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GALLARATE: ASSALTATO FURGONE DELLA POLIZIA. EVADE UN DETENUTO, MORTO UN BANDITO, FERITI DUE AGENTI

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Tempo di lettura 3 minuti E' caccia all'uomo

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Ieri pomeriggio un commando armato ha assaltato un furgone della polizia penitenziaria a Gallarate (Varese), in via Milano, vicino al Tribunale e ha liberato un detenuto, l'ergastolano Domenico Cutrì.

 

Redazione

Gallarate (VA) – Un commando armato, alle 15.50 di ieri, ha assaltato un furgone della polizia penitenziaria a Gallarate (Varese), in via Milano, vicino al Tribunale e ha liberato un detenuto, l'ergastolano Domenico Cutrì.

I carabinieri smentiscono che un altro fratello di Domenico Cutrì, evaso dopo un assalto a un furgone della polizia penitenziaria, si sia costituito. La notizia era stata data dalla Uil Penitenziari. Antonino Cutrì, un altro fratello, è invece morto dopo la sparatoria.

Uno dei banditi che hanno partecipato all'evasione del detenuto è morto. Si tratta del fratello del detenuto evaso, Antonino Cutrì. L'uomo è stato colpito da alcune pallottole durante la sparatoria. E' stata la madre a portare il figlio, già morto, all'ospedale di Magenta. Lo ha confermato la polizia di Varese. Secondo la ricostruzione i banditi avrebbero portato il ferito in casa della donna a Cuggiono nel milanese, e lei lo ha portato in ospedale dove è morto. La donna è stata ascoltata dai carabinieri. L'ipotesi più plausibile, secondo gli investigatori, è che i fuggitivi siano passati a prendere la donna nella sua casa di Cuggiono (dove risiedeva anche la vittima) e che l'abbiano lasciata con il ferito davanti all'ospedale. Tale ricostruzione sarebbe confermata dalla difficoltà per una donna anziana di caricare un corpo in auto e dall'assenza della vettura utilizzata per il trasporto.
E' stato arrestato un membro del commando che ha assaltato gli uomini della polizia penitenziaria. L'uomo, ferito nel corso della sparatoria, è stato fermato poco distante il luogo dell'assalto.

L'ergastolano Domenico Cutrì è stato condannato come mandante per l'omicidio di Lukacs Kobrzeniecki, vittima di un agguato avvenuto nel  2006 a Trecate (Novara).  L'uomo, stando a quanto si apprende da fonti del Dap, è detenuto nel carcere di Cuneo, ma da venerdì scorso era stato tradotto nel penitenziario di Busto Arsizio proprio perché stamane doveva essere presente al processo al tribunale di Gallarate.

Secondo una prima ricostruzione, Cutrì, a bordo di un mezzo della polizia penitenziaria con una scorta di quattro agenti, era stato tradotto dal carcere di Busto Arsizio a Gallarate e stava per entrare nella sezione distaccata del tribunale, dove avrebbe dovuto partecipare a un processo per emissione di assegni falsi attorno alle 15 di questo pomeriggio. All'arrivo la scorta è stata affrontata da due banditi, armati di kalashnikov, che hanno intimato ai poliziotti di lasciare le armi a terra. Hanno così fatto evadere il detenuto e hanno abbandonato un'auto carica di armi. Ne è seguita una sparatoria, con almeno due feriti. Alla liberazione del detenuto hanno partecipato almeno 4 banditi. Smentita dalla polizia l'ipotesi che i banditi abbiano preso in ostaggio un passante davanti al Tribunale di Gallarate per favorire l'evasione di Domenico Cutrì. Lo ha chiarito la polizia di Varese. Dai rilievi condotti sul posto è risultato che durante l'assalto sono stati esplosi una trentina di colpi d'arma da fuoco.

Nell'assalto del commando hanno subito lievi ferite due agenti di polizia, che ora sono ricoverati per accertamenti al pronto soccorso dell'ospedale di Gallarate. C'è stata una sparatoria ma, secondo le ricostruzioni, le ferite non sono provocate da colpi d'arma da fuoco. Infatti gli assalitori hanno aggredito gli agenti mentre stavano per uscire dal Tribunale di Gallarate, favorendo la fuga del complice. Uno dei due agenti, spinto dalle scale, ha riportato un trauma cranico. L'altro ha dei problemi agli occhi perchè i malviventi hanno usato uno spray urticante. Non è stato ancora precisato il numero degli assalitori, arrivati su due auto, una delle quali abbandonata, con a bordo armi. La polizia ha comunque diramato le caratteristiche dell'auto usata per la fuga dai banditi: una C3 di colore nero targata EM 197 ZE. I carabinieri hanno disposto posti di blocco in tutta la provincia di Novara, in particolare al confine tra Piemonte e Lombardia.

"Abbiamo cercato di evitare rischi inutili"
"E' stato tutto velocissimo, noi abbiamo cercato soprattutto di evitare rischi inutili e limitare le conseguenze ad altre persone". Questo il commento dei quattro agenti della polizia penitenziaria coinvolti nell'assalto di Gallarate, che hanno incontrato all'ospedale di Busto Arsizio il segretario della Uilpa Nazionale, Angelo Urso: "Sono gia' stati dimessi – ha detto Urso – Sono stati davvero bravi, hanno pensato a proteggersi ma anche a proteggere l'ostaggio e altre persone che avrebbero potuto restare coinvolte".

Roberti (Dna): “Profondo radicamento della ‘ndrangheta in Lombardia”
Quanto accaduto a Gallarate, dove un commando ha dato vita a una sparatoria per far evadere un boss della 'ndrangheta, è "allarmante" ma "non deve sorprendere", perché, seppure "l'azione di contrasto alla criminalità organizzata della Direzione distrettuale antimafia meneghina è efficace", "c'è un profondo radicamento 'ndraghetista in Lombardia". A dirlo è il procuratore antimafia Franco Roberti.

"La pervasività e la capacità militare ed economica delle mafie ben oltre le loro regioni di origine sono state sottolineate da tempo – aggiunge Roberti – ora questo fenomeno è più chiaro e se ne dà conto in documenti del Viminale e non solo. Non vanno, e non lo sono in generale, sottovalutate. L'episodio di Gallarate è certo anomalo come azione della criminalità organizzata nel Nord Italia. Sinora casi con analogie a questo si registravano al Sud. Ma l'infiltrazione mafiosa al Nord e' ormai un fenomeno di gravità chiara e riconosciuta.
 

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Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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