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DIPENDENZA AFFETTIVA, "LOVE ADDICTION": OSSESSIONE D'AMORE

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Tempo di lettura 4 minuti Chi vive questo tipo di dipendenza attribuisce all’altro, oggetto d’amore, una importanza tale da annullare se stessi

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A cura della D.ssa Vanessa Tartaglia, Psicologa-Psicoterapeuta

 

La dipendenza affettiva o "love addiction" è uno stato patologico nel quale la relazione di coppia è vissuta come condizione unica, indispensabile e necessaria, per la propria esistenza; uno dei partner mostra la difficoltà a porre un confine psichico tra se stessa e l'altro ed a conservare la propria individualità all'interno di un rapporto sentimentale. Chi vive questo tipo di dipendenza attribuisce all’altro, oggetto d’amore, una importanza tale da annullare se stessi, non ascoltando i propri bisogni e le proprie necessità. L'altro diventa la linfa vitale di cui quotidianamente nutrirsi, condizione indispensabile alla sopravvivenza.
Non sempre la differenza tra amore e dipendenza affettiva è netta. Può addirittura accadere che i due fenomeni si confondano. La chiave di distinzione sta nel grado di autonomia dell'individuo e nella sua capacità di trovare un senso in se stesso. Diversamente da quanto comunemente si crede, l'amore nasce dall'incontro di due unità, non di due metà. Solo per si percepisce nella sua completezza è possibile donarsi senza annullarsi, senza perdersi nell'altro. Chi è affetto da dipendenza affettiva, non essendo autonomo, non riesce a vivere l'amore nella sua profondità e intimità. La presenza dell'altro non è più una libera scelta ma è vissuta come una questione di vita o di morte: senza l'altro non si ha la percezione di esistere. I propri bisogni e desideri individuali vengono negati e annullati in una relazione simbiotica. Tutto questo per evitare di affrontare la paura più grande: la rottura della relazione!
I sintomi della dipendenza affettiva sono i seguenti:
 terrore dell’abbandono e della separazione
 evidente mancanza di interesse per sé e per la propria vita
 paura di perdere la persona amata
 devozione estrema
 gelosia morbosa
 isolamento
 incapacità di tollerare la solitudine
 stato di allarme e di panico davanti alla minima contrarietà
 assenza totale di confini con il partner: la relazione è simbiosi e fusione
 paura di essere se stessi
 senso di colpa e rabbia

Le relazioni che instaurano queste persone non sono casuali, ma soddisfano il bisogno di avere a tutti i costi una relazione, quindi le false lusinghe mosse dall’altro fungono da trappola che li induce ad intraprendere una nuova relazione. L’altro, persona forte e sicura di sé, tronfio del suo enorme ego, funziona da specchietto per le allodole. La dipendente affettiva pensa al brillante futuro di protezione che potrebbe avere con questa persona che, a sua volta, si ingaggia in una relazione affettiva con questa tipologia di soggetto solo perché ha bisogno di sottomettere qualcuno su cui esercitare la propria superiorità.
Sono dunque atteggiamenti e comportamenti che si incastrano perfettamente: il manipolatore sceglierà una compagna sottomessa e insicura nella quale saprà trovare a poco a poco la zona vulnerabile che consentirà l’instaurarsi di un rapporto di dipendenza; l’area di vulnerabilità funge da gancio di traino, meglio lo aggancio più sottometto l’altro che, a sua volta, soffre e per paura di sganciarsi si lascia tirare sempre di più (spesse volte fino al punto di ricevere danni fisici).

Dove affonda le radici la dipendenza affettiva?
Le cause della dipendenza affettiva vanno ricercate in particolari dinamiche familiari che hanno portato la persona dipendente a costruirsi un’immagine di se come di persona inadeguata, indegna, dove la misura della propria autostima è nella capacità di sacrificarsi per la persona amata.
Tra le peculiarità della storia personale e familiare condivise da chi è coinvolto in un problema di “love addiction” ci sono:
• la provenienza da una famiglia in cui sono stati trascurati, soprattutto nell’età evolutiva, i bisogni emotivi della persona in virtù dei bisogni materiali;
• una storia familiare caratterizzata da carenze di affetto autentico che tendono ad essere compensate attraverso una identificazione con il partner, un tentativo di salvare lui/lei che in realtà coincide con un tentativo interiore di salvare se stessi;
• una tendenza a ri-attribuirsi nella propria vita di coppia, più o meno inconsapevolmente, un ruolo simile a quello vissuto con i genitori che si è tentato a lungo di cambiare affettivamente, riprovare per ottenere un cambiamento nelle rispetto al passato;
• l’assenza nell’infanzia della possibilità di sperimentare una sensazione di sicurezza genera un bisogno di controllare in modo ossessivo la relazione e il partner, che viene nascosto dietro un’apparente tendenza all’aiuto dell’altro.
Per questo, la dipendenza si alimenta e si nutre del rifiuto, della svalutazione, dell’umiliazione, del dolore: non si tratta di provare piacere nel vivere tali difficoltà, ma di dare corpo al desiderio di essere in grado di cambiare l’altro, di convincerlo del proprio valore, di salvarlo, riuscendo a farsi amare da chi ama solo se stesso. Amare un partner realmente affettuoso e gentile porta ad annoiarsi, invece lo stare sulla corda, il rifiuto, la mancanza di certezza muove il desiderio. Naturalmente, si tratta di valutazioni errate che alimentano e mantengono il disturbo.

Come guarire dalla dipendenza affettiva?
Il principale problema nella risoluzione delle dipendenze affettive è l’ammissione di avere un problema. Esistono infatti dei confini estremamente sottili tra ciò che in una coppia è normale e ciò che diviene dipendenza. La difficoltà nell’individuazione del problema risiede anche nei modelli distorti di amore che possono far ritenere determinati abusi e sacrifici di sé come “normali”. Spesso, paradossalmente, è la “speranza” che fa sopravvivere il problema e che tende a cronicizzarlo: la speranza in un cambiamento impossibile, soprattutto in un contesto relazionale in cui si sono consolidati dei copioni da cui è difficile uscire. Così, paradossalmente, l’inizio del cambiamento arriva quando si raggiunge il fondo e si sperimenta la disperazione, che rappresenta la possibilità di sotterrare le illusioni che hanno nutrito a lungo il rapporto patologico. E' questo il momento in cui si è più disposti a chiedere aiuto e può essere l'occasione per iniziare un percorso psicologico di cambiamento, finalizzato alla costruzione di legami sentimentali più appaganti.
Nel momento in cui il disagio e la sofferenza diventano troppo pesanti, tanto da compromettere seriamente la vita quotidiana, è bene rivolgersi ad uno psicologo. Indicazioni psicologiche importanti possono giungere tramite l'analisi delle relazioni interpersonali passate e presenti attraverso un fiducioso e rispettoso percorso psicologico, una persona dipendente affettivamente può acquisire importanti indicazioni per ricollocare finalmente se stessa al centro della propria vita per concedersi la possibilità di farsi amare in modo sano e diventare sereni.
L’obiettivo del processo terapeutico è rappresentato dall’acquisizione di consapevolezza: scoprire la propria fragilità può trasformarsi in una forza che permetterà di avere una più chiara visione della realtà e di conseguenza darà alla persona che soffre di dipendenza affettiva la capacità di migliorare la propria vita.

Contatti:
Dott.ssa Vanessa Tartaglia
Psicologa-Psicoterapeuta
Cell.3388558488 email: vanessatartaglia@yahoo.it
www.centropsicologiacastelliromani.it
p.zza Salvatore Fagiolo n. 9 00041 Albano laziale

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Editoriali

19 luglio 1992: un maledetto pomeriggio

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Lo ricordo come allora quel tragico 19 luglio 1992.
Un caldo improponibile, come quello di questi giorni.
Ma era sabato e con gli storici amici del paese l’appuntamento era fisso: “… ci vediamo più tardi al chiosco, verso le 5, e poi decidiamo dove passare pomeriggio e serata …“.
E cosi facemmo!
Arrivammo un po’ alla spicciolata (cellulari, WhatsApp ed altro sarebbero arrivati anni dopo).
Per ultimo, ma non per questo meno importante, uno dei nostri amici, all’epoca cadetto alla scuola sottufficiali dei Carabinieri.
Lo sguardo basso, ferito oserei dire.
Il passo lento, non era il suo solito passo.
Gli occhi lucidi che facevano presagire che qualcosa di grave era successo.
“Hanno ammazzato pure Paolo”, furono le sue uniche indimenticabili parole.
In un momento i nostri sorrisi, la nostra voglia di festeggiare quel sabato si ruppe.
Non erano passati neanche due mesi dell’attentato di Capaci in cui Giovanni Falcone, sua moglie e gli uomini della scorta erano stati ammazzati per ordine della Mafia ed ora anche Paolo Borsellino e la sua scorta erano lì dilaniati dall’ennesimo atto vigliacco di Cosa Nostra.
Giovanni e Paolo incarnavano i sogni di quella nostra generazione pronta a scendere in piazza per dire “NO ALLA MAFIA”.
Una generazione che aveva fatto dell’impegno politico e sociale la propria stella polare.
Quei due uomini seppero farci capire quanto l’impegno dovesse essere sempre animato da uno spirito di sacrificio personale.
Ci fecero capire che per cambiare il mondo il primo impegno era mettersi in gioco.
Quel pomeriggio i nostri sogni di ragazzi che volevano un mondo migliore saltarono in aria come quella maledetta bomba in via d’Amelio.
Ma capimmo, anni dopo, che dalla loro morte sarebbe germogliato quel seme che avrebbe fatto crescere la pianta rigogliosa della legalità.
Oggi a più di 30 anni dalla loro morte tengo in mente due loro pensieri:

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

L’ importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio ma incoscienza (Giovanni Falcone)
La paura è umana, ma combattetela con il coraggio (Paolo Borsellino)


Ecco paura e coraggio … le loro vite, il loro impegno, il loro sacrificio ci hanno insegnato che possono convivere e farci essere grandi uomini.

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Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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Editoriali

La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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