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Duevirgolaquattro, tutti pazzi per l’economia: tre settimane per riflettere… in ginocchio sui ceci

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Col tempo viene a galla la verità, che è sotto gli occhi di tutti, mentre tutte le Cassandre continuano fino allo sfinimento a ripetere gli stessi ritornelli, ormai scaduti come lo yogurth: il punto di partenza del livello deficit/PI è quello ereditato dal PD, cioè il 2 per cento. Uno sforamento controllato di un ulteriore 4% non dovrebbe, in una condizione obiettiva, suscitare scandalo, quando altri paesi – leggi Francia – sono arrivati ben oltre, al 3%, senza colpo ferire.

E non è reale il fatto che l’economia francese sia più solida della nostra:

si vede ciò che si vuole vedere. Mentre le banche tedesche sono indagate per un’evasione fiscale di decine di miliardi di euro, il che ha danneggiato anche l’Italia. Ma no, i cattivi siamo noi, e tutti gli altri i buoni, compresa quella Merkel che contro le sue abitudini tiene un profilo stranamente basso.
Il rifiuto della manovra economica di questo governo non è dettato da una reale capacità tecnica di comprendere, ma da un fatto politico. Fin dal suo annunzio sia la UE, in tutti i suoi componenti e tutte le sue sfumature – in realtà sembra una banda di paese, dove ognuno suona uno strumento e si esibisce, a turno, dietro a quel pulpito, suonando il suo ‘assolo’, con note diverse, ma la musica è sempre quella – che l’opposizione tutta si sono scagliati contro il provvedimento. Che, a nostro parere, è di una grande apertura.
Non siamo economisti, ma persone con senso comune. Se si vogliono risollevare le sorti di un’azienda, servono capitali da investire, per creare un circolo virtuoso che porti al recupero del reddito e al riavvio dell’economia in positivo. Questo è ciò che i nostri stanno facendo, e però sembra che sia in UE che in Italia questo principio elementare non sia compreso. Dobbiamo sospettare, quindi, che alla base ci sia malafede, e che ciò che si dice non sia la realtà dei fatti, ma una critica a prescindere. Diciamo anche un’altra cosa: se la UE dovesse soccombere alle richieste degli Italiani, questo creerebbe un pericoloso precedente. Come, ad esempio, quello della Brexit. O dell’Islanda, scivolata fuori dall’euro e dalla UE senza colpo ferire, alla chetichella.

E a nessuno, a Strasburgo, fa comodo parlarne

Il muro eretto contro il governo gialloverde, più che contro la manovra, dimostra ampiamente che la strada intrapresa da Salvini e Di Maio porta ad uscire dalla situazione ‘lacrime e sangue’ di Monti, ciò che da una certa parte nessuno vuole. L’intenzione della UE e dei suoi mentori internazionali – ormai allo scoperto – è quella di tenere sempre l’Italia sotto il tallone. L’Italia è un paese estremamente affidabile, ma si vuol fare finta che non lo sia, per speculare in sicurezza sui suoi titoli di Stato. Non sappiamo bene perché, anche se molti economisti ce lo dicono, la Germania in particolare, e l’Unione Europea in generale, hanno tanta paura di una Italia con la briglia sul collo. Dietro le reprimende variamente targate in Europa, in realtà c’è la paura che l’Italia esca da questa gabbia, che si è dimostrata tale fin dall’inizio, nonostante le propaganda di chi è stato in malafede fin dall’inizio, e ce l’ha presentata con uno spot pubblicitario di grande progresso.
Sentire in televisione tuonare Berlusconi, Martina, il solito Renzi, Tajani, più le comparse di Forza Italia e PD, contro una manovra che nessuno ancora conosce nei particolari, non è solo sospetto, è rivelatore: l’intenzione è quella di far cadere questo governo e di prenderne il posto, e questo si realizza in maniera assolutamente scorretta. Già le prime avvisaglie s’erano manifestate ante litteram, in fase di gestazione. Questo dimostra che l’opposizione alla manovra non è tecnica, ma politica. Cioè, che tutto ciò che questo governo fa, è da buttare, senza guardare se vada bene o no, senza un contraddittorio, che sarebbe poi la ragion d’essere di una opposizione che facesse il suo mestiere onestamente. Senza essere schierata pro UE e suoi accoliti – leggi lobby e Bilderberg – e contro l’unico governo eletto dopo le dimissioni di Berlusconi nel 2011, e senza alcun rispetto per gli Italiani e le loro scelte, ma soltanto per la riconquista di un potere che qualcuno ritiene di sua esclusiva proprietà. Già Martina in questi giorni ha parlato di ‘alternanza nella democrazia’: proprio quell’alternanza che ‘loro’ non vogliono riconoscere ed accettare.

Ora ci hanno dato tre settimane di tempo per riflettere

in ginocchio sui ceci, come si faceva una volta, e qui si concretizza il braccio di ferro fra governo italiano e governo europeo. Sullo sfondo il commissariamento dell’Italia, che ci porterebbe ad un governo tecnico che, come Monti, rimetterebbe a posto i conti con l’Europa delle banche; oppure ad una espulsione dall’Unione che certamente a Strasburgo non vogliono considerare. Alla luce di uno spread che già è stato utilizzato come piede di porco per scalzare il governo del Cavaliere. Lo spread, le agenzie di rating e le loro classifiche sono tutti strumenti per costringere l’acqua del fiume ad andare nella direzione voluta. La realtà è che lo spread non c’entra con la manovra del governo, se non nella misura in cui il parlamento europeo ne dice male.
Quindi non è la manovra colpevole, né chi l’ha messa sulla carta, ma soltanto chi ne maldice, provocando piccoli e redditizi terremoti finanziari sui ‘mercati’, a vantaggio dei soliti investitori.
Sentiamo Tajani parlare di ‘danno per le banche’, ma più raramente, e con minore sincerità, di ‘danno per gi Italiani’, anche se le sue parole adombrano un minaccioso ‘danno’, senza altre spiegazioni, per gli italici risparmi. I quali, senza dubbio, sono distribuiti su Fondi d’Investimento e non su solo titoli italiani a lungo termine – BTP a trent’anni – tanto cari alla finanza internazionale. Titoli dei quali, all’asta, possono essi stessi, acquirenti, stabilire la rendita che potrebbero avere, qualora – ma non è così, perché presto si trasformano in qualcosa di molto simile a titoli azionari – li tenessero in portafogli fino a scadenza. Ma rende molto di più ‘giocare’ con i nostri BTP, facendo salire e scendere lo spread e rendendoli oggetto di compravendita. Il nostro governo, vivaddio, tiene duro.

Finalmente qualcuno con la schiena dritta che vuole realmente sanare i guasti europei, e non solo.

Ci viene da chiedere perché, fino ad ora, non si è cercato nel risparmio privato, che la statistiche ci dicono sostanzioso, una fonte di denaro che ci consentirebbe di uscire dalla tagliola delle grandi banche internazionali, o, come si dice, i ‘mercati’, che a nulla pensano se non al loro profitto, e sono proprietà dei soliti noti che vogliono piallare l’umanità intera a basso reddito, senza più nazionalità e di etnia indefinita, come vuole il ‘filantropo’ George Soros: il Nuovo Ordine Mondiale. Quello per il quale tutti avremo un microchip sottopelle e saremo controllati più che nel libro profetico di Orwell, “1984”. Basterà spegnere il microchip e tutti saremo spariti dalla circolazione, senza più identità, conto corrente, tessera sanitaria, documenti, e praticamente non esisteremo più. Tranne quelli al posto di comando. Tornando alla nostra Cassa Depositi e Prestiti, si potrebbero emettere titoli a breve scadenza – tre mesi, sei mesi, un anno, tre anni – con un interesse positivo anche basso, dallo 0,50 al 2 o 3 per cento, e così ci autofinanzieremmo, e diremmo addio alla BCE e compagni. Non è nostra questa teoria, l’abbiamo copiata da chi se ne intende: vedremo come andrà a finire questa prova di forza. Noi, da bravi populisti e sovranisti, propugnatori della costituzionale sovranità del popolo italiano, facciamo il tifo per Conte, Salvini, Di Maio, Tria e Savona. Alle prossime elezioni europee avremo uno screening più preciso della situazione, con forze che emergeranno e altre, come già accade in altri ambiti, che sprofonderanno; e secondo noi queste ultime saranno quelle che meno pensano al bene del cittadino, e molto di più a quello di una Unione Europea che nessun medico ci ha prescritto e che in tanti, finalmente, incominciano a sentire come un cappio al collo. E a capire che il tabù è infranto, il re è nudo, e l’uscita dal recinto europeo e da questo simulacro di moneta unica non è più uno spauracchio, anzi: molti di noi se lo augurano, e presto.

Roberto Ragone

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Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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