Connect with us

Editoriali

Elezioni politiche 2018, cari Italiani non v’affannate: le jeux sont fait

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 4 minuti
image_pdfimage_print

È noto ormai anche ai bambini delle elementari – quelli nei cui libri di scuola si descrivono i migranti come ‘risorse indispensabili’ per la Nazione – che il maggiore sponsor in Italia dell’Unione Europea, fin da tempi che sospetti non erano, è sempre stato Re Giorgio Napolitano, il fautore di un ‘Nuovo Ordine Mondiale’; il presidente emerito che ha inaugurato una nuova figura politica, il ‘richiamato’ alle armi, nonostante avesse più volte dichiarato fuor dai denti che il suo compito era esaurito. Stabilito così un precedente – inconsueto come le dimissioni di Ratzinger da Vicario di Cristo – una nuova stagione si schiuse così ai futuri presidenti della Repubblica italiana, i quali, com’è noto, non possono – o non avrebbero potuto – essere adibiti ad un secondo mandato, come invece succede negli USA. Ma tant’è, contro ogni regola – tanto se le fanno loro, e se non le rispettano tutto rimane in famiglia – l’esausto presidente Napolitano fu ‘ricaricato’, come si fa con gli accendini, e rimesso in campo. Anche se, a dir la verità, esaurita la temporanea bisogna, diede regolari dimissioni. In realtà, il suo compito europeista non era terminato, e tutti lo avevamo capito; anche se di lui non si leggeva più quasi nulla sui giornali. Tenere un profilo basso è sempre una buona soluzione, in certi casi: come in altri.

L’ex presidente della Repubblica Napolitano ha consegnato il premio ISPI a Gentiloni

L’occasione propizia per rivedere il nostro amato ex-presidente si è presentata quando ha consegnato al premier Paolo Gentiloni il premio ISPI, un premio – davvero, bisogna dirlo, poco noto al grosso pubblico – istituito in memoria di Boris Biancheri, diplomatico e scrittore, editorialista de La Stampa, nipote di Tomasi di Lampedusa, e vincitore, fra l’altro, del Premio letterario Grinzane Cavour, scomparso nel 2011. Ai più non è apparsa chiara la motivazione della consegna del premio, ma questo non rileva. L’occasione è stata ghiotta per uno dei soliti sornioni colpi di mano di Napolitano, il quale, con un doppio bacio fraterno immortalato dal fotoreporter di turno, ha definito Paolo Gentiloni “Essenziale per la governabilità. Con lui, l’Italia più influente nel mondo.” E continuando: “Paolo Gentiloni è diventato punto essenziale di riferimento per il futuro prossimo, e non solo nel breve periodo della governabilità e della stabilità politica dell’Italia.” Punto.

Gentiloni e l’investitura in piena regola

Insomma, un’investitura in piena regola, anche prima che siano reperite le urne in cui ognuno di noi andrà a deporre il proprio onesto, doveroso, illusorio contributo ad una democrazia che è tale ormai solo nella fantasia del 1948. L’omelia continua poi con sperticati elogi all’uomo Gentiloni, secondo Napolitano “Coerente, leale, disciplinato – ma a chi obbedisce? – improntato alla libertà e allo spirito di ricerca. Dotato di un’attitudine all’ascolto e al dialogo che diventerà dote decisiva da ministro degli Esteri e poi da Presidente del Consiglio.” E bla, bla, bla. Ricambia Gentiloni con altrettanti apprezzamenti, che elogiano – di Napolitano – il senso delle istituzioni e la sua generosità. “Da ministro degli Esteri e premier, se c’è una cosa che ho visto con chiarezza – ha aggiunto – è a livello internazionale quanto l’autorevolezza di Napolitano sia considerata un asset per l’Italia”. Fra le righe possiamo leggere che, esaurito lo spoglio delle schede elettorali, i cui risultati, a causa dei sondaggi ampi e frequenti, ormai non riservano più sorprese, avremo un PD che secondo le ultime notizie dovrebbe essere attorno al 20%; una coalizione di Centrodestra piuttosto più in alto, e un M5S al terzo, o secondo, posto. Le rimanenze se le dividono ‘cespugli’ più o meno frondosi, tranne Salvini che cespuglio non è, ma piuttosto in crescita. I risultati non sono concordanti, ma ogni società d’indagine dice la sua. Una cosa però è certa, e non da ora, che nessuno dei tre maggiori partiti avrà la maggioranza necessaria per formare un governo autonomamente. Per cui, dato per assunto che Di Maio non farà alleanze, il panorama che ci si presenta è desolante. Verosimilmente, Sergio Mattarella, dopo aver incontrato come d’obbligo tutti e tre i leader di partito, affiderà l’incarico a Gentiloni, il cui inciucio, pardon, accordo con Berlusconi, in nome di quella governabilità che l’UE chiede a gran voce, pena lo spread alle stelle, ha già ricevuto la benedizione, non solo di Napolitano, ma anche quella di Juncker, che, nella sua gaffe freudiana, ha espresso quello che è il timore della UE. Cioè un governo non europeista, che cambi qualcosa rispetto a quello che finora ha regnato, e che è stato accuratamente, a suo tempo, preparato, formato, condotto e protetto al limite della decenza – e qualche volta anche oltre.

Insomma, fatti i conti, non cambierà nulla

Inutili le speranze di chi avrebbe voluto spezzare la dittatura europea delle banche e delle lobby commerciali; inutili le speranze di chi avrebbe voluto più ordine, specialmente nell’immigrazione selvaggia e incontrollata; inutili le speranze di chi avrebbe visto con favore finalmente al loro posto dei ministri competenti e capaci, invece che scelti per lobby politica. Inutili le speranze di chi avrebbe voluto che finalmente l’Italia assumesse una politica più vicina ai cittadini, e recuperasse la sua sovranità storica. Gli occupati a tempo indeterminato sono diminuiti, nonostante gli sforzi per non pubblicizzare la notizia, di 117.000 elementi negli ultimi tempi. Il milione e passa dei ‘nuovi occupati’ appartengono alla categoria dei mordi e fuggi. Più giusto ed equo sarebbe conteggiare lo ore lavorate, piuttosto che i lavoratori. Le aziende scappano – vedi caso emblematico Embraco-Whirlpool, o FCA, ma ce ne sono altre – da un’Italia che pretende di pagare il pareggio di bilancio con un avanzo primario ricavato dalle tasse e dalle riscossioni non sempre chiare dell’Agenzia delle Entrate – ex Iniquitalia. I nostri giovani cercano all’estero soluzioni alla propria vita, almeno i migliori, sostituiti, come auspicato dalla Boldrini, da ‘risorse’ di colore, che troppo spesso vanno ad alimentare l’esercito degli spacciatori. Eccetera eccetera. La spada di Damocle sulla nostra testa sono i titoli di Stato, in mano a chi già li ha manovrati almeno una volta, per avere le dimissioni del governo Berlusconi. Ci auguriamo che le nostre previsioni pessimistiche, proprio perché scontate, non abbiano riscontro nella realtà, tanto da queste si può soltanto migliorare. E mentre i nostri pensionati vanno a godere il sole del Portogallo esentasse, sottraendo al mercato italiano centinaia di milioni di consumo, chi rimane dovrà continuare a sopportare, e ancora molti a rovistare negli avanzi del mercato rionale, a bancarelle chiuse. A meno che non decida di abbandonare le proprie radici e approdare in un altro paradiso per pensionati, ma per pensionati al minimo: la Bulgaria. A quando il Bangladesh?

Roberto Ragone

Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 2 minuti
image_pdfimage_print


Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

Continua a leggere

Editoriali

La linguistica italiana: qual’è l’elemento che si oppone al suo cospetto?

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura 2 minuti
image_pdfimage_print


La lingua italiana nel corso dei secoli ci ha lasciato poemi, trattati, racconti e storie che al giorno d’oggi necessitano di essere interpretati da esperti ( o non ) per poterli conoscere nella loro anima. Pensiamo alla Divina Commedia di Dante Alighieri nella versione volgare dell’italiano … ecco in questo caso per interpretarla dobbiamo “tradurla nell’italiano che si parla oggi”.

Gli studiosi, i docenti possono tradurla, ma chi non è erudito o non possiede le strumentazioni adatte (vocabolari, la conoscenza della storia della lingua italiana etc …) fa sicuramente più fatica a comprenderne il significato.
Tutto quello che la lingua italiana ci ha lasciato necessita di essere analizzato poiché come primo requisito per una giusta comprensione del poema è sapere quando è stato scritto? dove è stato scritto (in quale paese)? che influenze ha subito da parte di altre lingue? quale storia c’è dietro a quel racconto?

Parlare di interpretazione linguistica è banale, si necessità di una vera e propria traduzione, ad esempio dall’italiano volgare del 1200 a quello del 1800.
Ogni epoca ha delle caratteristiche linguistiche in termini diacronici che nessuno può modificare.

Come reca il titolo dell’articolo esiste un elemento che si oppone alla pura lingua italiana (così come la conosciamo oggi): il dialetto.

In molti paesi della nostra penisola il dialetto è conservato e tutt’ora oggi si mantiene vivo. Questo accade sia al nord, al centro che al sud Italia.

L’utilizzo del dialetto, considerato una lingua a tutti gli effetti, è molto in voga in Italia poiché molte persone vogliono mantenere le proprie origini e, non solo, anche la propria unicità/identità. Per tali motivi, assolutamente non banali, la lingua italiana si confronta anche con i vari dialetti.

La dialettofonia rappresenta il suono delle parole di un determinato registro linguistico tipico di una parte della nostra Italia. A volte il solo aspetto fonetico delle parole dialettali ci permette di riconoscere, ad esempio, da quale regione arriva quella tal persona.
Il dialetto “ricalca”, in senso figurato, uno stemma che ciascuno di noi porta nel suo DNA e che non può cancellare. Tuttavia, se una persona non parla il suo dialetto non vuol dire che non gli piaccia o che non sa esprimersi, ma semplicemente possono esserci delle abitudini pregresse che non gli consentono di utilizzare il dialetto.

Solitamente questo è il caso dei giovani d’oggi che preferiscono gli slang ai codici linguistici del proprio dialetto. Una caratteristica sicuramente positiva è mantenere vive le forme dialettali a favore di un loro utilizzo altrettanto diffuso.

Continua a leggere

Editoriali

Un anno senza Silvio Berlusconi

Pubblicato

il

Clicca e condividi l'articolo
Tempo di lettura < 1 minuto
image_pdfimage_print

Era il maggio del 2016, mancavano pochi giorni alla sfida tra Beppe Sala e Stefano Parisi candidati sindaco di Milano.
Io ero un “semplice” candidato nel municipio 8 ove ero residente.
Una serata elettorale come tante io, ovviamente, giacca e cravatta come “protocollo detta”.
Si avvicina un amico e mi fa: vuoi venire a salutare il presidente?
Io tentenno – non lo nascondo, mi vergognavo un po’ – lo seguo entro in una stanza.
Presenti lui, il presidente, Maria Stella Gelmini, il mio amico ed un altro paio di persone.
Presidente lui è Massimiliano Baglioni è uno dei candidati del nostro schieramento, dice il mio amico.
Il presidente mi stringe la mano mi saluta e con un sorriso smagliante mi chiede:
Cosa pensa di me?
Ed io, mai avuti peli sulla lingua, rispondo:
Presidente non mi è particolarmente simpatico, lo ammetto, ma apprezzo in Lei quella Follia che ci unisce in Erasmo da Rotterdam.
Sorride si gira verso la Gelmini e dice:
Mary segna il numero di questo ragazzo, mi piace perché dice ciò che pensa.
Si toglie lo stemma di Forza Italia che aveva sulla giacca e lo appende sulla mia.
Non lo nascondo: sono diventato rosso.

Oggi, ad un anno dalla morte di Silvio Berlusconi riapro il cassetto della mia memoria per ricordare questo italiano che ha fatto della Follia un impero economico, una fede calcistica, una galassia di telecomunicazioni.
Conservo con cura quella spilla simbolo di  un sogno, simbolo di libertà.
Grazie ancora, presidente, ma si ricordi: non mi è, ancora oggi, simpatico.

Continua a leggere

SEGUI SU Facebook

I più letti