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Cultura e Spettacoli

A Napoli un gioiello del patrimonio artistico mondiale, il Museo Cappella: due domande alla direttrice Giovanna Miranda

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Il Museo Cappella di Sansevero si trova nel pieno centro storico antico di Napoli, ed è un vero gioiello dell’immenso patrimonio artistico italiano ed internazionale, il Museo-Cappella è di proprietà privata e appartiene agli eredi del principe di Sansevero, da venerdì 30 marzo a lunedì 2 aprile ha registrato oltre 13.000 visitatori, con un aumento di circa il 10% rispetto al weekend pasquale dell’anno scorso, ed è un vero orgoglio del tutto partenopeo.

L’Osservatore d’Italia ha voluto porre qualche domanda alla Direttrice del Museo-Cappella Giovanna Miranda sulle opere che si trovano all’interno e sulle analisi eseguite al Cristo velato

Quale opera attira maggiormente i turisti?

Senza dubbio l’opera di maggior richiamo è il Cristo velato. Altro elemento di notevole attrazione per i turisti sono le Macchine anatomiche nella cavea sotterranea.

Molte sono le leggende sul Cristo velato, sul Principe Sansevero e le pratiche di alchimia di quest’ultimo; quali sono le analisi effettuate che smentirebbero qualsiasi dubbio e dare giustizia a Giuseppe Sanmartino in qualità di artista?

Oltre al fatto che basta una semplice attenta osservazione per rendersi conto che il Cristo velato è interamente di marmo, esistono documenti presso l’Archivio Storico del Banco di Napoli in cui si descrive esplicitamente la statua come un Cristo coperto da un velo anch’esso di marmo. Inoltre un’analisi non invasiva con un sistema noto come “Fluorescenza X”, eseguita dalla società Ars Mensurae, ha evidenziato – anche se non ce n’era bisogno – che l’unico materiale di cui è fatto il Cristo è marmo di Carrara. Da Clara Miccinelli e da altri autori, che hanno sostenuto la tesi della marmorizzazione alchemica di un velo di tessuto, è stato prodotto un presunto documento settecentesco dell’Archivio Notarile di Napoli, che la prof.ssa Rossana Cioffi, nel suo libro sulla Cappella Sansevero, ha dimostrato con incontrovertibili argomenti essere un documento falso.

Nella Cappella si trovano opere di un’immensa bellezza

come la scultura marmorea di Giuseppe Sanmartino del 1753 dal nome “Cristo velato” famosissima in tutto il mondo, la particolarità dell’opera è il realismo che l’artista ha saputo dare alla prodigiosa tessitura del velo marmoreo, l’artista ha trasformato un pezzo di marmo in un’opera che a distanza di tre secoli ancora emoziona, l’opera attira visitatori da tutto il mondo per poterlo vedere da vicino. Josheph Sanmartino così è firmato sull’opera ha saputo conferire alla statua un effetto visivo di “leggerezza” al velo che ricopre il Cristo, oltre alla “morbidezza” dei cuscini sottostante del corpo, sempre di materiale di marmo di Carrara. Il principe di Sangro disse in merito al Cristo velato del Sanmartino “ Fatto con tanta arte da lasciar stupiti i più abili osservatori”
Nel 2008 la regione Campania scelse il volto del Cristo per rilanciare l’immagine di Napoli, Canova quando vide l’opera ne restò affascinato, tanto che si dice che tentò anche di acquistarla. La statua è posta in fondo al centro della navata della cappella dove i fruitori possono vederlo da qualsiasi lato.

Nella Cappella vi sono altre opere da ammirare come la magnifica statua dal nome“ Il disinganno” di Francesco Queriolo, “La pudicizia” di Antonio Corradini e le “Macchine anatomiche” di Giuseppe Salerno del 1763-64.

Il soffitto della Cappella è decorato con un dipinto dal nome “Gloria del Paradiso”, governa dall’alto la cappella, fu realizzato da Francesco Maria Russo del 1749, l’intera parete è realizzata con i colori inventati dallo stesso Raimondo di Sangro, ed ancora adesso la cromatura è brillante e non è mai stato restaurato, la visita è accompagnata dalla melodia gregoriana dal titolo “Stabat Mater” rendendo ancor di più interessante l’esperienza culturale trasportando il “viaggiatore” in un’epoca passata, dove mistero e bellezza s’intrecciano rendendo l’esperienza unica del suo genere.
La Cappella nota anche come Santa Maria della Pietà o Pietatella fu fondata verso la fine del cinquecento da Giovanni di Sangro, grazie a Raimondo di Sangro – suo discendente – settimo principe di Sansevero uomo di grande di cultura e mecenate, tra il 1740 e il 1770, egli chiamò a sé a lavorare artisti rinomati, sovraintendendo personalmente a tutte le fasi di lavorazione di ogni opera attualmente esistente nella cappella, lasciando ai posteri la possibilità di poter ammirare tali meraviglie e testimonianze delle capacità dell’ingegno umano.

La Cappella –Museo è un vero “scrigno” di tesori e anche di leggende

infatti la bravura degli artisti ha creato “miti” attorno alle opere attirando milioni di visitatori, alimentate anche da libri e pseudo-documenti che provavano la “marmorizzazione” del velo del Cristo, tale tesi attribuiva il procedimento della trasformazione del velo da tessuto in marmo al Principe Sansevero, tutta questo ha creato un alone attorno all’opera, ma senza dubbio non conferendo bravura all’artista. Il velo del Cristo per molti anni è stato oggetto di discussione tra gli storici, tra cui Clara Miccinelli che attribuiva al velo marmoreo di essere il risultato di un processo alchemico, ossia l’opus o la “Grande Opera”, diffondendo anche la “ricetta”: “Calcina viva nuova 10 libbre, acqua barilli 4, carbone di frassino…”. – da “Arte e alchimia” di Maurizio Calvesi-
In realtà è la bravura del Sanmartino che in un unico blocco di marmo ha saputo scolpire l’intera opera in maniera magistrale in soli tre mesi e mezzo, a confermare che non vi è nessuna alchimia sono state fatte delle analisi, ed il risultato conferma che il velo è parte del marmo. Il fruitore che osserva le opere in questione come il “Cristo velato” o “Il disinganno” viene colpito dal loro realismo – aulico per quanto riguarda il Cristo velato – tanto che viene da pensare che la corrente iperrealista contemporanea sia nata qui nel cuore di Napoli tra le piazze e i vicoli dove si esibiscono attualmente gli artisti di strada, di qualsiasi etnia insieme alle bancarelle che fanno da attrazione e da colore, accompagnano i “viaggiatori” con il suono dei tamburi, delle fisarmoniche e perfino di un’arpa tra l’enorme stratificazione storica della città, tra folklore, miti, leggende e misteri.

GIUSY ERCOLE

 

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Cronaca

Martina Franca, torna l’appuntamento con la fotografia d’arte di Marcello Nitti

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Ritornata anche questa estate in Valle d’Itria, ricca di iniziative culturali come il suo famoso Festival, l’attesa mostra fotografica di Marcello Nitti, che, continuando nella sua indagine espressiva, espone una serie di fotografie con titolo “Impressionism love”, ‘amore per l’impressionismo’. L’autore pugliese spiega come questa sua nuova fatica sia “il frutto di una ricerca intesa ad indagare le romantiche possibilità fotografiche di restituire immagini che possano aiutare il sogno. Le fotografie di “Impressionism love” sono il risultato di ricerca, sperimentazione e di affermazione dell’amore nel campo fotografico. Le fotografie sono realizzate in pellicola e senza aiuti digitali con Hasselblad 500 C/M e le foto sono realizzate con pellicole a colori e B/N Kodak”. Il tutto visibile durante questa estate a Martina Franca in Vico IV Agesilao MIlano 7.
 
All’inaugurazione, presente l’autore, ha svolto una rapida introduzione critica il curatore artistico Pio Meledandri ed anche quest’anno, insieme alle foto sono esposte alcune poesie di Barbara Gortan.
 
Per Meledandri “L’esposizione di Martina Franca, che l’Autore ha intitolato “Impressionism love”, è un viaggio interiore alla ricerca dell’Arte. Una dichiarazione d’amore nei confronti dell’impressionismo che gli fa prediligere i soggetti del mondo naturale e guardare all’”attimo luminoso” capace di modificare le fisionomie degli oggetti, creando forme e cromie nuove. La sensibilità e soprattutto la creatività lo portano ad un fantastico gioco di pareidolia così come da bambini riconoscevamo nelle nuvole forme simili a uomini e animali, a draghi, principesse e castelli. …Tutte le immagini assecondano il sentimento romantico dell’Autore la cui narrazione è fantasia, sogno, mistero, emozione e passione, tutti elementi con cui il Romanticismo si è contrapposto alla cultura Illuminista determinando una sua fisionomia nelle arti visive, nella musica, nella letteratura e nel pensiero filosofico”.
 
Nitti ha ringraziato quindi il pubblico che da anni segue questo suo originale percorso fotografico “per il sostegno che mi avete donato nelle mostre precedenti e vi ringrazio per l’entusiasmo che mi infondete a continuare a creare nuove immagini nel mondo magico e sognante che si chiama ‘Fotografia’”.
Privo di virus.www.avast.com

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Cultura e Spettacoli

Tivoli, al via il festival della cultura giapponese

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Nei giorni 4,5 e 6 luglio si svolgerà a Tivoli la Prima Edizione del Festival della Cultura Giapponese, nell’ambito del rapporto di gemellaggio che lega Tivoli alla città giapponese di Yugawara.
Questo appuntamento si inserisce nel complesso dei rapporti istituzionali che collegano le due comunità e vuole rappresentare anche un ponte tra due culture millenarie che sembrano distanti e che invece hanno molti punti di contatto.
All’iniziativa hanno dato il proprio Patrocinio Gratuito i Comuni di Tivoli e di Guidonia Montecelio, L’Istituto Va-Ve, Villae Tivoli, la Fondazione Italia-Giappone, la DMO di Tivoli e Valle dell’Aniene Terre di Otium e la Presidenza del Consiglio Regionale del Lazio che ha erogato anche un contributo finanziario a sostegno dell’iniziativa.
Numerosi sono stati gli sponsor privati del territorio che hanno voluto supportare l’evento.
Il Comitato promotore del Festival è composto dall’Associazione Tivoli Città della Cultura, Tivoli ONLUS, LUIG (Libera Università Igino Giordani) e Agenzia del Viaggiatore-CTS.
Il programma allegato è ampio e denso di eventi ed è finalizzato a far conoscere alcuni aspetti della cultura giapponese con l’intento di rafforzare i rapporti anche dal punto di vista istituzionale e degli scambi commerciali.
Una delegazione della Città di Yugawara sarà ospite della nostra Città negli stessi giorni in cui si svolgerà il Festival e visiterà molti luoghi e strutture sia di Tivoli sia di Guidonia Montecelio.
Il Sindaco di Tivoli accoglierà la Delegazione il 4 luglio presso Palazzo San Bernardino per i saluti e lo scambio dei doni
istituzionali.
Particolarmente significativo ed evocativo sarà l’evento del 6 luglio, alle ore 17,00, presso le Scuderie Estensi.
In quell’occasione si celebrerà il primo Raid aereo Roma-Tokyo del 1920 e si commemorerà la figura dell’Ufficiale Pilota Arturo Ferrarin che compì la trasvolata. Per l’occasione, il giorno 5 luglio alle ore 9,30, il 60° Stormo dell’Aeronautica Militare di stanza presso l’Aeroporto di Guidonia Montecelio, sorvolerà la Città di Tivoli per omaggiare la memoria del
pilota italiano, la sua impresa, la Delegazione giapponese e la città di Tivoli.
A Yugawara è presente uno dei più grandi biscottifici del Giappone intitolato alla città di Tivoli, così come un grande Centro Commerciale, inaugurato nel 2017, dove insiste un’ampia zona in cui è possibile trovare prodotti alimentari italiani, in particolare di Tivoli e della Valle dell’Aniene.

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Castelli Romani

Frascati, Libri in Osteria: Angelo Polimeno Bottai presenta il libro “Mussolini io ti fermo”

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“O lo battezzate o ve lo riprendete. Io una bestia non l’allatto!”
Sono queste le parole che la balia frascatana Teresa rivolge ai genitori del piccolo Giuseppe Bottai contenute nel libro “Mussolini io ti fermo” che il nipote, Angelo Polimeno Bottai, presenta oggi nel salotto letterario di Emanuela Bruni, Libri in Osteria.
Sono l’incipit a questa serata che racconta, attraverso le pagine del libro, la storia e la vita di una delle figure che hanno rappresentato il ventennio fascista.

Emanuela Bruni ed Angelo Polimeno Bottai

C’è un profondo legame tra Frascati e l’autore del libro in quanto la città tuscolana, dice, “è parte stessa della nostra vita, infatti mio nonno venne battezzato nella Cattedrale di San Pietro ed io, molti anni dopo, ricevetti nella stessa Chiesa la Prima Comunione”.
Figura molto controversa, Giuseppe Bottai, viene “raccontato” attraverso una attenta analisi storica proprio per evitare, come dice lo stesso Angelo Polimeno Bottai, che “gli affetti prendessero il sopravvento sulla verità storica … è stata davvero una grossa responsabilità”.
Il quadro che emerge dalle pagine del libro narra un giovane Bottai lontano, nei primi anni della giovinezza, dalla politica ma che poi, vivendo, con la sua famiglia, nello storico quartiere romano Macao, resta colpito dalla presenza e dalla prestanza dei militari.
Siamo a ridosso della Grande Guerra alla quale Giuseppe Bottai prende parte come volontario negli Arditi riuscendo a mettersi in luce per il suo ardimento che lo porterà a ricevere una medaglia d’argento ed una di bronzo al valor militare.
Alla fine della guerra conosce e frequenta Benito Mussolini “rimandone folgorato” – dice l’autore – legandosi a quello che diverrà il “duce” attraverso un “rapporto travagliato con quest’uomo non altissimo di statura ma imponente nel carattere e nel modo di essere”
Un legame che può essere racchiuso nel titolo della rivista che Giuseppe Bottai fonda nel 1922, Critica Fascista, (da ricordare che tra gli abbonati di tale rivista figura Antonio Gramsci) proprio a sancire un atteggiamento molte volte contrario dello stesso Bottai ad alcune scelte che condurranno quella che originariamente vuole essere una rivoluzione che vuole riportare ordine e legalità in un paese, l’Italia, attraversato da molteplici attività anarchico socialiste che portano a terre occupate e centinaia di scioperi, ad una vera e propria dittatura.
“Ci sono due anime nel fascismo: quella che incarna mio nonno, i revisionisti, e quella che fa capo a Roberto Farinacci, gli irriducibili” spiega con estrema chiarezza Angelo Polimeno Bottai precisando che l’intento della “fazione” a cui fa capo il nonno cerca di convincere il Duce a mettere le mani nelle riforme necessarie allo sviluppo del paese per farlo risorgere da quella vittoria dimezzata che è stata la fine del Primo Conflitto Mondiale.
Ed una profonda frattura, spiega ancora, avviene immediatamente dopo la notizia del rapimento del deputato socialista, Giacomo Matteotti, definito da Giuseppe Bottai il “più efferato, inumano e stupido delitto che si potesse commettere verso un uomo di parte avversa e contro l’idea che anima la nostra parte”; una vera e propria condanna che culmina nella frase “bisogna trovare i responsabile anche se fossero nelle alte sfere”.
Questo, ovviamente, come riportano le pagine del libro, pone lo stesso Giuseppe Bottai ai margini del regime che sta nascendo che non è “inviso alle grandi potenze”, spiega Angelo Polimeno Bottai, ma che non pensa minimamente ad una alleanza con la Germania che sta divenendo hitleriana.
Addirittura, spiega, “ci sono liti profonde tra la stampa italiana e quella tedesca” fino al punto che alla cacciata degli ebrei dalla Germania molti di questi addirittura arrivano nel nostro Paese ed è la guerra d’Etiopia, nella quale Giuseppe Bottai si arruola, diventa il “punto di non ritorno” che segna in modo inesorabile l’alleanza italo/tedesca.
Le sanzioni permettono ad Hitler di legare con un patto economico e sodale l’Italia di Mussolini determinando il fatto che, spiega l’autore, “l’innamoramento di Giuseppe Bottai verso il duce si incrina ma rimane una lealtà critica che non determina affatto la rottura del rapporto”.
Ed è in questo momento che la frattura con l’area degli irriducibili di Farinacci raggiunge punti davvero enormi arrivando all’approvazione delle Leggi Razziali.
Lo stesso Roberto Farinacci fa girare la voce che Bottai sia d’origine ebraica per estrometterlo ed il risalto che questa notizia ha a livello internazionale diventa sempre più grande (addirittura si trova in molti giornali francesi e tedeschi).
La scelta di Giuseppe Bottai, divenuto Ministro dell’Educazione, di applicarla in maniera dura diventa, al tempo stesso, “un’angoscia” ed una “responsabilità” necessaria.
La prova di questo suo momento difficile si ritrova nella corrispondenza riportata tra le pagine del libro ove un carteggio con l’allora vicepresidente dell’Unione delle Comunità Israelitiche d’Italia, l’avvocato Aldo R. Ascoli mostra l’apertura di Bottai verso gli ebrei italiani valuta la possibilità concreta di “concedere particolari benemerenze a famiglie di ebrei in cui qualcuno abbia acquisito meriti particolari, militari o civili”.
“Due parti in commedia” spiega Angelo Polimeno Bottai dimostrando, ancora una volta, il forte attaccamento di Giuseppe Bottai all’origine rivoluzionaria del fascismo di cui resta innamorato.
Le contrapposizioni con Farinacci aumentano esponenzialmente: Bottai redige, durante il mandato che lo vedo governatore della Capitale, i piani per la creazione di EUR 42, l’Esposizione Universale di Roma che si sarebbe tenuta nel 1942 (a ragione si crede che nessuno nei primi anni del ’30 pensasse ad una Guerra Mondiale), ed in antitesi al premio Cremona, Bottai da vita dapprima al premio Bergamo e successivamente manda in stampa la rivista Primato che diviene uno dei capisaldi della cultura italiana del momento.
Sulle pagine del “Primato. Lettere e arti d’Italia” scrivono le firme italiane più eccellenti, da Nicola Abbagnano a Galvano della Volpe, da Walter Binni a Mario Praz, da Dino Buzzati a Vasco Pratolini, passando per Quasimodo, Montale, Ungaretti, Guttuso ed un giovanissimo Eugenio Scalfari ebbe a dire “su il Primato potevo scrivere liberamente mettendo alle corde Farinacci”.
Un’oasi culturale che dimostra la libertà di pensiero di Giuseppe Bottai ed il suo vano tentativo di riportare il fascismo a quegli albori che erano rimasti nel suo animo rivoluzionario.
Oasi che, attraverso poi l’emanazione di quella che divenne la legislazione per la difesa delle opere d’arte italiane fino alla creazione dell’Istituto Centrale del Restauro, porta alla salvezza di un enorme patrimonio artistico del nostro paese grazie anche alla collaborazione di personalità del calibro di Giulio Caio Argan, in chiave e funzione antinazista concretizzandosi anche sul piano prettamente pratico.

Il libro si conclude con i tragici momenti che portarono al famoso 25 luglio 1943 dove una “dittatura” decreta una successione, una piena antitesi al concetto stesso di dittatura.
Giuseppe Bottai è uno di quelli che votarono a favore dell’Ordine del giorno Grandi e per questo, condannato in contumacia, dai tribunali della Repubblica Sociale, dapprima si rifugia in Vaticano fino a giungere poi sotto il falso nome di Andrea Battaglia a combattere vestendo la divisa della Legione Straniera per la liberazione della Provenza dalle truppe naziste.

Due momenti importanti da sottolineare orchestrati da due ex sindaci della città di Frascati: Roberto Eroli e Stefano Di Tommaso.
Quest’ultimo, attento ricercatore, legge una lettera scritta dal Ministro della Cultura Popolare, Alessandro Paolini, ed indirizzato al ministro dell’Educazione Giuseppe Bottai.

Stefano Di Tommaso con in mano la lettera indirizzata da Alessandro Paolini a Giuseppe Bottai

Roberto Eroli invece esorta Angelo Polimeno Bottai a ricercare, tra i diari del nonno Giuseppe, informazioni che possano fare ulteriore luce sul tragico bombardamento effettuato dagli alleati l’8 settembre 1943 della città di Frascati.

nella foto, da sx, Angelo Polimeno Bottai, Roberto Eroli ed Emanuela Bruni

Una serata che ha riportato i tantissimi presenti nei giorni ancora vivi di quel Ventennio Fascista.

Colpisce, e non poco, la frase dell’ultima di copertina del libro nella quale, Angelo Polimeno Bottai, scrive “Nato pochi mesi dopo la sua morte, Giuseppe Bottai purtroppo non l’ho mai incontrato. Un doppio dispetto del destino: come nipote e come giornalista. In questa seconda veste, tuttavia, posso raccontare chi è stato l’uomo che più di tutti ha rappresentato ragione e coscienza del 25 luglio 1943”.

il direttore de “Il Tuscolo” ed amico Fabio Polli con Angelo Polimeno Bottai

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