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Editoriali

Elezioni 4 marzo 2018, occupazione: il desiderio della “gente comune”

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La campagna elettorale 2018 è al suo zenit mentre si avverte un’aria satura di confusione, di sciatte promesse e di tante figure ciarliere che padroneggiano strade, crocicchi, piazze ed incroci del Belpaese. Un suq che fa venire in mente il coloratissimo e fascinoso mercato di Marrakech con file interminabili di banchi e bancarelle, luogo dove ci si può lasciare incantare dall’infinità di offerte, mercanteggiare con i futuri elettori, estasiarsi, per modo di dire, dall’intensità degli aromi di aria fritta farcita di salsa elettorale d’annata al sapore nauseabondo di merce fumosa e persino stantia.
Il variegato mondo della politica conduce ad un dedalo di stradine utopistiche dove è facile perdersi per riemergere d’improvviso nel suq delle mille e un’offerta. Non c’è scritto da alcuna parte però “Per me si va nella città dolente, ……. nell’eterno dolore” (chissà se l’Alighieri non avesse in mente scene premonitrici dei tempi nostri!)

E’ proprio così, perché oltre il 4 marzo si intravede solo un punto morto, la stasi completa, un tunnel senza luce in fondo

Dopo tanta aria inquinata da sproloqui e promesse parolaie, la gente si è evoluta ed ha imparato a filtrare tutto ciò che gli arriva dagli schermi televisivi e dalle pagine dei giornali. Mentre nel cielo della penisola si addensa una fumosa coltre, portatrice di lanci propagandistici, tesi a carpire il favore di qualche ingenuo, un gruppo di cittadini, all’uscita del supermercato, discute sull’emergenza disoccupazione, che secondo l’ultimo rapporto Istat è stato il risultato peggiore dal 2015. Disoccupazione giovanile al 39% nel primo semestre 2017. Si dice che dopo sia scesa al 32%, anche se ciò sia dovuto al lavoro precario. Questa gente obietta al fatto che fino ad ora si sia parlato genericamente di circa 4 milioni di disoccupati “ufficiali” più altri 2 milioni invisibili, tralasciando, naturalmente, gli inattivi ovverosia gli sfiduciati che non cercano più lavoro, certi di non trovarlo. Innanzitutto, questo gruppo, fuori il supermercato, ribadisce che i vari governi, davanti a siffatto flagello, rimangono indifferenti ed in certi momenti cercano di travisare questi numeri. La gravità, invece sta nel fatto che nessuno sa cosa sia questa massa immensa di forza lavoro “sospesa in un limbo”, vittima di inoperosità, dilettantismo ed improvvisazioni. Nessuno sa quanti sono i meccanici, gli elettricisti, i falegnami, i ragionieri, gli ingegneri, gli amministrativi e gli informatici che cercano lavoro? Se non si sa chi, quanti e cosa si cerca, come si può pianificare? Il dibattito fra questa gente semplice continua ad andare avanti e ne emergono punti molto interessanti, fin’ora trascurati da quelli che dicono di occuparsi di politica nazionale.

Oltre il non essersi mai curati di identificare ed analizzare questa massa informe della disoccupazione, c’è un altro fattore non meno importante da considerare

Il buon senso vuole che per pianificare e distribuire correttamente la forza lavoro disponibile, occorrerebbe disporre di una mappa delle risorse naturali che offre il paese, da manutenere e mettere a disposizione dell’imprenditoria. Il Belpaese offre immense risorse, ad iniziare dalle distese di spiagge, da innumerevoli porti naturali, da una campagna fertile e verdeggiante , siti archeologici, monumenti storici, musei all’aperto, storia e cultura , sole ed acqua da sfruttare per l’energia, tutte risorse da mettere al servizio del ciclo produttivo. L’Italia è stata sempre un serbatoio di arti, mestieri e professioni e la storia ne è testimone. Sono la forza del paese e sottovalutarli sarebbe molto miope da chiunque lo faccia. L’agricoltura con tutto il suo indotto, le piantagioni, i vigneti, uliveti, le grandi estese di agrumi in Sicilia sono altre ricchezze della penisola. Riguardo quest’ultima voce, solo a pensare, fa venire i brividi vedere in quale considerazione sia tenuta questa branca, una continua svendita al primo turista straniero.

Infine da non trascurare le opere dell’ingegno, opere d’arte, opere scientifiche, la farmacologia, l’attività medica e non solo

Quanto discusso davanti al supermercato da gente comune, semplice oggetto di una lunga chiacchierata, dovrebbe invece costituire tema di studio, analisi, progettazione e pianificazione da chi oggi sta in piazza chiedendo il voto. Quei signori ai crocicchi e nelle stradine delle città, mendicando il consenso dei cittadini dovrebbero impegnarsi a conoscere ed identificare chi sono effettivamente i richiedenti lavoro e non ripetere il generico ed ormai logorato ed anonimo “#disoccupazione”. Solo avendo l’inventario completo delle risorse naturali che offre il paese e per contro una classifica dettagliata dei richiedenti lavoro, si potrà parlare di una seria pianificazione.

Quando non bollati come populisti, molto comunemente vengono definiti gente comune

A sentire i ragionamenti che fanno all’uscita dal supermercato, invece, di comune non ci sta proprio niente, se mai di semplicistico e molto “comune” c’è nelle promesse di tutti coloro che non avendo alcuna idea di cosa proporre per la diminuzione della disoccupazione, sono iscritti alla gara del cancellino, un tic contagioso ma non per questo meno meschino. Ad aprire il corteo, marcia Laura Boldrini, che abolirebbe l’Esercito, sostituendolo con la “difesa civile non violenta”. Pietro Grasso segue con affanno, promettendo, se eletto, di abolire le tasse universitarie. Matteo Renzi marciando lentamente promette di abolire l’abbonamento tv che lui medesimo aveva appena fatto mettere nella bolletta della luce. Matteo Salvini corre come un treno portando avanti la sua battaglia di abolire la riforma Fornero, mentre l’alleata Giorgia Meloni condivide con Salvini l’espulsione dei clandestini ed in più aggiunge al programma l’abolizione della protezione umanitaria. Berlusconi pur condividendo certe scelte degli alleati, si distingue promettendo l’abolizione del bollo auto e la cancellazione della tassa prima casa. Se qualcuno pensa che M5s non abbia un programma elettorale, si sbaglia di brutto. Luigi Di Maio solennemente promette di “Abolire 400 leggi già nei primi giorni di governo”. Quel gruppo di cittadini, all’uscita del supermercato che discutono sull’emergenza disoccupazione, rimane un caso isolato perché dalla “gara del cancellino” in atto, fino ad ora, non rimane che lasciare ogni speranza, a voi che sperate.

Emanuel Galea

Cronaca

Aggredito giornalista de “La Stampa”: l’ennesimo attacco alla libertá di stampa

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Parto da un fatto semplice, apparentemente banale, ma che dovrebbe, condizionale d’obbligo, far riflettere tutti: la violenza va condannata senza se e senza ma.
E quando la violenza parte da un presupposto di odio da parte di un gruppo la condanna deve essere fatta ancora con più forza e con più decisione.
E va fatta con ancora più veemenza quando l’aggressione viene rivolta a chi, da sempre, è in prima linea per consentire ad un paese democratico che verità ed informazione possano essere sempre un connubio di libertà: un collega giornalista.
L’ aggressione ai danni di Andrea Joly, giornalista de La Stampa di Torino, è l’ennesima dimostrazione di come l’odio troppo spesso popoli il nostro paese. Dietro di esso si nasconde il tentativo forte di delegittimare una categoria, quella dei giornalisti, da sempre coscienza libera in quanto lettori attenti ed obiettivi della realtà.
Diventa necessaria, quindi, una levata di scudi dell’intera classe politica nazionale per ristabilire un argine di rispetto e di sicurezza che eviti i troppi tentativi di bavaglio che violano il principio, sancito dalla nostra Carta Costituzionale, della libertà di stampa.
Scriveva Thomas Jefferson:
“Quando la stampa è libera e ogni uomo è in grado di leggere, tutto è sicuro”.
Mai parole sono state così attuali.

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Editoriali

19 luglio 1992: un maledetto pomeriggio

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Lo ricordo come allora quel tragico 19 luglio 1992.
Un caldo improponibile, come quello di questi giorni.
Ma era sabato e con gli storici amici del paese l’appuntamento era fisso: “… ci vediamo più tardi al chiosco, verso le 5, e poi decidiamo dove passare pomeriggio e serata …“.
E cosi facemmo!
Arrivammo un po’ alla spicciolata (cellulari, WhatsApp ed altro sarebbero arrivati anni dopo).
Per ultimo, ma non per questo meno importante, uno dei nostri amici, all’epoca cadetto alla scuola sottufficiali dei Carabinieri.
Lo sguardo basso, ferito oserei dire.
Il passo lento, non era il suo solito passo.
Gli occhi lucidi che facevano presagire che qualcosa di grave era successo.
“Hanno ammazzato pure Paolo”, furono le sue uniche indimenticabili parole.
In un momento i nostri sorrisi, la nostra voglia di festeggiare quel sabato si ruppe.
Non erano passati neanche due mesi dell’attentato di Capaci in cui Giovanni Falcone, sua moglie e gli uomini della scorta erano stati ammazzati per ordine della Mafia ed ora anche Paolo Borsellino e la sua scorta erano lì dilaniati dall’ennesimo atto vigliacco di Cosa Nostra.
Giovanni e Paolo incarnavano i sogni di quella nostra generazione pronta a scendere in piazza per dire “NO ALLA MAFIA”.
Una generazione che aveva fatto dell’impegno politico e sociale la propria stella polare.
Quei due uomini seppero farci capire quanto l’impegno dovesse essere sempre animato da uno spirito di sacrificio personale.
Ci fecero capire che per cambiare il mondo il primo impegno era mettersi in gioco.
Quel pomeriggio i nostri sogni di ragazzi che volevano un mondo migliore saltarono in aria come quella maledetta bomba in via d’Amelio.
Ma capimmo, anni dopo, che dalla loro morte sarebbe germogliato quel seme che avrebbe fatto crescere la pianta rigogliosa della legalità.
Oggi a più di 30 anni dalla loro morte tengo in mente due loro pensieri:

Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

L’ importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio ma incoscienza (Giovanni Falcone)
La paura è umana, ma combattetela con il coraggio (Paolo Borsellino)


Ecco paura e coraggio … le loro vite, il loro impegno, il loro sacrificio ci hanno insegnato che possono convivere e farci essere grandi uomini.

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Editoriali

Corsi di recupero per i debiti formativi: dettagli ed efficacia

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Ogni scrutinio di classe è diverso e proprio per questo possono essere decretate promozioni, bocciature o sospensioni di giudizio, nonché i cosiddetti debiti formativi.

In questo articolo non si vuole tanto commentare la decisione di dare 1 o 2 o 3 debiti formativi in una o più discipline, quanto l’efficienza dei corsi formativi che dovrebbero aiutare lo studente, in sospensione di giudizio, a ripassare la materia/e per poi dare l’esame “riparativo” da fine agosto a inizio settembre.

La regola ministeriale sancisce che chi “salda” il debito/i passa all’anno scolastico successivo e chi non lo supera dovrà ripetere l’anno.

Quello che spesso ci si domanda, tra docenti, è quanto l’alunno riesca a comprendere dal corso formativo e quanto sia utile lo studio individuale.

Sicuramente, il corso formativo aiuta l’alunno a ristudiare i punti di fragilità della disciplina in cui ha il debito, ma un buono studio individuale può rendere maggiormente efficace il recupero.

In questo caso, sarebbe necessario avere un’insegnante esterno che possa aiutare lo studente a focalizzarsi sui punti chiave svolti a lezione.

Essenzialmente, per questi motivi sarebbe idoneo:

  • 1. Focalizzare per memorizzare, ma anche per comprendere;
  • 2. Produrre uno schema riassuntivo sugli argomenti che appaiono più fragili da apprendere;
  • 3. Leggere gli schemi e i riassunti ad alta voce;
  • 4. Non darsi un tempo nello studio poiché ogni persona ha i suoi di tempi;
  • 5. Ripetere i concetti chiave più e più volte;
  • 6. Passare ad argomenti successivi;
  • 7. Produrre testi o comprensioni scritte per esercitarsi;
  • 8. Nella fase finale ripassare tutto a scaglioni.

Pertanto, costruirsi uno schema mentale è molto utile sia per l’alunno che per l’insegnante che, caso mai segue, individualmente il ragazzo/a.

Ecco, secondo questa progettualità di recupero, lo studente con debito/i potrebbe arrivare a risultati efficaci e fare “bella figura” davanti alla commissione di recupero. Tuttavia, la proposta vincente è si ai corsi formativi, ma anche un grande si allo studio individuale oppure accompagnato da un docente in rapporto 1/1.

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