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Editoriali

I PIZZINI DEI MARO’

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Tempo di lettura 2 minuti “Abbiamo obbedito a degli ordini”, “abbiamo mantenuto una parola, quella che ci era stata chiesta di mantenere”.

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di Luca Marco Comellini*

Ho riflettuto molto prima di scrivere queste poche righe, sull'opportunità o meno e sull'eventuale rischio che quanto segue potrà ben facilmente essere strumentalizzato dagli amanti della militarità interventista o dai nostalgici del ventennio stile ”armiamoci e partite”.
Purtroppo, o per mia fortuna, come ex militare e come cittadino impegnato politicamente nella tutela dei diritti dei militari, dopo aver ascoltato le dichiarazioni che i due fucilieri di marina, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, hanno fatto nel corso della video conferenza con i membri delle commissioni parlamentari lo scorso due giugno, mi pongo delle domande alle quali vorrei che proprio i due “marò” dessero quelle doverose risposte che, a questo punto diventano irrinunciabili.

Non mi voglio soffermare sulla questione che ormai tutti conoscono: la morte di due pescatori indiani. Non voglio commentare il senso di disagio e forse di abbandono che esprimono in modo chiaro e diretto all'interlocutore politico dall'altra parte della webcam. Non voglio esprimermi pro o contro la loro presunta innocenza per fatti che li hanno visti protagonisti, per questo ci sono i processi, i tribunali. Anche in India.

Voglio soltanto riflettere su due particolari frasi delle accorate dichiarazioni di Salvatore Girone: “abbiamo obbedito a degli ordini”, “abbiamo mantenuto una parola, quella che ci era stata chiesta di mantenere”.

Il 15 Marzo scorso intervenendo ad un convegno sulla pirateria marittima e sulla questione dei due “marò”, organizzato da un istituto scolastico di Napoli, ho invitato Latorre e Girone a raccontare la loro verità e ascoltando quelle due frasi quasi gridate con rabbia ho avuto la netta impressione che quell'altra verità esista realmente. Una verità che non deve essere raccontata, che è soffocata da un patto scellerato che non ha nulla di dignitoso e che rischia di essere compromesso da chi, giustamente, oggi ha ragione di temere per la propria sorte.  Il muro di solida omertà militaresca costruito attorno alla vicenda sembra vacillare e rischia di sgretolarsi. Adesso può bastare veramente poco per farlo cedere rovinosamente e neanche la dorata prigionia dell'ambasciata che i vertici militari e il governo gli hanno chiesto di sopportare potrebbe essere sufficiente a tenerlo in piedi.
Massimiliano e Salvatore rivolgendosi ai membri delle Commissioni parlamentari hanno chiesto agli italiani di riconoscere la loro innocenza. Bene, richiesta perfettamente legittima ma ora vorrei che rispondessero alle mie domande, alle domande che ormai troppi, tanti italiani si pongono  perché la dignità e l'onore con cui dicono di aver adempiuto al loro dovere non può ammettere l'esecuzione di ordini contrari alla legge o l'esistenza di una patto che nasconde la verità.

Qual'è dunque quell'ordine a cui hanno obbedito, qual'è questa “parola” data e a chi, e per quale ragione? Queste domande si fanno più inquietanti e allora le frasi pronunciate da Girone, se lette in relazione al radicale cambiamento del governo indiano e all'avvicinarsi della ripresa del processo in India, assomigliano a dei “pizzini”.

*Segretario del partito per la tutela dei diritti dei militari e delle Forze di polizia (Pdm)

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Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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