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Editoriali

Asselborn, merde alors? Il ministro piuttosto si vergogni e chieda scusa all’Italia!

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Diciamo subito una cosa: il Belgio fa la voce grossa – a sproposito. È un piccolo paese, con 11 milioni e rotti di abitanti, praticamente un quinto scarso dell’Italia. È uno Stato federale, retto da una monarchia parlamentare. Insomma, il contrario della nostra antica democrazia, che non risponde ad alcuna famiglia reale, né per spocchia, né per istituzione. Certamente è un paradiso fiscale, in cui convergono grossi capitali di gente che non vuole appalesarli in patria. Possiamo quindi presumere che lo Stato lucri su basso prelevamento fiscale, e non solo, ma anche sulle grandi quantità di denaro più o meno lecite presenti nelle banche belghe. Non possiamo quindi, sotto il profilo morale e politico, accettare alcuna critica da chi moralmente non si comporta. L’arroganza del ministro Asselborn, poi, supera ogni limite di decenza – in special modo nell’ambiente e nei modi in cui essa si è manifestata.

Evidentemente il ministro pensa ancora di essere ai tempi in cui gli Italiani furono venduti come schiavi al Belgio da un governo indegno, in cambio di carbone

Cioè, ai tempi della disgrazia di Marcinelle. Che i Belgi speculino sui migranti trattati come schiavi è chiaro, anche guardando il bilancio della tragedia dell’8 di agosto del 1956, in cui morirono sottoterra 262 persone. Fra i morti, 136 erano Italiani. Poi ci furono 95 Belgi, otto Polacchi, sei Greci, 5 Tedeschi, 3 Algerini, 2 Francesi, tre Ungheresi, un Inglese, un Olandese, un Russo e un Ucraino. Solo dodici i sopravvissuti. L’incidente fu causato dall’urto di un montacarichi contro una trave metallica che va a squarciare una conduttura d’olio, un cavo elettrico e un tubo dell’aria compressa. Immediatamente il fuoco. Le vecchie strutture in legno e le centinaia di litri d’olio favorirono un incendio che, in mancanza di vie di fuga e di maschere ad ossigeno, ed in presenza di strutture di sicurezza obsolete e insufficienti, portarono alla morte quelle 262 persone, quasi tutte uccise dall’ossido di carbonio. I nostri erano partiti – nell’ambito di un impegno dell’Italia verso il Belgio di fornire almeno duemila minatori a settimana, in cambio di forniture di carbone – con la certezza, da parte del nostro governo, di trovare abitazioni confortevoli. Furono invece ammassati in ex campi di concentramento, senza luce e con un solo bagno per accampamento. In più disprezzati dagli indigeni. Né il nostro governo, pur conoscendo le condizioni di questa povera gente, fece nulla per migliorarle.

Forse l’arrogante Asselblom quando risponde a Salvini si ricorda del bisogno estremo della nostra gente, ancora nel ’56 con le ferite di una guerra disastrosa, con un paese lacerato da una guerra civile che non ha risparmiato né vinti, né vincitori. Forse pensa che dobbiamo ringraziare i Belgi per la carità pelosa che ci hanno fatto, importando mano d’opera a basso costo da ridurre in schiavitù. Come oggi vogliono fare con i migranti africani. Che poi il loro paese invecchi, sono cose che a noi non interessano, e non devono interessare.

Oggi l’Italia grazie a Dio non è più in quella condizione, né ha un governo che baratti i suoi figli per un sacco di carbone, purchessia

Fa male il ministro Asselblom a ricordare quei tempi come una coccarda sul suo petto. Gli schiavisti non hanno alcun merito, quando si comportano come tali, speculando sul bisogno di chi ha abbandonato famiglia, mogli, figli, patria, con la speranza – delusa – di una vita migliore. E che questa vita ha poi dovuto lasciare nei meandri di un sottosuolo nero e senz’aria. È a questo che si riferisce Asselblom, quando dice che i nostri compatrioti sono andati a lavorare in Belgio per dare da mangiare ai propri figli in Italia? Bè, dovrebbe soltanto avere vergogna di quei tempi. Dovrebbe seppellirli sotto diversi metri di terra, decine, centinaia, per la precisione 975, come sono rimasti sepolti i minatori barattati dall’Italia – anche questa una vergogna inammissibile. Che senza il disastro di Marcinelle non sarebbe venuta alla luce.

Quindi ad un “Merde alors” indirizzato inopportunamente e con maleducazione al nostro ministro Salvini, rispondiamo con un “Vergogna” senza riferimenti coprofili, ad un personaggio che dovrebbe per lo meno chiedere scusa all’Italia. E non solo per quella frase imperdonabile, soprattutto perché preceduta da un rinfaccio – allo scopo di ricordare l’elemosina che il Belgio fece all’Italia – pronunciata come se invece che in un ambito internazionale, fosse stato al bar con gli amici il sabato sera, dopo una birra di troppo. I minatori rimasti in Belgio dopo quella catastrofe, per lo più malati di silicosi e col fiato corto, non dimenticano. Non amano l’Italia, perché, dicono, “L’Italia non ci ama. Si ricordano di noi solo per le elezioni, quando ci mandano la propaganda elettorale.” Comunque la si guardi, questa è una brutta pagina della nostra storia più recente. Stia zitto quindi, il ministro Asselblom, e la sua “merde” la indirizzi piuttosto a qualcuno nel suo paese, se è ancora in vita, che inventò l’abominio della tratta dei minatori italiani – ognuno dei quali valeva 15 chili di carbone al giorno. Ma in cambio, dava la vita.

Roberto Ragone

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Cronaca

Aggredito giornalista de “La Stampa”: l’ennesimo attacco alla libertá di stampa

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Parto da un fatto semplice, apparentemente banale, ma che dovrebbe, condizionale d’obbligo, far riflettere tutti: la violenza va condannata senza se e senza ma.
E quando la violenza parte da un presupposto di odio da parte di un gruppo la condanna deve essere fatta ancora con più forza e con più decisione.
E va fatta con ancora più veemenza quando l’aggressione viene rivolta a chi, da sempre, è in prima linea per consentire ad un paese democratico che verità ed informazione possano essere sempre un connubio di libertà: un collega giornalista.
L’ aggressione ai danni di Andrea Joly, giornalista de La Stampa di Torino, è l’ennesima dimostrazione di come l’odio troppo spesso popoli il nostro paese. Dietro di esso si nasconde il tentativo forte di delegittimare una categoria, quella dei giornalisti, da sempre coscienza libera in quanto lettori attenti ed obiettivi della realtà.
Diventa necessaria, quindi, una levata di scudi dell’intera classe politica nazionale per ristabilire un argine di rispetto e di sicurezza che eviti i troppi tentativi di bavaglio che violano il principio, sancito dalla nostra Carta Costituzionale, della libertà di stampa.
Scriveva Thomas Jefferson:
“Quando la stampa è libera e ogni uomo è in grado di leggere, tutto è sicuro”.
Mai parole sono state così attuali.

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Editoriali

19 luglio 1992: un maledetto pomeriggio

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Lo ricordo come allora quel tragico 19 luglio 1992.
Un caldo improponibile, come quello di questi giorni.
Ma era sabato e con gli storici amici del paese l’appuntamento era fisso: “… ci vediamo più tardi al chiosco, verso le 5, e poi decidiamo dove passare pomeriggio e serata …“.
E cosi facemmo!
Arrivammo un po’ alla spicciolata (cellulari, WhatsApp ed altro sarebbero arrivati anni dopo).
Per ultimo, ma non per questo meno importante, uno dei nostri amici, all’epoca cadetto alla scuola sottufficiali dei Carabinieri.
Lo sguardo basso, ferito oserei dire.
Il passo lento, non era il suo solito passo.
Gli occhi lucidi che facevano presagire che qualcosa di grave era successo.
“Hanno ammazzato pure Paolo”, furono le sue uniche indimenticabili parole.
In un momento i nostri sorrisi, la nostra voglia di festeggiare quel sabato si ruppe.
Non erano passati neanche due mesi dell’attentato di Capaci in cui Giovanni Falcone, sua moglie e gli uomini della scorta erano stati ammazzati per ordine della Mafia ed ora anche Paolo Borsellino e la sua scorta erano lì dilaniati dall’ennesimo atto vigliacco di Cosa Nostra.
Giovanni e Paolo incarnavano i sogni di quella nostra generazione pronta a scendere in piazza per dire “NO ALLA MAFIA”.
Una generazione che aveva fatto dell’impegno politico e sociale la propria stella polare.
Quei due uomini seppero farci capire quanto l’impegno dovesse essere sempre animato da uno spirito di sacrificio personale.
Ci fecero capire che per cambiare il mondo il primo impegno era mettersi in gioco.
Quel pomeriggio i nostri sogni di ragazzi che volevano un mondo migliore saltarono in aria come quella maledetta bomba in via d’Amelio.
Ma capimmo, anni dopo, che dalla loro morte sarebbe germogliato quel seme che avrebbe fatto crescere la pianta rigogliosa della legalità.
Oggi a più di 30 anni dalla loro morte tengo in mente due loro pensieri:

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

L’ importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio ma incoscienza (Giovanni Falcone)
La paura è umana, ma combattetela con il coraggio (Paolo Borsellino)


Ecco paura e coraggio … le loro vite, il loro impegno, il loro sacrificio ci hanno insegnato che possono convivere e farci essere grandi uomini.

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Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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