Connect with us

Primo piano

PAOLO ADINOLFI: INTERVISTA ALLA MOGLIE DEL MAGISTRATO SCOMPARSO

Clicca e condividi l'articolo

Tempo di lettura 5 minuti Nicoletta Grimaldi:"Paolo aveva parlato di Servizi Segreti, e aveva detto che era collegato alla morte di un agente dei servizi, che si era stranamente impiccato nel suo appartamento"

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 5 minuti
image_pdfimage_print

di Simonetta D'Onofrio

Che fine ha fatto il magistrato Paolo Adinolfi? Forse ha pagato con la vita per aver svolto il suo lavoro, adottando sempre un elevato grado di rettitudine e di onestà, caratteristiche riconosciute dai suoi collaboratori?

Il magistrato Adinolfi è scomparso da Roma la mattina del 2 luglio del 1994, da allora nulla si è saputo sulle motivazioni che lo avrebbero portato l’uomo ad allontanarsi dalla sua famiglia. Le inchieste fatte finora non hanno prodotto alcun esito, affinché si possa mettere la parola fine. Dissolto nel nulla, i familiari sono venti anni che attendono “giustizia”.

Abbiamo incontrato la moglie del giudice Adinolfi, Nicoletta Grimaldi, la quale ci ha rilasciato una lunga intervista in esclusiva per il giornale l’“Osservatore d‘Italia”.

D       Le indagini sulla scomparsa di suo marito, in questo periodo, sono aperte o chiuse?

R       C’è stata una prima archiviazione un anno o due dopo, piuttosto frettolosa. Si è riaperta l’inchiesta perché un pentito, un certo Elmo, di cui hanno parlato molto i giornali, ha ritirato fuori questa storia.

D       Parlando della banda della Magliana?

R       Beh, no. Lui veramente aveva parlato di Servizi Segreti, e aveva detto che era collegato alla morte di un agente dei servizi, che si era stranamente impiccato nel suo appartamento, a un termosifone, cosa che sembrava quanto mai strana, e che mio marito si sarebbe incontrato con quest’agente, perché indagava su fatti molto… strani, sempre relativi a questioni di armi, d’importazioni ed esportazioni di armi. Ora questo a me sembra molto strano, perché mio marito era una persona molto rigorosa e legalitaria, il fatto che si fosse incontrato con questa gente dubbia e incerta, dei servizi segreti, un magistrato, sinceramente io ho sempre creduto poco. Però è stato utile questo Elmo, perché ha permesso di riaprire le indagini, e la questione è passata nelle mani di un magistrato, un certo dott. Cannevale, che ha approfondito meglio le ricerche, infatti, mi sembra intorno al 2003 ha scritto un nuovo decreto di archiviazione, spiegando bene tutte le direzioni delle ricerche, dicendo che pur essendo convinto che mio marito fosse scomparso per motivi legati al suo lavoro, purtroppo le indagini non avevano dato delle certezze.

D       E così quindi si sono terminate le indagini.

R       Sì. La scomparsa risale al ’94, il primo decreto di archiviazione risale al ’96, poi le indagini si sono riaperte con decreto sempre nel ’96, in giugno.

D       A seguito di questa testimonianza.

R       Sì, a seguito delle dichiarazioni rese da Francesco Elmo ai Carabinieri, perché inducevano a ipotizzare un reato di omicidio. Quindi in seguito venivano riaperte le indagini, dalle quali però non si ricavò niente, e ci fu una nuova richiesta di archiviazione nel 1999. Mi ricordo bene quel giorno, io andai a Perugia, il giudice mi disse: “Signora, noi dobbiamo chiudere perché non abbiamo più spunti d’indagine”, proprio quel giorno arrivò una lettera anonima che comunicava altre notizie.

D       Dove arrivò?

R       Arrivò al Parroco della chiesa di San Bellarmino (San Roberto Bellarmino, ndr), a Piazza Ungheria.

D       Era la vostra parrocchia?

R       No, ci abitava mia suocera, e c’era l’ufficio di mio marito. Arrivarono due lettere anonime, che chiedevano al parroco di comunicarmi delle cose molto inquietanti. Quindi prima c’è stato Elmo, poi queste due lettere anonime, per cui le ricerche sono ricominciate. Però anche in questo caso, si arrivò al buio.

D       Cosa c’era scritto in queste lettere?

R       Si diceva che un tizio avesse bloccato mio marito alla fermata del tram, che era una persona pericolosa. Ma pare che queste lettere siano state scritte per vendette trasversali tra queste persone, ma che mio marito non c’entrasse nulla. Purtroppo molto spesso ci sono intromissioni di questo tipo. Dopodiché inizia a diffondersi una voce, che io poi ogni volta che sentivo queste voci inquietanti, facevo un esposto al giudice, anche per non far chiudere l’inchiesta, che la scomparsa di mio marito era legata alla banda della Magliana, e quindi responsabilità, si disse, di questo Nicoletti, che era il cassiere della banda. Venne fuori la voce che mio marito fosse sepolto nella villa di questo Nicoletti, che ora è la “Casa del Jazz”, e furono fatti fare degli scavi, ma non si trovò nulla. Che poi gli scavi sono una cosa complicata, capace che li fai da una parte, e ciò che cerchi sono da un’altra, e allora non c’erano macchinari evoluti come ci sono oggi. L’unica cosa, per noi positiva è che il giudice in questo nuovo decreto di archiviazione, afferma che le nuove indagini inducono a rivedere il giudizio espresso da quest’ufficio nella prima richiesta di archiviazione, riguardo la probabile origine volontaria della scomparsa, perché nel primo decreto di archiviazione c’era questa possibilità di scomparsa volontaria, mentre in questo secondo è esclusa. Purtroppo non siamo riusciti a capire cosa è successo, ma i problemi erano all’interno del tribunale, c’erano problemi di rapporti con i giudici, pare che lui avesse toccato degli interessi particolari.

D       Riguardano la sezione fallimentare del Tribunale di Roma, perché lui aveva lavorato molto tempo in quel settore?

R       Sì, per dieci anni, poi un giorno, mentre lui aveva preso un periodo di ferie, aveva appena dichiarato il fallimento di una società che si chiamava Ambra Assicurazioni, viene revocata a sua insaputa la sua dichiarazione di fallimento. Lui torna, “fa un macello”, perché non è d’accordo, ma gli rispondono che ormai la cosa è consolidata e se ne va dalla sezione fallimentare.

D       Quindi è stata una sua scelta volontaria uscire dalla fallimentare?

R       Volontarissima, da un giorno all’altro lui se ne va, perché dice io qui dentro, non ci voglio stare più.

D       Perché aveva capito, o forse aveva avuto la certezza.

R       Beh, i contrasti erano sorti, esattamente. Quindi si fa trasferire ad altro ufficio, però, pur essendosi fatto trasferire, lui continua non certo a seguire dal punto di vista lavorativo la cosa, ma siccome si cominciava a parlare sui giornali di queste società fantasma, di questi traffici, di questi interessi strani della fallimentare, lui telefona a Milano, a un collega che si occupava di queste cose, e dice a questo collega “vengo a Milano a parlarti”, come cittadino informato dei fatti, non come magistrato.

D       Quindi lui voleva andare da questo collega per far presente ciò che sapeva?

R       Esattamente.

D       Però non riuscì ad arrivare a parlargli?

R       Non ha fatto in tempo, perché questa telefonata fu fatta non molto tempo prima della scomparsa.

D       Quindi a tutt’oggi le indagini non si sono riaperte?

R       Assolutamente no, però siccome erano vent’anni che era successa questa cosa, e che noi non ci rassegniamo e continuiamo a cercarlo.

D       Infatti, ho visto anche suo figlio che ne parlava in TV, a luglio ha fatto un appello per richiamare l’attenzione sul caso della scomparsa del padre. Venti anni sono tanti…

R       Mio figlio aveva 16 anni quando è successo, oggi ne ha 36.

D       Voi ci tenete quindi a questa riapertura?

R       Purtroppo, lei sa che non riaprono se non ci sono fatti nuovi, e al momento non ce ne sono stati. Però, con i venti anni, noi in qualche modo volevamo ricordare quest’uomo così poco, e così male ricordato. Quindi abbiamo fatto quell’annuncio, di cui hanno parlato tutti, e a seguito di questo mi hanno ricontattato quelli di “Chi l’ha visto”, ed io con estrema fatica sono andata anche lì, proprio sperando ci fossero degli esiti a questa cosa, purtroppo però, sono passati vent’anni, quindi se sul piano della comunicazione, della vicinanza, si sono fatte vive le persone, purtroppo quello che io desideravo, che qualcuno si mettesse la mano sulla coscienza, e ci raccontasse quello che è successo, perché qualcuno sicuro lo sa. Questo purtroppo non è accaduto

D       Forse anche qualcuno all’interno del Tribunale?

R       Ma sicuramente, qualcuno all’interno del Tribunale, o che sicuramente “bazzica” nell’ambiente, qualcosina di più la conosce.

Al termine del dialogo la signora Adinolfi ci fa capire che la speranza non si è spenta, nei confronti di chi possa ulteriormente fornire informazioni, anche in forma anonima, su cosa sia veramente accaduto quel giorno, 2 luglio del 1994.

Un servitore dello Stato che attende giustizia da venti anni, caratterizzati dall’indifferenza di chi avrebbe dovuto e forse potuto cercare la verità con un impegno che è apparso insoddisfacente all’opinione pubblica.

 

 

 

 

 

 

 

Continua a leggere
Commenta l'articolo

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 2 minuti
image_pdfimage_print


Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

Continua a leggere

Editoriali

La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 2 minuti
image_pdfimage_print


La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

Continua a leggere

In evidenza

Roma, aggressioni e borseggi in metro. Riccardi (UdC): “Linea più dura per garantire la sicurezza pubblica”

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 2 minuti
image_pdfimage_print

“Ci troviamo ad affrontare un problema che il Governo non può più ignorare: i borseggiatori operano impuniti nelle metropolitane di Roma. Questa situazione è inaccettabile e richiede un intervento deciso e immediato. Ritengo che la sicurezza dei cittadini debba essere una priorità assoluta e che la moderazione non significhi inazione”.
È assai dura la reazione del commissario cittadino di Roma Capitale dell’UdC, il dottor Roberto Riccardi, circa le continue, ripetute aggressioni e borseggi nella Capitale.

Dottor Riccardi secondo Lei dove bisogna intervenire in fretta nella legislazione italiana in tale materia?
I recenti episodi di furto nei mezzi pubblici mettono in luce una legislazione troppo permissiva. La normativa attuale, che prevede l’intervento delle Forze dell’Ordine solo su querela dei borseggiati, è del tutto inefficace. Questo non solo rallenta l’intervento delle autorità, ma spesso disincentiva le vittime a denunciare, sapendo che le conseguenze per i borseggiatori saranno minime o inesistenti.
Le leggi attuali non sono sufficienti per contrastare efficacemente questo fenomeno. È necessario un cambio di rotta deciso.

il commissario cittadino UdC di Roma Capitale, dottor Roberto Riccardi

E cosa può fare in più, in questo frangente, l’organo giudiziario?
Bisogna smettere di essere troppo indulgenti con i delinquenti. Va adottata una linea più dura per garantire la sicurezza pubblica.
Lei rappresenta uno dei partiti di governo nazionale. Esiste una vostra “ricetta” in merito?
Ecco le misure che proponiamo; arresto obbligatorio per i borseggiatori con l’introduzione dell’arresto obbligatorio per chiunque venga colto in flagrante a commettere furti nei mezzi pubblici. Questo deterrente è essenziale per scoraggiare i delinquenti e proteggere i cittadini.
Modifica della normativa vigente; bisogna consentire l’intervento delle Forze dell’Ordine anche in assenza di querela da parte della vittima, permettendo un’azione tempestiva e decisa contro i borseggiatori.
Inasprimento delle pene ed introduzione di sanzioni più severe per i reati di furto, specialmente quando commessi in luoghi pubblici e affollati come le metropolitane.
Campagne di sensibilizzazione informando i cittadini sui loro diritti e sull’importanza di denunciare ogni atto di borseggio, contribuendo così a creare una comunità più sicura e coesa.
Ma Lei crede che con tali misure si possa mettere un argine alla questione che preoccupa non solo i romani ma le decine di migliaia di turisti che ogni giorno arrivano nella capitale?
Non possiamo più permetterci di essere indulgenti. Dobbiamo agire con fermezza per garantire la sicurezza di tutti i nostri cittadini.
Le Forze dell’Ordine devono essere messe nelle condizioni di poter agire senza ritardi e senza ostacoli burocratici.
Dobbiamo essere determinati nello spuntare le armi dei buonisti ed a ripristinare la legalità nelle nostre strade e nelle nostre metropolitane. Solo con un intervento deciso e risoluto potremo garantire una Roma più sicura e vivibile per tutti.

Risposte chiare e concrete quelle del commissario cittadino UdC di Roma Capitale Roberto Riccardi.
Ci auguriamo che questa volta la politica affronti davvero con tale determinazione questa assenza di sicurezza per i romani e per le migliaia di turisti che si apprestano a giungere nella Capitale per l’imminente apertura, il 24 dicembre 2024, dell’Anno Giubilare.

Continua a leggere

SEGUI SU Facebook

I più letti