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SARAH SCAZZI: AL VIA IL PROCESSO DI APPELLO

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Tempo di lettura < 1 minutoIl 14 novembre inizierà il processo d'appello davanti alla corte d'Assise d'Appello presieduta dal giudice Rosa Patrizia Sinisi

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di Alberto De Marchis

Avetrana – Cosima Serrano e la figlia Sabrina Misseri tornano davanti ai giudici dopo la condanna all'ergastolo per l'omicidio di Sarah Scazzi, la quindicenne strangolata ad Avetrana il 26 agosto del 2010

 Il 14 novembre inizierà il processo d'appello davanti alla corte d'Assise d'Appello presieduta dal giudice Rosa Patrizia Sinisi della sezione distaccata di Taranto della Corte d'Appello di Lecce. 

 Due anni la condanna (con due mesi di interdizione dalla professione) per l'avvocato Vito Russo, primo legale di Sabrina Misseri, accusato di intralcio alla giustizia. Condanne fra un anno ed un anno e quatto mesi per tre persone accusate di favoreggiamento: si tratta di amici e parenti del fioraio Giovanni Buccolieri, l'uomo che avrebbe assistito alla scena del sequestro di Sarah da parte di Cosima e Sabrina. Il testimone ritratto' la sua versione sostenendo di averla solo sognata ed i tre imputati condannati avrebbero sostenuto la versione di comodo del sogno. Buccolieri a giugno scorso ha ricevuto l'avviso di conclusione delle indagini e rischia il processo per false dichiarazioni al pm

Nell'aprile del 2013 Cosima e Sabrina, zia e nipote della vittima, furono giudicate colpevoli dell'omicidio e del sequestro di persona di Sarah. Per Sabrina, accuse pesantissime: sequestro di persona, omicidio, occultamento di cadavere e calunnia.  Per la soppressione del cadavere della nipote, è stato condannato ad otto anni di carcere Michele Misseri, lo zio della vittima che da circa tre anni si proclama autore del delitto. Sei anni la condanna per Carmine Misseri e Cosimo Cosma (poi deceduto), fratello e nipote di Michele Misseri, accusati di aver aiutato il contadino a nascondere il cadavere in un pozzo.

Intanto il 31 luglio la Cassazione ha respinto il ricorso presentato dalla difesa di Sabrina con il quale si chiedeva che la pena potesse essere trasformata in detenzione domiciliare.