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Editoriali

CAMPANIA, SINDACI IN MANETTE: TROPPI I PRIMI CITTADINI COL "MAL DI LEGGE"

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Tempo di lettura 2 minuti Chi per vizi, chi per pornografia, chi per corruzione, i primi cittadini non se la passano per niente bene.

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di Christian Montagna

Napoli – Una lista sempre più lunga alla quale ogni giorno si aggiunge il politico di turno è quella dei sindaci che finiscono in manette.Chi per vizi, chi per pornografia, chi per corruzione, i primi cittadini non se la passano per niente bene. E' proprio in un periodo come questo che i militari intensificano i controlli per mandare a casa i malfattori. Oltre mille persone tra consiglieri comunali, assessori e sindaci infatti sarebbero stati collusi con le organizzazioni criminali in cambio di favori. Dunque, di rispettare le regole questi primi cittadini proprio non ne vogliono sapere e guai a parlargli di leggi. I numeri parlano chiaro e la situazione in Campania risulta allarmante.

Tra il Sindaco di Napoli De Magistris e quello di Salerno De Luca condannati per abuso di ufficio; quello di Rofrano arrestato per possesso di materiale pedopornografico; l'ex sindaco di Pompei D'Alessio condannato a due anni di pena sospesa e interdizione dai pubblichi uffici per abuso di ufficio; l sindaco di Brusciano Angelo Antonio Romano condannato per concussione e abuso di ufficio nel 2012, il sindaco di San Felice a Cancello condannato per aver tenuto segreti degli atti pubblici, oggi, si aggiunge anche l'ex sindaco di Casavatore Salvatore Sannino arrestato poiché secondo l'accusa responsabile di aver pilotato una gara di appalto in cambio di un viaggio. Una lista infinita che abbraccia quasi tutti i comuni campani. Un'escalation di abusi e soprusi ai danni della popolazione costretta unicamente a subire. Eppure,almeno loro li votiamo noi, nonostante le perplessità sull'affidabilità dei risultati delle elezioni. Controlli latitanti che faticano ad elidere dal sistema politico i corrotti; uno Stato che finge di non vedere troppo spesso ed ecco che si verifica ciò che i casalesi hanno fatto ai suoli campani.

La dimostrazione di tutto ciò ci è stata data proprio dalle dichiarazioni dell'ex boss Schiavone, attraverso le quali tutti noi abbiamo potuto avere l'ennesima conferma di quanto il sistema delle province e dei comuni sia troppo corrotto. Rappresentante perfetto del patto tra Stato e Mafia, Schiavone ha fornito gli elementi fondamentali all'individuazione degli elementi nocivi al nostro sistema; ha dichiarato senza alcuna pietà la corruzione di personaggi politici di spicco, ministri, magistrati e forze dell'ordine. A partire dall'imprenditoria deviata che ha rappresentato l'affare mafioso più lucroso da sempre, nei comuni del casertano in particolare, il business dei rifiuti industriali e delle scorie chimiche, con il benestare dei primi cittadini, ha trovato ampio spazio. Ora che Schiavone non c'è più, particolari sempre più sconvolgenti potrebbero venire fuori e continua a rimanere per tutti un incubo. Siamo sicuri che Schiavone abbia raccontato tutta la verità? E' possibile che alcuni nomi non siano ancora venuti fuori? Perché su alcune domande è rimasto superficiale e non ha fornito tutti gli elementi utili? Interrogativi questi a cui nessuno saprebbe rispondere ora ma che incutono un grande senso di angoscia… Possibile che i fanghi termonucleari, le cassette nucleari siano stati portati in Campania allo scuro di tutti? E' mai possibile che nessun sindaco si sia interrogato sulle organizzazioni criminali del proprio comune di riferimento? O forse a tutti hanno fatto comodo queste attività? Oggi purtroppo si fatica a distinguere il giusto dall'errato e il corrotto dall'onesto. E' stato concesso troppo tempo necessario affinché i rapporti tra mafiosi e politici si saldassero sempre meglio. Quello di oggi, è solo l'ultimo in ordine di tempo degli arresti a sindaci o ex sindaci per appalti pilotati in cambio di favori ma, ce ne saranno indubbiamente tanti altri prima che il marcio venga totalmente estirpato dai nostri comuni.

 

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Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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