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Federica Angeli è una giornalista del quotidiano La Repubblica impegnata nella lotta contro le mafie romane. Nel 2013, con Carlo Bonini porta avanti un’inchiesta che termina con la maxi retata soprannominata “Nuova alba” grazie alla quale 51 uomini vengono arrestati. Tutti appartenenti ai clan dei Fasciani, Triassi e Cuntrera-Caruana. Dal luglio 2013 vive sotto scorta dopo esser stata minacciata di morte, mentre due anni dopo il Presidente della Repubblica le conferiva il titolo di Ufficiale dell’Ordine al Merito. Nell’ultimo anno, l’operazione Eclisse porta all’arresto di 32 adepti al clan Spada di Ostia. Federica Angeli sarà un testimone chiave al processo contro Armando Spada.
Oggi spiega a L’osservatore d’Italia cosa vuol dire essere una giornalista impegnata in una lotta così difficile proseguita anche dopo aver ricevuto il 7 aprile scorso una busta con all’interno un proiettile.
Cosa è per lei la lotta alla mafia?
E’ ristabilire la libertà di ognuno di noi di non dover piegare la testa e di avere paura.
Ravvisa delle differenze o delle affinità tra mafia radicata nel Lazio e quella invece del sud Italia?
Direi che mentre ‘ndrangheta e Cosa nostra sono ormai diventate mafie imprenditoriali e dunque meno riconoscibili di un tempo, la camorra e i clan autoctoni presenti nel Lazio sono molto più simili nelle dinamiche di strada. Il bisogno di usare, quasi ostentare, la violenza ad esempio è tipico della mala campana così come della malavita organizzata di Ostia. Dimostrare di governare con le cattive maniere un territorio rende simili le modalità di queste due compagini malavitose.
Lo scorso 19 aprile, ha testimoniato al processo Spada mentre terminava la prima parte del procedimento giudiziario sulla trattativa Stato-Mafia. E’ importante dare voce mediatica a questi processi?
Ritengo di sì. Il cittadino ha diritto di conoscere l’evoluzione e l’esito di determinati procedimenti contro la mafia. Per capire quanto il gioco di forza tra stato e antistato abbia portato l’uno a vincere e l’altro a soccombere. E poi partendo dal presupposto che le mafie odiano i riflettori e che si parli di loro, direi a maggior ragione che trovo tutt’altro che esiziale parlarne, al contrario bisogna farlo sempre e ovunque.
Come descriverebbe la sua vita? Lei lavora come un ispettore che ha scambiato la pistola con la penna.
In verità il lavoro di indagine sul campo è molto simile. Ma no, non ho scambiato penna per pistola, so bene di non possedere gli strumenti che hanno procure e inquirenti e conosco il confine entro cui muovermi. La mia vita? E’ una continua e incessante e appassionante ricerca della verità. Questo mi fa sentire davvero libera.
Dopo Mafia Capitale e gli Spada, ci si è resi conto che Roma è spartita tra varie famiglie mafiose. Vede un futuro per Ostia?
Sì. Vedo sempre più vicino il giorno della resa dei conti in cui finalmente lo Stato deciderà di proteggere sul serio i suoi cittadini e la giustizia renderà merito al lavoro degli investigatori che hanno portato in carcere i clan.
Gianpaolo Plini
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