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Cronaca

Omicidio Ilaria Alpi, colpo di scena: nuovi documenti potrebbero far riaprire il caso

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Importanti novità sull’omicidio di Ilaria Alpi, inviata del Tg3 in Somalia e Miran Hrovatin, operatore tv: entrambi uccisi in circostanze misteriose il 20 marzo 1994 a Mogadiscio.

Una serie di intercettazioni tra somali che parlavano della morte di Ilaria e Miran, risalenti al 2012, potrebbero far riaprire l’indagine sull’omicidio

La scottante intercettazione è depositata tra le carte di un’inchiesta della Procura di Firenze in merito al traffico di camion dismessi dell’Esercito italiano verso la Somalia. Poche settimane fa, la procura di Firenze ha trasmesso alla procura di Roma gli atti in merito all’inchiesta sul traffico di mezzi militari italiani e che ha portato a 15 indagati, 4 dei quali Somali. Omar Hashi Hassan, il somalo che ha scontato da innocente 17 anni di reclusione dei 26 con la terribile accusa di duplice omicidio, ha partecipato al sit in fuori dal Tribunale di Roma. “Sono venuto qui oggi per dare sostegno a Luciana, la mamma di Ilaria Alpi, – ha detto Hashi – e per avere giustizia dopo tanti anni. Luciana e il papà di Ilaria, Giorgio, – ha aggiunto Hashi – mi hanno sempre aiutato e hanno sempre sostenuto la mia innocenza, fin dal primo giorno”. Hashi ha ottenuto –dalla Corte di Appello di Perugia- un risarcimento di 3,1 milioni per l’errore giudiziario che gli è costato la libertà e una ingiusta condanna. La famiglia Alpi ha proclamato la sua estraneità all’omicidio sin dal primo momento, chiedendo l’immediata scarcerazione e gli è stata vicina fino alla tanto attesa assoluzione definitiva.

Cosa è accaduto veramente in quel fatidico 20 marzo 1994 a Mogadiscio?

Tutt’oggi è un mistero. Ilaria e Miran si trovavano nel corno d’Africa per seguire le operazioni tra fazioni che stava colpendo il paese e la missione Onu “Restor Hope” promossa dagli Usa ma appoggiata da diverse nazioni compresa l’Italia, con l’obiettivo ultimo di porre fine ristabilire una stabilità ormai desueta in Somalia. I loro corpi arrivarono in Italia pochi giorni dopo, ma non venne disposta nessuna autopsia sul corpo di Ilaria, mentre sul corpo di Miran si.

Emergono sin da subito i primi misteri

La sparizione di alcuni nastri di Miran e alcuni taccuini di Ilaria, si inizia a parlare di esecuzione e torna alla mente l’ultima intervista fatta da Ilaria Alpi prima di morire al sultano di Bosaso, Abdullahi Mussa Bogor, e proprio in quell’occasione aveva annotato tutto in un taccuino. L’uomo viene indagato nel 1995 ma la sua posizione verrà archiviata in seguito. Il 12 gennaio 1999 viene arrestato Omar Hashi Hassan per concorso in duplice omicidio, comincia il processo e in primo grado viene assolto ma la sorpresa avviene il 24 novembre 2000, quando la Corte d’Assise d’Appello di Roma ribalta la sentenza e condanna all’ergastolo Hassan. Ma tutto cambia quando l’uomo che ha accusato Hassan, ovvero Ahmed Ali Rage detto “Jelle”, rivela ai microfoni della trasmissione di Rai3 “Chi l’ha visto?” di non aver visto chi ha sparato ad Ilaria e Miran perché non si trovava li. L’uomo risultava irreperibile per l’Italia ma la giornalista Chiara Cazzaniga lo ha raggiunto e a lei ha rivelato che gli italiani avevano fretta di chiudere il caso e in cambio di una sua testimonianza gli hanno promesso dei soldi e così lui indicò Hassan.

Nell’ottobre del 2016, abbiamo intervistato  la giornalista  di “Chi l’ha visto?” Chiara Cazzaniga in merito all’assoluzione di Hashi Omar Hassan 

L’uomo è innocente e si è arrivati a questa assoluzione a seguito delle parole del supertestimone “Jelle” rintracciato e intervistato dalla giornalista nel programma “Chi l’ha visto?”. Abbiamo chiesto cosa le ha raccontato: “Ti faccio un piccolo preambolo, marzo 2014, quando nel 20esimo anniversario della morte di Ilaria e Miran su Rai3 andò in onda una trasmissione per commemorare Ilaria e Miran. All’interno di questa trasmissione c’erano vari contributi, c’era per esempio Federica Sciarelli in studio, c’erano altri colleghi e quant’altro. Al termine di questa trasmissione a Federica Sciarelli è venuta in mente questa cosa, ovvero, dato che Hashi Omar Hassan era finito sostanzialmente per l’accusa di questo testimone, di questo Jelle perché l’altro, l’autista di Ilaria, era una testimonianza assolutamente inverosimile che era stata completamente smontata in primo grado quindi in realtà il testimone principale è uno, questo Jelle e dato che questo Jelle appunto depose davanti alla Digos e al Pm Ionta e poi scappò senza presentarsi al processo, senza riconoscere, senza niente, senza un incidente probatorio. Cioè la cosa più grave, al di là che questo se ne è andato ed è scappato, è che non c’è mai stato un riconoscimento tra i due: Jelle ha detto “è stato Hashi Faudo”, Faudo è un soprannome dopodiché a Jelle non hanno fatto vedere una fotografia o gli hanno messo davanti Hashi. La Sciarelli mi disse che la testimonianza è molto dubbia anche perché questo qua perché è scappato? Che motivo ha di venire a deporre, dice una cosa del genere davanti alla Digos, davanti al Pm e poi si da alla macchia e nessuno lo cerca e mi dice “prova a vedere se riesci a trovarlo”.

Come hai trovato Jelle? Risultava irreperibile per l’Italia però sei riuscita a trovarlo…

Risultava irreperibile e molto sinceramente non so se l’abbiano mai cercato. Io ho chiesto aiuto alla comunità somala perché non avevo altri mezzi perché c’era un indirizzo dell’Interpool però già due colleghi erano andati a suonare a quell’indirizzo e lui non c’era e poi abbiamo scoperto solo qualche mese fa che in realtà era l’indirizzo di un’altra persona cioè di un omonimo. Io ho chiesto aiuto alla comunità somala e mi hanno messo in contatto con una mia fonte qui a Roma, mi ha messo in contatto con la comunità somala inglese di Manchester e di Birmingham e grazie a loro io ho raggiunto Jelle.

Pensi che i mezzi utilizzati da te, se fossero stati utilizzati dagli inquirenti, avrebbero potuto portare molto prima all’individuazione di Jelle?

Secondo me si anche perché comunque io ho dei mezzi esimi nel senso che comunque, come tu ben sai, facciamo i giornalisti e quindi non è che possiamo predisporre di intercettazioni telefoniche o guardare l’elenco dell’anagrafe, son tutte cose giustamente tutelate dalla privacy. Secondo me se avessero chiesto aiuto a qualche esponente più importante della comunità somala o quant’altro perché non era irraggiungibile Jelle anche perché comunque in Inghilterra non è che lui vivesse sotto protezione o sotto scorta o in una grotta. Vive a  Birmingham, ha famiglia e guida gli autobus.

Una vita alla luce del sole sostanzialmente…

Assolutamente si, guida gli autobus di linea della compagnia cittadina.

Jelle ha riferito inoltre che gli italiani avevano fretta di chiudere il caso e hanno offerto del denaro a lui in cambio di una sua testimonianza…

Quando io sono arrivata da lui e mi ha detto “guarda che io non ero li, ero all’Ambasciata Americana e quindi non ho visto niente, non sono un testimone oculare, non so chi ha sparato perché non li ho mai visti”, cosa che per altro –apro parentesi- durante il processo di primo grado c’erano dei testimoni somali che avevano detto che appunto Jelle non era sul luogo dell’attentato bensì all’Ambasciata Americana e nessuno dei testimoni presenti si ricordava che Jelle fosse li al momento dell’attentato quindi anche questa è una cosa da prendere in considerazione e soprattutto c’erano tre testimoni somali che dicevano che Hashi era a 300 chilometri da  Mogadiscio, tutte cose che ovviamente in primo grado sono state prese in considerazione visto che è stato assolto Hashi in primo grado, in secondo grano ma io non ho mai capito perché senza nessun elemento probatorio nuovo lui è stato condannato quindi io non capisco proprio la logica di questa cosa. Quando Jelle mi disse appunto che non era li, io gli chiesi perché avesse detto una bugia del genere cioè che aveva fatto finire in carcere un innocente e lui mi disse che gli italiani avevano fretta di chiudere il caso -calcola che tutto questo succede nel 97, quindi tre anni dopo la morte di Ilaria e Miran- quindi a lui avevano offerto dei soldi e soprattutto un passaporto cioè un lasciapassare per andare via dalla Somalia in guerra e lui a me ha detto: “guarda io non l’ho fatto tanto per i soldi” anche perché poi a me lui ha raccontato che di soldi ne ha presi ben pochi perché comunque non ha portato a termine il lavoro, portare a termine il lavoro significava andare in Tribunale e testimoniare contro Hashi mentre lui ha testimoniato solo davanti alla Digos, davanti al Pm poi è scappato. Lui mi ha detto “io avevo raggiunto il mio scopo che era quello di andare via dalla Somalia” e mi ha anche detto “e non pensavo che se non mi fossi presentato a processo un innocente sarebbe finito in carcere e soprattutto pensavo che qualcuno comunque avrebbe verificato quanto da me raccontato” .

Lui ti ha detto chi sono stati gli italiani che lo hanno aiutato…

Certo, lui fa sempre un nome cioè quello dell’Ambasciatore Giuseppe Cassini. Ambasciatore che ovviamente io ho intervistato per il diritto di replica perché comunque è un’accusa grave e infamante e che poi è stato sentito comunque anche dalla Corte di Perugia durante la revisione del processo. Ovviamente Cassini dice che non è assolutamente vero, dice che lui non ha mai dato dei soldi a Jelle. Gli unici soldi che lo Stato italiano ha dato a Jelle sono quelli dell’aereo da Mogadiscio a Roma e un minimo di sostentamento. Tra l’altro avevano trovato anche un lavoro a Jelle, lui ha lavorato per qualche mese che è rimasto in Italia –prima di scappare- in un’autofficina di un soggetto che riparava le automobili del Ministero degli Interni. Dopodiché in aula Cassini dice che comunque “quando io ho saputo che Jelle era irreperibile ho fatto tre telefonate e ho scoperto esattamente dov’era. Era in Germania” e da l’indirizzo di dov’era, “quindi come l’ho fatto io poteva farlo chiunque, potevano andare a riprenderlo” questo lui lo dice durante il processo di revisione. Cassini ovviamente dice che non ha dato soldi a nessuno; lui si è presentato e ha detto di aver visto tutto quanto “io l’ho portato in Italia” dopodiché se lui fosse un test attendibile o no ovviamente non lo doveva stabilire l’Ambasciatore Cassini bensì la Procura o chi lo ha interrogato.

Hassan come ha reagito a seguito dell’assoluzione e come ha reagito a seguito dell’intervista che hai fatto tu a Jelle che ha portato alla sua assoluzione…

L’intervista che ho fatto io a Jelle ha permesso ai suoi avvocati di chiedere il processo di revisione e la Corte di Perugia ha accolto la revisione del processo in base a quest’intervista dopodiché se è stato assolto è perché la corte ha valutato sia l’intervista che ho fatto io, sia la rogatoria internazionale che dopo un anno è passa è stata fatta a Jelle, sia tutta una serie di testimoni che sono tornati a testimoniare appunto a Perugia. Il merito mio, il merito di “Chi l’ha visto?” è quello di aver fatto riaprire il processo di revisione.

Secondo te quali sono gli interessi che gravitano attorno a questa storia e che hanno impedito l’immediata individuazione della verità?

Tu mi fai una domanda a cui io non so rispondere. Luciana Alpi da sempre dice “io voglio sapere chi sono i mandanti dell’omicidio di mia figlia e di Miran Hrovatin”. Quindi non sappiamo, forse possiamo soltanto immaginare chi sono i mandanti ma non lo sappiamo con certezza perché con certezza non sappiamo il motivo per cui sono stati uccisi perché poi parte delle inchieste sono state fatte da bravissimi colleghi che collegavano questa morte al traffico di armi collegato ai soldi della cooperativa internazionale piuttosto che al traffico di rifiuti tossici…cose del genere. Noi la certezza non ce l’abbiamo quindi non possiamo sapere chi sono i mandanti, sicuramente c’erano degli interessi enormi perché comunque questo è dimostrato da subito nel senso che da subito iniziano i depistaggi, da quando Alfredo Tedesco che era l’uomo del Sismi a Mogadiscio manda un fax a Roma dove scrive determinate cose ovvero scrive che il contingente Onu in Somalia minimizzare l’accaduto,  vuole farlo passare per una rapina quando in realtà non sembra per niente una rapina, questo documento viene corretto a penna e viene trascritto in un modo completamente diverso.

Anche la posizione dei corpi era stata oggetto di discussione se non ricordo male…

In realtà la storia dei corpi è il fatto che quando Jelle, il supertestimone, descrisse a Ionta la scena del crimine, descrisse una scena sbagliata e disse che Ilaria era seduta davanti al Pickup e Miran sul sedile inferiore mentre era il contrario. Il problema è che sti due ragazzi, Ilaria e Miran, vengono tirati giù dalla macchina e vengono portati a Porto Vecchio dal signor Giancarlo Marocchino che non è un militare. L’esercito italiano, noi ricordiamoci che è vero per carità che la stragrande maggioranza dei nostri militari era sulle navi perché si stava ritirando il contingente erano i giorni del rientro, però c’erano Carabinieri, c’erano tanti militari italiani a Mogadiscio, c’era la nostra ex rappresentanza diplomatica dove c’erano dei militari anche italiani che erano a 50 metri da dove sono stati uccisi Ilaria e Miran: come mai nessuno va a vedere che cosa è successo? La cosa fa pensare che comunque in tutti i modi abbiano voluto far passare questa cosa come una rapina quando sti due sono stati freddati perché si sono beccati una pallottola a testa, è stata un’esecuzione quindi c’erano dietro sicuramente degli enormi interessi. Ci sono state tante piste seguite, dalla CIA al fatto che lei potesse aver scoperto delle malefatte dell’esercito italiano, i rifiuti, tante tante cose però qual è la verità? Purtroppo non lo sappiamo ancora, la sapremmo mai? la cosa vera, con tutto che abbiamo saputo sempre che Hashi Omar Hassan era innocente, però adesso è sancito legalmente il fatto che Hashi sia innocente quindi vuol dire che a 23 anni di distanza Ilaria Alpi e Miran

 Hrovatin non solo non sappiamo il perché sono morti ma non abbiamo ancora i colpevoli. Nel 2002 Jelle chiamò un giornalista somalo che lavorava alla BBC dicendogli che “ho visto che Hashi Omar Hassan è finito in carcere, ma come è possibile, io non sono venuto a processo, quello che ho detto non era vero, io l’ho fatto per scappare dalla Somalia” praticamente ha raccontato la stessa cosa che poi ha confermato a me anni dopo. Il problema è che quella telefonata, il giornalista somalo, l’ha registrata e quando l’ha portata all’Avvocato di Hashi e l’Avvocato di Hashi l’ha portata in Procura, si è sentito rispondere che dato che non c’era una registrazione dell’interrogatorio di Jelle, le voci non potevano essere messe a confronto quindi dall’altra parte poteva esserci chiunque. C’è stato anche un processo per calunnia che è finito con l’assoluzione di Jelle perché non c’era un riscontro audio per fare un riscontro con la telefonata e seconda cosa c’era una foto fatta nell’immediatezza, subito dopo l’attentato, dove sullo sfondo c’era un tizio. In primo piano ci sono l’autista di Ilaria e la guardia del corpo e sullo sfondo c’è un tizio. Jelle disse “io sono questo qua”. In realtà si era presentato un signore dicendo “quello sono io” , “quello nella foto sono io”, ma nonostante questo è andata così.

A dare l’input in questa determinante intervista realizzata da Chiara Cazzaniga e che ha portato all’assoluzione di Hashi Omar Hassan è stata Federica Sciarelli, conduttrice di “Chi l’ha Visto?” che si è sempre occupata del caso essendo stata  collega di Ilaria Alpi. Sin dal principio Federica Sciarelli ha posto il dubbio a Chiara Cazzaniga in merito all’incarcerazione di Hashi sulla base di un testimone che poi si è dato alla fuga.

Noi de L’Osservatore D’Italia abbiamo intervistato in esclusiva Federica Sciarelli in merito alla vicenda

Come avete rintracciato Jelle?

Guarda, intanto lo abbiamo cercato perché non lo aveva cercato nessuno, non lo aveva cercato né la Procura di Roma né i ROS. L’abbiamo cercato come si fanno le inchieste giornalistiche infatti io ho dato a Chiara Cazzaniga il compito di contattare tutti i somali che stanno diciamo in Italia  e spiegargli qual’era la situazione cioè che c’era un innocente in carcere, Hashi Omar Hassan, se ci aiutavano a parlare con questo Jelle per stabilire la verità e loro ci hanno aiutato.

Jelle ha parlato di soldi che sarebbero stati dati da parte degli italiani…

Ma in realtà Jelle ha detto che lui non ha preso soldi, lui se ne voleva andare via dalla Somalia e ha preso questo passaggio, ha detto questa fesseria diciamo alla Digos e a Ionta però pensando che poi doveva andare a processo e invece se n’è scappato via, se n’è andato in Inghilterra e lui stesso ci dice “tutto potevo immaginare tranne che lo condannavano” sulla base di false dichiarazioni.

Siccome lui parlava del denaro in riferimento al fatto che gli italiani avevano fretta di chiudere il caso e avrebbero dato dei soldi a lui in cambio di una falsa testimonianza…

Io so che glieli hanno promessi e che non glieli hanno dati. Questo è ciò che ci dice lui naturalmente.

Angelo Barraco

 

 

 

Cronaca

Roma, metro Barberini: una rissa provoca la chiusura della stazione

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Tragiche le notizie che arrivano in un torrido sabato sera romano.
La stazione metro Barberini viene chiusa per questioni di sicurezza.
All’origine del fatto, avvenuto tra le 19 e le 19,30 una rissa tra nord africani e sudamericani con almeno 15 persone coinvolte. Molti passeggeri spaventati dalla situazione si sono rifugiati nella cabina del conducente fino all’arrivo delle forze di polizia allertate dalla centrale di sicurezza di Atac Metro.
Per ora sono ancora tutti da decifrare i motivi che hanno portato a ciò.

Un’estate romana che sta diventando ogni giorno più bollente.

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Castelli Romani

Monte Compatri, parco Calahorra: il degrado senza fine

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“Anni fa con un gruppo di amiche ed amici la tenevamo pulita e funzionale.
Vederla ridotta così piange davvero il cuore”.

INGRESSO ALLA VILLETTA

Sono queste le parole che fanno da sottofondo alle immagini che ci hanno inviato alcuni ragazzi di Monte Compatri basiti nel rientrare, dopo qualche anno, dentro parco Calahorra, per tutti la Villetta.
Una storia potremmo dire “sfortunata” per quello che potrebbe essere uno dei fiori all’occhiello della cittadina dei Castelli Romani.

PANCHINE DIVELTE e sporcizia SULLA TERRAZZA NATURALE CHE GUARDA ALLA BELLEZZA DI MONTE COMPATRI

Dai miliardi spesi durante l’amministrazione di Emilio Patriarca (1985/1990) per la realizzazioni dell’imponente portale d’ingresso e per l’anfiteatro, demolito poi dall’amministrazione di Marco de Carolis e trasformato in parcheggio per passare alle tante iniziative di pulizia collettiva con sindaci, assessori, consiglieri comunali e cittadini (ultima nel giugno del 2022, ove il delegato al verde, Elio Masi, dichiarava “… da oggi inizia una nuova stagione per Parco Calahorra che vedrà coinvolte associazioni e cittadini per una piena fruizione già a partire da questa estate …” ) ma senza poi trovare una continuità degna del rispetto che il luogo merita. (Monte Compatri, grandi pulizie per Parco Calahorra (osservatoreitalia.eu))

panchina divelta sul “balconcino” naturale che mostra il paese

Noi – ci dicono – ci provammo anni fa con l’associazione Brother Park. Installammo giochi per bambini oggi scomparsi”.
So io – risponde un altro – in quale giardino privato sono finiti!
Avevamo realizzato sentieri, costruito passaggi, realizzata una fontanella, realizzato tutto l’impianto elettrico di illuminazione. Poi è finito tutto.

NEL VIDEO QUEL CHE RESTA DELLA FONTANELLA E DEL CHIOSCO REALIZZATI DAI RAGAZZI DI BROTHER PARK

Addirittura – aggiungono – spendemmo circa 3000 euro di legname per realizzare un chiosco del quale non rimane più traccia”.
“Vedi – ci indica un luogo – dove sta quel mucchio di rovi avevamo realizzato un campetto da calcetto compreso di porte e di una rete per evitare che il pallone venisse perso. Che tristezza!
Nel vedere negli occhi di questi ragazzi la rassegnazione di chi spende il proprio tempo per la collettività e poi ritrova le proprie fatiche ed il proprio impegno ridotto a desolazione fa davvero male.

IN QUESTO VIDEO CI MOSTRANO IL LUOGO DOVE SORGEVA IL CAMPO DI CALCETTO ORA RICOPERTO DA ROVI

Basterebbe un impegno minimo, aggiungono, noi ci siamo cresciuti. Ci abbiamo giocato da bambini come crediamo ogni generazione di monticiano.
Noi oltre ad avervi inviato i video e le foto non siamo rimasti con le mano in mano.
In questi giorni abbiamo risollevato il secchio per la spazzatura, tolto un po’ di erbacce, pulito dove era possibile.
Ci investiamo volentieri il nostro tempo perché la Villetta torni ad essere il giardino di tutti”.

C’è qualcosa che vorreste dire all’amministrazione comunale?
Guardi noi siamo disposti a dare una mano, abbiamo provato a chiedere per avere la possibilità di poter almeno fare una manutenzione regolare di questi spazi, ovviamente autorizzati.
Lo faremmo per il paese, lo faremmo per le tante famiglie che, qui dentro, potrebbero davvero trovare un’oasi di pace.

uno dei tanti sentieri impraticabili ricoperti da rovi e sterpaglie

E mentre andiamo via loro continuano silenziosi ma sereni a provare a regalare alla Villetta qualche giorno di pulizia ed ordine

Come sempre chiederemo all’amministrazione comunale il loro punto di vista inviando all’ufficio stampa una richiesta di colloquio con il sindaco e con il consigliere delegato
Anche in questo caso vi terremo aggiornati.

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Cronaca

Martina Franca, torna l’appuntamento con la fotografia d’arte di Marcello Nitti

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Ritornata anche questa estate in Valle d’Itria, ricca di iniziative culturali come il suo famoso Festival, l’attesa mostra fotografica di Marcello Nitti, che, continuando nella sua indagine espressiva, espone una serie di fotografie con titolo “Impressionism love”, ‘amore per l’impressionismo’. L’autore pugliese spiega come questa sua nuova fatica sia “il frutto di una ricerca intesa ad indagare le romantiche possibilità fotografiche di restituire immagini che possano aiutare il sogno. Le fotografie di “Impressionism love” sono il risultato di ricerca, sperimentazione e di affermazione dell’amore nel campo fotografico. Le fotografie sono realizzate in pellicola e senza aiuti digitali con Hasselblad 500 C/M e le foto sono realizzate con pellicole a colori e B/N Kodak”. Il tutto visibile durante questa estate a Martina Franca in Vico IV Agesilao MIlano 7.
 
All’inaugurazione, presente l’autore, ha svolto una rapida introduzione critica il curatore artistico Pio Meledandri ed anche quest’anno, insieme alle foto sono esposte alcune poesie di Barbara Gortan.
 
Per Meledandri “L’esposizione di Martina Franca, che l’Autore ha intitolato “Impressionism love”, è un viaggio interiore alla ricerca dell’Arte. Una dichiarazione d’amore nei confronti dell’impressionismo che gli fa prediligere i soggetti del mondo naturale e guardare all’”attimo luminoso” capace di modificare le fisionomie degli oggetti, creando forme e cromie nuove. La sensibilità e soprattutto la creatività lo portano ad un fantastico gioco di pareidolia così come da bambini riconoscevamo nelle nuvole forme simili a uomini e animali, a draghi, principesse e castelli. …Tutte le immagini assecondano il sentimento romantico dell’Autore la cui narrazione è fantasia, sogno, mistero, emozione e passione, tutti elementi con cui il Romanticismo si è contrapposto alla cultura Illuminista determinando una sua fisionomia nelle arti visive, nella musica, nella letteratura e nel pensiero filosofico”.
 
Nitti ha ringraziato quindi il pubblico che da anni segue questo suo originale percorso fotografico “per il sostegno che mi avete donato nelle mostre precedenti e vi ringrazio per l’entusiasmo che mi infondete a continuare a creare nuove immagini nel mondo magico e sognante che si chiama ‘Fotografia’”.
Privo di virus.www.avast.com



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