai è diventata un’utopia.
 
Ma andiamo con ordine. Renzi ha parlato di pensioni e ha detto che circa "quattro milioni di pensionati, il primo agosto, avranno circa 500 euro a testa in media". Questo vuol dire che verranno rimborsate le pensioni fino a quelle di 3mila euro. Il rimborso sarà comunque a scaglioni: i pensionati con un assegno più basso prenderanno di più.
 
Renzi ha voluto anticipare da Giletti la soluzione che il governo porterà al Cdm come risposta alla sentenza della consulta in merito al blocco delle indicizzazioni delle pensioni. Il premier ha puntualizzato anche che nessun pensionato perderà un centesimo da tutta questa vicenda. il primo ministro ha poi aggiunto che "gli assegni superiori ai 3.000 euro saranno tenuti fuori dal rimborso".
 
Questo bonus non andrà a tutti poiché vi sarà una differenza tra quanto spetterebbe e quanto effettivamente incasseranno. L’Inps ricorda che non sarà necessario presentare alcuna domanda ma aggiunge che gli eredi dei pensionati deceduti potranno chiedere ciò che gli spetta e solo in questo caso bisognerà presentare domanda. Emerge che in Italia il 56,3% delle pensioni ha come beneficiario le donne che rappresentano più della metà, ovvero il 52,9% dei pensionati. Malgrado ciò, ricevono il 44,2% dei 273 miliardi di pensioni erogati. Inoltre, emerge un dato geografico molto importante, ovvero che il 28% dei pensionati risiede al nord, il 20% nel resto d’Italia e al sud soltanto il 10% comprese isole. Malgrado siano dati di qualche anno fa, sono dati da tenere in considerazione da parte del Governo. I dati Istat riportano inoltre che i pensionati che hanno il guadagno maggiore risiedono nel Lazio (19.549 euro) e invece quelli che guadagnano meno risiedono in Basilicata (14.226 euro).
 
L’una tantum comprende. Duecento dieci euro di arretrati relativi al 2012, 447,2 euro per il 2013, 89,96 per il 2014 e 48,51 per il 2015. Dal 2016, l’assegno mensile che percepirà il pensionato sarà di 1541,75 euro. Per gli anni 2012-2013 viene riconosciuta una rivalutazione pari al 40% per i trattamenti pensionistici superiori superiore al trattamento minimo Inps. La rivalutazione non è riconosciuta per i trattamenti pensionistici superiori a sei volte, ovvero 3.000 euro lordi mensili. Per il 2014 e il 2015 la rivalutazione è del 20% dell'aumento ottenuto per ogni fascia di reddito nel biennio 2012-2013. Per il 2016, la rivalutazione è del 50% dell'aumento ottenuto per ogni fascia di reddito nel biennio 2012-2013. 

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Editoriali

19 luglio 1992: un maledetto pomeriggio

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Lo ricordo come allora quel tragico 19 luglio 1992.
Un caldo improponibile, come quello di questi giorni.
Ma era sabato e con gli storici amici del paese l’appuntamento era fisso: “… ci vediamo più tardi al chiosco, verso le 5, e poi decidiamo dove passare pomeriggio e serata …“.
E cosi facemmo!
Arrivammo un po’ alla spicciolata (cellulari, WhatsApp ed altro sarebbero arrivati anni dopo).
Per ultimo, ma non per questo meno importante, uno dei nostri amici, all’epoca cadetto alla scuola sottufficiali dei Carabinieri.
Lo sguardo basso, ferito oserei dire.
Il passo lento, non era il suo solito passo.
Gli occhi lucidi che facevano presagire che qualcosa di grave era successo.
“Hanno ammazzato pure Paolo”, furono le sue uniche indimenticabili parole.
In un momento i nostri sorrisi, la nostra voglia di festeggiare quel sabato si ruppe.
Non erano passati neanche due mesi dell’attentato di Capaci in cui Giovanni Falcone, sua moglie e gli uomini della scorta erano stati ammazzati per ordine della Mafia ed ora anche Paolo Borsellino e la sua scorta erano lì dilaniati dall’ennesimo atto vigliacco di Cosa Nostra.
Giovanni e Paolo incarnavano i sogni di quella nostra generazione pronta a scendere in piazza per dire “NO ALLA MAFIA”.
Una generazione che aveva fatto dell’impegno politico e sociale la propria stella polare.
Quei due uomini seppero farci capire quanto l’impegno dovesse essere sempre animato da uno spirito di sacrificio personale.
Ci fecero capire che per cambiare il mondo il primo impegno era mettersi in gioco.
Quel pomeriggio i nostri sogni di ragazzi che volevano un mondo migliore saltarono in aria come quella maledetta bomba in via d’Amelio.
Ma capimmo, anni dopo, che dalla loro morte sarebbe germogliato quel seme che avrebbe fatto crescere la pianta rigogliosa della legalità.
Oggi a più di 30 anni dalla loro morte tengo in mente due loro pensieri:

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

L’ importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio ma incoscienza (Giovanni Falcone)
La paura è umana, ma combattetela con il coraggio (Paolo Borsellino)


Ecco paura e coraggio … le loro vite, il loro impegno, il loro sacrificio ci hanno insegnato che possono convivere e farci essere grandi uomini.

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Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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Editoriali

La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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