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Editoriali

RENZI E LETTA ED I LORO "VORREI MA NON OSO"

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Tempo di lettura 2 minuti Pochi nutrono speranze che questa classe politica possa operare veramente delle riforme strutturali per il paese e per il bene comune.

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di Emanuel Galea

”Vorrei dirti le parole più vere, ma non oso, per paura che tu rida. Ecco perché mento, dicendo il contrario di quello che penso. Rendo assurdo il mio dolore per paura che tu faccia lo stesso” (Aforisma del poeta, artista indiano Tagore.)

Ispirato da quest’aforisma del saggio indiano,  e indignato dal timido orizzonte della “Destinazione Italia”, mi sento di travolgere Tagore per attualizzare al dilemma nostro così:

Cittadini, vorrei dichiararvi la verità di come stanno le cose, ma non oso per non allarmarvi. Ecco perché mento, dicendo il contrario di quello che penso. Rendo assurdo il mio concetto del vostro futuro per paura che voi vi possiate illudere

Penso che le cose stiano proprio così perché penso bene sia di Renzi che di Letta. Tutte e due vorrebbero ma non osano. Il perché è facile intuirlo. L’ombra dei partiti , del vecchio apparato, della burocrazia ancora aleggia sui banchi di Montecitorio e poco valgono le rassicurazioni di una “aria nuova”. Nei palazzi del potere. Il fantasma ingordo della politica politicante si aggira nei corridoi della burocrazia e sa ancora intimidire i “cocchieri” del carro Italia.

Purtroppo per Letta e per Renzi l’impresa è lenta e dura. Lo scenario davanti a loro non è per niente chiaro. Ancora non stanno che all’inizio delle prime fatiche di Ercole. Sul loro orizzonte c'e' Idra di Lerna, il mostro con nove teste di serpente. Il finanziamento pubblico, camuffato da finti rimborsi, con questa timida manovra non è stato debellato. I proclami di Renzi sono stati piegati a miti consigli da Letta che a sua volta , seppure con palle d’acciaio, si regge sempre su piedi d’argilla della sottile e traballante “intesa”, un piede infilato nelle scarpe di Alfano e l’altro in quella dei Montiani e dei Forzisti. Troppo presto per attaccare i manifesti. Fra due mesi il decreto dovrebbe essere convertito in legge. Chi si sente di garantire per il suo futuro?

Timidissimi i segnali arrivati a quelle, quasi, diciotto milioni di anime che sentono le gelide mani della povertà lambirle sempre più da vicino.

Pochi nutrono speranze che questa classe politica possa operare veramente delle riforme strutturali per il paese e per il bene comune. Scarsa fiducia si nutre che ci si possa accordare su una legge elettorale veramente degna di questo nome. I partiti sono presi, anima e corpo, a salvare poltrone, patrimonio e carriera. Il movimento nuovo, che prometteva di aprire le Camere come una scatola di tonno, si è rivelato inconcludente, colorito di protesta e scarso di proposta.

Berlusconi, politicamente morto, annuncia la rivoluzione se lo arrestano e paradossalmente chiede anticipazioni delle europee al 24 maggio.  Qualcuno direbbe “è la solita storia del pastore, voleva raccontarla e si addormì”. Dall’Europa può mai venire qualcosa di buono per il cittadino?

Il M5s, per sua stessa costituzione, fa la parte del cane di guardia, abbaia ma non morde.

Mentre a Montecitorio si vuole far credere che si sta girando pagina, nelle piazze di tutt’Italia si monta la protesta e con l’avvicinarsi delle feste natalizie, calano i consumi , sale la rabbia e si disertano i supermercati. L’Istat  annuncia che la crisi si è fermata.. Si spera che abbia fatto in tempo  * Lo ciuccio ca se mparavo re no mangià, murivo! Il padrone si lamentava: "E' morto proprio ora che aveva imparato a non mangiare!"  Incrociamo le dita ed andiamo avanti.

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Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

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La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

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Un anno senza Silvio Berlusconi

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Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

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