Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 2 minuti
di Silvio Rossi
Sul rapporto con la minoranza del partito, Matteo Renzi sta giocandosi una buona fetta della sua permanenza a Palazzo Chigi. Perché più che gli attacchi che possono giungergli dalla coppia Salvini-Meloni, o dal direttorio grillino, sono proprio i rapporti con quanti al Nazareno non si trovano in linea con il Segretario.
Da quando l’ex sindaco di Firenze ha assunto l’incarico di Presidente del Consiglio, la minoranza del partito, che dispone di un numero esiguo di consiglieri nell’assemblea del PD, ma un numero di parlamentari non indifferente, residuo di una composizione delle liste conseguente alla vittoria delle primarie del 2012 da parte di Pierluigi Bersani, a ogni occasione, alza la voce, minaccia scissioni, voti contrari, ribellioni. Ma alla resa dei conti non riesce a modificare sostanzialmente l’indicazione che giunge dal “cerchio magico” vicino a Renzi.
La scarsa efficacia dell’opposizione interna è determinata principalmente da una posizione non uniforme da parte dei singoli parlamentari. Se nella maggioranza del partito, in particolare tra i fedelissimi del segretario, c’è una visione comune molto forte, per cui quando si sentono le dichiarazioni delle ministre Boschi o Madia, dei vice segretari Guerini e Serracchiani, del Sottosegretario Del Rio, sembra di leggere in fotocopia le dichiarazioni del “capo”, le posizioni di Bersani, Bindi, Cuperlo, Fassina, Civati, seppure fortemente critiche, hanno tra loro una serie di distinguo che non permettono loro di fare fronte comune.
Sembra di rivedere nel partito la frammentazione che ha interessato la sinistra negli anni passati. Un male intrinseco che non ha premesso all’Ulivo prima e al Partito Democratico poi di realizzare una politica efficace.
In queste condizioni, il segretario si permette quindi il lusso di non cedere sulle richieste dei suoi colleghi di partito. Sa che i suoi contestatori non se la sentono di mettere a rischio le riforme, per non essere accusati di gattopardismo, e che un’opposizione interna troppo forte ottiene l’unico risultato di far diminuire la credibilità dei contestatori tra i propri iscritti (salvo farla aumentare nei sostenitori di Sel o del M5S).
Non può permettersi il lusso però, Renzi, di tirare troppo la corda. La situazione è tesa, da parte della minoranza sembra che, oltre a reclamare un po’ di visibilità, ci siano poche azioni reali, ma se da parte sua non viene concessa qualche richiesta, un’eventuale rottura potrebbe avere conseguenze drammatiche per il partito, e sarebbe difficile attribuirne ad altri la responsabilità.
Correlati