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PECHINO: VIETATO FUMARE IN PUBBLICO

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Tempo di lettura 11 minutiPer tutti i trasgressori vi saranno sanzioni che vanno dai 200 yan (corrispondono a 29 euro) al fumatore, invece al proprietario del locale tocca una multa pari a 10.000 yen (pari a 1.470 euro)

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di Angelo Barraco
 
Pechino – In Cina è entrata in vigore la legge antifumo che pone il divieto di fumare in pubblico a Pechino. Con la legge entrata in vigore è vietato fumare in ristoranti, uffici, autobus, metropolitana. Questa legge è una rivoluzione per il paese poiché ogni anno muoiono 1 milione di persone a causa del fumo e vi sono circa 300 milioni di fumatori. Per tutti i trasgressori vi saranno sanzioni che vanno dai 200 yan (corrispondono a 29 euro) al fumatore, invece al proprietario del locale tocca una multa pari a 10.000 yen (pari a 1.470 euro). In Italia invece com’è la situazione sul fumo? Quali sono le leggi in atto? Analizziamole: partiamo dall’articolo base che vieta la vendita sigarette e tabacco ai minori di 16 anni che è il Regio decreto del 24 Dicembre 1934, n. 2316 – art.25. Vi è poi l’articolo 41 della Costituzione Italiana che stabilisce  limiti al commercio di prodotti che recano danno alla collettività o all'individuo. L’importanza di questi tabella e lo scopo di questi tabella è la salute dell’individuo, proprio la salute dell’individuo, il diritto alla salute è sancito nell’articolo 32 della costituzione. Anche in Italia abbiamo un articolo che vieta il fumo nei locali pubblici (Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri (PDCM) del 14 dicembre 1995). Abbiamo anche un articolo a tutela dei non fumatori ovvero la sentenza della Corte Costituzionale n.399 dell’11 dicembre 1996 in cui il datore di lavoro ha obbligo di tutelare i non fumatori. Il diritto di non inalare fumo passivo viene prima del diritto di fumare. Ricordiamo che l’articolo 32 della Costituzione Italiana dice: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. La Legge 11 novembre 1975, n. 584 “Divieto di fumare in determinati locali e su mezzi di trasporto pubblico” dice che è vietato fumare nei seguenti posti: 
-corsie d'ospedale;
-aule delle scuole di ogni ordine e grado;
-autoveicoli di proprieta' dello Stato, di enti pubblici e di privati concessionari di pubblici servizi per trasporto collettivo di persone;
-metropolitane;
-sale d'attesa di stazioni ferroviarie, autofilotranviarie, portuali-marittime, aeroportuali;
-compartimenti ferroviari per non fumatori delle Ferrovie dello Stato e delle ferrovie date in concessione ai privati;
-compartimenti a cuccette e carrozze letto, durante il servizio di notte, se occupati da piu' di una persona;
-locali chiusi adibiti a pubblica riunione (ogni ambiente aperto al pubblico ove si eroga un servizio dell'amministrazione o per suo conto (vedi ultra, T.A.R. Lazio, sentenza n. 462/1995; direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 14 dicembre 1995);
-sale chiuse di cinema e teatro;
-sale chiuse da ballo;
-sale-corse;
-sale riunioni di accademie;
-musei;
-biblioteche;
-sale di lettura aperte al pubblico;
-pinacoteche e gallerie d'arte pubbliche o aperte al pubblico.
Ma ricordiamo inoltre che la Circolare del Ministero della Sanità datata 28 marzo 2001, n.4 che è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 85, del 11 aprile 2001
Ecco per intero la circolare:
Il fumo di sigaretta, com'è noto dai dati riportati dalla letteratura scientifica mondiale, è causa di una molteplicità di patologie. Il tumore polmonare, ad esempio, in circa il 90% dei casi, è causato dal fumo di sigaretta. L'Organizzazione mondiale di sanità ha più volte richiamato l'attenzione dei Governi su quella che è stata definita "nuova epidemia" (90 mila morti in Italia ogni anno, 3 milioni nel mondo). Occorre da parte di tutti uno sforzo per porre rimedio ad una abitudine o, meglio, dipendenza che danneggia chi la pone in essere e chi, soprattutto, passivamente la subisce. L'ordinamento giuridico italiano contiene varie norme dirette a tutelare la salute, come sancito all'art. 32 della Costituzione, dai rischi connessi all'esposizione anche passiva al fumo, alcune delle quali, vigenti già da un ventennio, non sono adeguatamente applicate, sia per una sottovalutazione dei rischi del fumo, sia a causa di dubbi interpretativi ed applicativi. In relazione ai quesiti posti da vari soggetti interessati sull'applicazione della legge 11 novembre 1975, n. 584 e della direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 14 dicembre 1995, questo Ministero ritiene opportuno precisare quanto segue Normativa vigente in tema di limitazione e divieto di fumo nei locali aperti al pubblico Regio decreto 24 dicembre 1934, n. 2316, art. 25 "Testo unico delle leggi sulla protezione e l'assistenza della maternità e dell'infanzia". «…. chi vende o somministra tabacco a persona minore degli anni 16 è punito con la sanzione amministrativa fino a L. 40.000. È vietato ai minori degli anni 16 di fumare in luogo pubblico sotto pena della sanzione amministrativa di L. 4.000.» Legge 11 novembre 1975, n. 584 "Divieto di fumare in determinati locali e su mezzi di trasporto pubblico". La legge persegue scopi di tutela della salute pubblica. Consapevole dei danni che alla salute può arrecare il fumo cosiddetto passivo, il legislatore ha posto un generico ed assoluto divieto di fumo nei seguenti locali: corsie d'ospedale; aule delle scuole di ogni ordine e grado; autoveicoli di proprietà dello Stato, di enti pubblici e di privati concessionari di pubblici servizi per trasporto collettivo di persone; metropolitane; sale d'attesa di stazioni ferroviarie, autofilotranviarie, portuali-marittime, aeroportuali; compartimenti ferroviari per non fumatori delle Ferrovie dello Stato e delle ferrovie date in concessione ai privati; compartimenti a cuccette e carrozze letto, durante il servizio di notte, se occupati da più di una persona; locali chiusi adibiti a pubblica riunione (ogni ambiente aperto al pubblico ove si eroga un servizio dell'amministrazione o per suo conto (vedi ultra, T.A.R. Lazio, sentenza n. 462 del 1995; direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 14 dicembre 1995); sale chiuse di cinema e teatro; sale chiuse da ballo; sale-corse; sale riunioni di accademie; musei; biblioteche; sale di lettura aperte al pubblico; pinacoteche e gallerie d'arte pubbliche o aperte al pubblico. Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 14 dicembre 1995  "Divieto di fumo in determinati locali della pubblica amministrazione o dei gestori di servizi pubblici". La direttiva è stata emanata in seguito a due pronunce dei giudici amministrativi che hanno interpretato estensivamente le norme della legge n. 584 del 1975. Essa ha quali suoi destinatari tutte le amministrazioni pubbliche. Per amministrazioni pubbliche, ai sensi dell'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, si intendono: tutte le amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le regioni, le province, i comuni, le comunità montane e loro consorzi ed associazioni, le istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale. La direttiva prevede che le amministrazioni pubbliche attuino il divieto di fumo comminato dalla legge n. 584 del 1975, esercitando poteri amministrativi regolamentari e disciplinari nonché poteri di indirizzo, vigilanza e controllo sulle aziende ed istituzioni da esse dipendenti e sulle aziende private in concessione o in appalto. La direttiva fornisce, inoltre, i seguenti criteri interpretativi per l'individuazione dei locali in cui si applica il divieto: 1. per locale aperto al pubblico si deve intendere quello in cui la generalità degli amministrati e degli utenti accede, senza formalità e senza bisogno di particolari permessi negli orari stabiliti; 2. tutti i locali utilizzati, a qualunque titolo, dalla P.A. e dalle aziende pubbliche per esercizio delle
proprie funzioni istituzionali, sempre che i locali siano aperti al pubblico;
3. tutti i locali utilizzati, a qualunque titolo, da privati esercenti servizi pubblici, sempre che i locali
siano aperti al pubblico;
4. i luoghi indicati dall'art. 1 della legge 11 novembre 1975, n. 584, anche se non si tratta di "locali
aperti al pubblico" nel senso precisato dalla direttiva (es. aule scolastiche: fra le aule delle scuole di
ogni ordine e grado si intendono ricomprese anche le aule universitarie).
La direttiva precisa, inoltre, che le amministrazioni e gli enti possono comunque, in virtù della
propria autonomia regolamentare e disciplinare, estendere il divieto a luoghi diversi da quelli
previsti dalla legge n. 584 del 1975. Nei locali in cui si applica il divieto vige l'obbligo di apporre
cartelli con indicazione del divieto di fumo.
Elenco esemplificativo dei locali in cui si applica il divieto di fumo
Premesso che il divieto di fumo si applica nei luoghi nominativamente indicati nell'art. 1 della legge
n. 584 del 1975, ancorché non si tratti di locali "aperti al pubblico" nel senso di locali in cui una
generalità di amministrati e di utenti accede senza formalità e senza bisogno di particolari permessi
negli orari stabiliti, si fornisce un elenco esemplificativo dei locali che rientrano nella generica
espressione usata dalla legge n. 584 del 1975, così come interpretata dalla sentenza n. 462 del 1995
del T.A.R. del Lazio, "locali chiusi adibiti a pubblica riunione" in cui vige il divieto di fumo, allo
scopo di agevolare la corretta applicazione della normativa: 
ƒ ospedali ed altre strutture sanitarie (corsie, corridoi, stanze per l'accettazione, sale d'aspetto e
più in generale locali in cui gli utenti richiedono un servizio – pagamento ticket, richieste di
analisi, ecc…);
ƒ scuole di ogni ordine e grado, comprese le università (aule, corridoi, segreterie studenti,
biblioteche, sale di lettura, bagni, ecc…);
ƒ uffici degli enti territoriali quali regioni, province e comuni; uffici di altre amministrazioni a
livello territoriale: uffici del catasto, uffici collocamento ecc..;
ƒ uffici postali (locali di accesso agli sportelli, corridoi, ecc.);
ƒ distretti militari ed altri uffici dell'amministrazione della difesa aperti al pubblico (uffici di
certificazione, uffici informazioni e relazioni con il pubblico);
ƒ uffici I.V.A., uffici del registro;
ƒ uffici di prefetture, questure e commissariati, uffici giudiziari;
ƒ uffici delle società erogatrici di servizi pubblici (compagnie telefoniche, società erogatrici di
gas, corrente elettrica, ecc.);
ƒ banche, relativamente ai locali in cui si svolgono servizi per conto della pubblica
amministrazione (riscossione imposte e sanzioni pecuniarie, tesoreria per enti pubblici).
Competenze dei dirigenti in ordine all'applicazione del divieto di fumo
I dirigenti preposti alle strutture amministrative e di servizio ovvero il responsabile della struttura
privata sono tenuti ad individuare, con atto formale, i locali della struttura cui sovrintendono, dove,
ai sensi dei criteri prima citati, devono essere apposti i cartelli di divieto.
Spetta ad essi, quindi, predisporre o far predisporre i cartelli di divieto completi delle indicazioni
fissate dalla direttiva:
– divieto di fumo;
– indicazione della norma che impone il divieto (legge n. 584 del 1975;)
– sanzioni applicabili;
– soggetto cui spetta vigilare sull'osservanza del divieto ed accertare le infrazioni (nominativo del
funzionario/i preposto/i dal dirigente, con atto formale, alla vigilanza sul divieto di fumo nonché
all'accertamento dell'infrazione nei locali ove è posto il cartello di divieto, o, ove non si sia
proceduto a nomina specifica, il nome del dirigente responsabile della struttura pubblica ai sensi di
legge e dei regolamenti).
Spetta ai dirigenti preposti alle strutture amministrative e di servizio, come anticipato, individuare
in ciascuna di esse, con atto formale, i funzionari incaricati di vigilare sull'osservanza del divieto, di
procedere alla contestazione delle infrazioni e di verbalizzarle.
Detti funzionari, ove non ricevano riscontro dell'avvenuto pagamento da parte del trasgressore,
hanno l'obbligo di fare rapporto all'autorità competente, che, come si è detto, è, nella maggior parte
dei casi, il prefetto, affinché irroghi la sanzione.
Nei locali privati, ove si svolge comunque un servizio per conto dell'amministrazione pubblica
(concessionari di pubblici servizi) i soggetti obbligati a vigilare sul rispetto del divieto e ad
accertarne la violazione sono coloro cui spetta per legge, regolamento o disposizioni d'autorità
assicurare l'ordine all'interno dei locali. 
Nei locali privati nominativamente citati dall'art. 1 della legge n. 584 del 1975 (es. nei teatri, nei
cinema, nelle sale da ballo, ecc.) tali figure si identificano nei conduttori dei locali individuati nella
lettera b) dell'art. 1 della legge citata.
Sanzioni
La sanzione amministrativa prevista dall'art. 7 della legge n. 584 del 1975 per il trasgressore è
quella del pagamento di una somma di danaro da L. 1.000 a L. 10.000.
Per effetto degli tabella 10 e 114 della legge n. 689 del 1981 le sanzioni amministrative non
possono essere inferiori quanto al minimo a L. 4.000, e quanto al massimo a L. 10.000.
Per effetto dell'art. 96 del decreto legislativo 30 dicembre 1999, n. 507, "Depenalizzazione dei reati
minori e riforma del sistema sanzionatorio ai sensi dell'art. 1 della legge 25 giugno 1999, n. 205",
l'art. 10 della legge n. 689 del 1981 è così modificato: «La sanzione amministrativa pecuniaria
consiste nel pagamento di una somma non inferiore a lire dodicimila e non superiore a lire
ventimilioni. … Fuori dei casi espressamente stabiliti dalla legge, il limite massimo della sanzione
amministrativa pecuniaria non può per ciascuna violazione superare il decuplo del minimo.».
L'art. 16 della legge n. 689 del 1981 ammette il pagamento in misura ridotta della sanzione se il
versamento viene effettuato entro sessanta giorni dalla contestazione immediata o, se questa non vi
è stata, dalla notificazione degli estremi della violazione.
In forza di tale norma il trasgressore può pagare 1/3 del massimo o il doppio del minimo se più
favorevole. Nel caso della sanzione relativa al divieto di fumo, per quanto detto sopra, è più
favorevole il pagamento del doppio del minimo, pari a L. 24.000.
Va precisato in proposito che ai sensi dell'art. 15 delle disposizioni preliminari al codice civile, per
incompatibilità, resta abrogato l'art. 8 della legge n. 584 del 1975 in quanto disciplina una materia
successivamente modificata da apposita legge, appunto la legge n. 689 del 1981 e che altre norme
dispongono il divieto di maneggiare danaro da parte dei pubblici funzionari (e quindi di riscuotere
direttamente la sanzione dal trasgressore).
Per completare il quadro sanzionatorio occorre ricordare che l'art. 7 della legge n. 584 del 1975
prevede una sanzione anche per coloro che sono tenuti a far osservare il divieto e vengono meno a
questo loro dovere; la sanzione per questi va da L. 20.000 a L. 100.000.
Applicazione della sanzione
1) Come si accerta l'infrazione.
a) Negli uffici pubblici:
il funzionario preposto alla vigilanza e all'accertamento dell'infrazione deve essere dotato degli
appositi moduli di contestazione. In caso di trasgressione, questi procederà a compilare il modulo e
a darne copia al trasgressore.
Trascorso inutilmente il termine per il pagamento in misura ridotta, sessanta giorni, il funzionario
che ha accertato la violazione presenterà rapporto, con la prova delle eseguite contestazioni o
notificazioni (ex art. 17, legge n. 689 del 1981), al prefetto (competente ex art. 9, legge n. 584 del
1975;) 
b) nei locali condotti da privati:
il responsabile della struttura, ovvero il dipendente o il collaboratore da lui incaricato richiamerà i
trasgressori all'osservanza del divieto e curerà che le infrazioni siano segnalate ai pubblici ufficiali
ed agenti competenti a norma dell'art. 13 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (art. 4, lettera c)
della Dir.P.C.M. 14 dicembre 1995).
2) Come si paga la contravvenzione.
Il modulo di contestazione deve riportare le indicazioni sul pagamento della contravvenzione, ove
non sia diversamente individuato da specifiche normative regionali si applica quanto segue:
a) si può pagare direttamente al concessionario del servizio di riscossione dell'ente in cui è stata
accertata l'infrazione, compilando apposito modulo.
Il codice tributo da indicare è il 131 T, che corrisponde alla voce "sanzioni amministrative diverse
da I.V.A." (v. decreto legislativo n. 237 del 1997 e relativo allegato).
Va però inserito anche il codice "ufficio". Si tratta di un codice che ogni amministrazione pubblica
deve avere e che dovrà essere stampato sul verbale di contestazione;
b) si può delegare la propria banca al pagamento sempre utilizzando lo stesso modulo;
c) si può pagare presso gli uffici postali con bollettino di conto corrente postale intestato a Servizio
riscossione tributi – concessione di ….
Si rammenta che il funzionario che ha accertato l'infrazione non può ricevere direttamente il
pagamento dal trasgressore ai sensi delle vigenti leggi.
Ai sensi dell'art. 18 della legge n. 689 del 1981, entro trenta giorni dalla data di contestazione o
notificazione della violazione, gli interessati possono far pervenire all'autorità competente a ricevere
il rapporto scritti difensivi e documenti e possono chiedere di essere sentiti dalla medesima autorità.
L'autorità competente, sentiti gli interessati, ove questi ne abbiano fatto richiesta, ed esaminati i
documenti inviati e gli argomenti esposti, se ritiene fondato l'accertamento, determina con sentenza
motivata la somma dovuta per la violazione e ne ingiunge il pagamento; in caso contrario emette
ordinanza motivata di archiviazione degli atti. In base alla normativa vigente, a chi è stata contestata
la violazione è data facoltà di ricorrere contro la stessa al giudice ordinario territorialmente
competente, sia nel caso in cui non abbia fatto ricorso all'autorità competente, sia qualora
quest'ultima abbia emanato l'ingiunzione di pagamento della sanzione.
3) Autorità competente a ricevere il rapporto.
Un aspetto problematico è correlato alla identificazione della autorità competente a ricevere il
rapporto sulle violazioni accertate. Ove non sia diversamente individuato da specifiche normative
regionali si applica quanto segue.
L'art. 9 della legge n. 584 del 1975, nella sua formulazione testuale, dispone che i soggetti
legittimati ad accertare le infrazioni presentino il rapporto al prefetto.
Tale disposizione, tuttavia, deve oggi essere applicata in maniera conforme ai sopravvenuti indirizzi
espressi dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 1034 del 27 ottobre 1988. 
Il giudice delle leggi ha, infatti, affermato che non spetta allo Stato indicare gli uffici competenti a
ricevere il rapporto ex legge n. 689 del 1981 quando le violazioni siano attinenti a materie di
competenza regionale.
In particolare, relativamente al divieto di fumo sui mezzi di trasporto tranviario e delle ferrovie in
concessione, nonché nei locali adibiti allo stesso servizio di trasporto, la sentenza ha precisato che,
quando l'infrazione inerisce attività affidate, a titolo proprio o di delega alle regioni, a norma
dell'art. 9 del decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977, la competenza a ricevere il
rapporto deve essere imputata agli organi dalle stesse individuati.
Lo stesso principio è stato affermato dalla Corte con riguardo al divieto di fumo nei locali chiusi di
cui all'art. 1 della legge n. 584 del 1975, «quando la proibizione di fumare si riferisce a luoghi,
locali o mezzi sui quali si esercita la competenza regionale (come ad esempio, le strutture del
Servizio sanitario nazionale, i musei e le biblioteche affidate alle regioni)…».
Ne consegue che il rapporto va presentato alla regione quando la violazione sia stata rilevata:
a) nell'ambito dei servizi di trasporto pubblico rientranti nella competenza regionale;
b) nell'ambito di luoghi, locali o mezzi sui quali le regioni esercitano competenze proprie o
delegate;
c) nell'ambito degli uffici o delle strutture della regione o delle aziende o istituzioni da essa
dipendenti.
Il rapporto va presentato all'ufficio provinciale della M.C.T.C. competente per territorio (art. 1,
comma 1, voce Ministero dei trasporti, lettera a) del decreto del Presidente della Repubblica n. 571
del 1982), quando le violazioni siano state rilevate nell'ambito dei servizi di trasporto pubblico
rientranti nella competenza statale, ad esclusione delle violazioni accertate negli ambiti di
competenza delle Ferrovie dello Stato per le quali occorre aver riguardo a quanto previsto dal
decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 753.
Il rapporto va presentato all'ufficio di sanità marittima aerea e di frontiera e all'ufficio veterinario di
confine, di porto, aeroporto e di dogana interna quando le violazioni siano state rilevate negli ambiti
di rispettiva competenza (art. 1, comma 1, voce Ministero della sanità, del decreto del Presidente
della Repubblica n. 571 del 1982).
Il rapporto, infine, va presentato al prefetto in tutti i restanti casi

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