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Editoriali

QUELLA VISITA DI FIDEL CASTRO… VENTI ANNI FA

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Tempo di lettura 2 minuti Nel 1996 Fidel Castro, a Roma per un vertice Fao, si recò in visita da papa Woytjla

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di Simonetta D'Onofrio

Domenica 10 maggio Raul Castro si recherà in visita in Vaticano da papa Francesco. Una visita privata, che ha però un grande significato. Il papa argentino ha contribuito molto, con la sua azione diplomatica al riavvicinamento tra gli Stati Uniti e Cuba. Una visita che ricorda, un ventennio fa, in altre condizioni geopolitiche, la visita che il fratello Fidel fece nel cuore della cristianità.
Era il 1996 quando il “Lider Maximo”, questo il nomignolo con cui era chiamato Fidel Castro, capo assoluto dell’isola caraibica, si recò in visita da papa Giovanni Paolo II, in occasione di un vertice della FAO organizzato a Roma il 19 novembre.
La visita era stata preceduta dal viaggio sull’isola dell'arcivescovo Jean-Louis Tauran, ministro degli Esteri del Vaticano, nel mese di ottobre. Era un decennio che i contatti tra esponenti vaticani e il governo dell’isola si erano intensificati. Tutto iniziò nel 1988, con la visita a Cuba del cardinale di New York John O'Connor, che celebrò una messa nella cattedrale dell’Avana ed ebbe un incontro durato quattro ore con Fidel.
In Vaticano il comandante rimase sei ore, incontrando, oltre a papa Wojtyla, anche il Segretario di Stato, monsignor Sodano. In quell’occasione Castro invitò il papa sull’isola, invito che non cadde nel vuoto. Quattrodici mesi dopo, nel gennaio del 1998, il Papa si recò a L’Avana, in un viaggio pastorale che rappresentò uno dei momenti più emozionanti del pontificato.
Nell’isola caraibica la chiesa, esclusi i primi anni della rivoluzione, non ha subito le persecuzioni che, in altri stati governati da regimi comunisti, hanno caratterizzati i difficili rapporti tra regime e religione. Subito dopo la rivoluzione, i rapporti tra la Chiesa e il governo cubano si inasprirono, per arrivare alla scomunica che giunse il 3 gennaio 1962, da parte di Giovanni XXIII. Col passare degli anni, però, sebbene la chiesa locale non aveva la stessa libertà d’azione della quale poteva godere negli stati occidentali, era tollerata. Certamente, come constatò Joaquin Navarro-Valls, quando si recò nell’isola per organizzare il viaggio del Santo Padre, a Cuba c’erano solo 200 sacerdoti per 11 milioni di abitanti. Ma l’intraprendenza del portavoce papale riuscì a convincere Castro a far celebrare come festività nazionale il Natale 1997.
Da allora i rapporti tra Cuba e Vaticano hanno continuato a mantenersi cordiali. Anche papa Benedetto XVI, nel 2012 si recò in viaggio a Cuba, cosa che, dalle prime indiscrezioni, dovrebbe ripetersi nel prossimo mese di settembre.

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Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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