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Tivoli, uccisa sulle strisce: preso il pirata della strada
Identificato e arrestato un 26enne grazie alle immagini acquisite da 19 telecamere
Un drammatico caso di omicidio stradale ha scosso la comunità di Tivoli lo scorso 9 settembre, quando Daniela Circelli, imprenditrice e madre di due figli, è stata tragicamente investita e uccisa mentre attraversava la via Tiburtina. Dopo giorni di intense indagini, i carabinieri e la Procura di Tivoli hanno finalmente fatto luce su questo terribile episodio, smantellando l’ipotesi iniziale di una corsa clandestina e rivelando una verità ancora più scioccante.
Il principale sospettato, un cittadino egiziano di 26 anni, è stato arrestato con l’accusa di omicidio stradale, omissione di soccorso e calunnia. L’uomo era alla guida di una Volkswagen Golf quando ha compiuto un sorpasso fatale che è costato la vita a Daniela Circelli.
Le indagini, coordinate dalla Procura di Tivoli, hanno beneficiato dell’acquisizione di immagini da 19 telecamere di sorveglianza disseminate lungo la via Tiburtina. Questi occhi elettronici, insieme a numerosi accertamenti tecnici e testimonianze raccolte, hanno permesso di ricostruire nel dettaglio la dinamica dell’incidente.
Secondo quanto emerso, il 26enne, a bordo della Golf e in compagnia di un amico, procedeva a velocità sostenuta su via Tiburtina. In prossimità delle strisce pedonali, un’auto si era fermata per consentire l’attraversamento di Daniela Circelli. Il giovane egiziano, invece di rallentare, ha effettuato un sorpasso azzardato, complice anche l’asfalto bagnato. L’impatto con la donna è stato violentissimo, tanto da scaraventarla per ben 40 metri.
Dopo l’incidente, il conducente non si è fermato a prestare soccorso, dandosi alla fuga. Un dettaglio cruciale per le indagini è stato il ritrovamento dello stemma frontale della Golf, perso nell’impatto e rinvenuto sul luogo dell’incidente. L’auto è stata localizzata il giorno successivo dai carabinieri.
Ma le azioni del giovane egiziano non si sono limitate alla fuga. Quando i carabinieri lo hanno rintracciato, hanno scoperto che aveva già preparato una borsa, pronto a lasciare il paese. In un disperato tentativo di eludere le proprie responsabilità, ha persino cercato di accusare l’amico che era con lui in auto al momento dell’incidente.
L’analisi meticolosa dei filmati delle telecamere ha permesso agli investigatori di identificare con certezza il 26enne come il conducente dell’auto investitrice. Questi elementi, uniti alle altre prove raccolte, hanno portato il giudice a emettere un’ordinanza di custodia cautelare in carcere.
Il giovane è stato quindi arrestato e trasferito nel carcere di Rebibbia, considerato il concreto pericolo di fuga. Le accuse a suo carico sono gravissime: omicidio stradale, omissione di soccorso e calunnia.
Questa tragedia ha lasciato un vuoto incolmabile nella vita dei due figli di Daniela Circelli e ha scosso profondamente la comunità locale. L’arresto del responsabile, se da un lato non può cancellare il dolore per la perdita di una vita, dall’altro rappresenta un importante passo verso la giustizia.
Il caso solleva ancora una volta l’importanza del rispetto delle norme stradali e della prudenza alla guida. La tecnologia, in questo caso le telecamere di sorveglianza, si è rivelata fondamentale per ricostruire la verità e assicurare alla giustizia il responsabile di un atto così grave.
Mentre la comunità piange la perdita di Daniela Circelli, ci si augura che questa tragedia possa servire da monito per prevenire futuri incidenti e per sottolineare l’importanza della responsabilità alla guida.
Codice Rosso: un’arma spuntata contro la violenza? [SECONDA PARTE]
L’intervista a Rosy Andreacchio vicepresidente del Centro Antiviolenza Margherita di Frascati
Ieri abbiamo pubblicato la prima parte dell’intervista a Rosy Andreacchio, vicepresidente del Centro Antiviolenza Margherita, sezione Castelli Romani, di Frascati. https://www.osservatoreitalia.eu/codice-rosso-unarma-spuntata-contro-la-violenza/
Una analisi lucida sulle difficoltà che vengono incontrate dalle persone vittime di violenza, sia maschili che femminili.
Esiste una legge nazionale, il cosiddetto Codice Rosso, che stando alle prime risposte date dalla vicepresidente del Centro Antiviolenza Margherita di Frascati andrebbe, sempre ricollegandoci alle parole di Rosy Andreacchio, rivalutata ed integrata da alcune correzioni figlie di una esperienza che i Centri Antiviolenza vivono ogni giorno
Passiamo, ora Rosy, ad un altro discorso. Perché stiamo assistendo a situazioni di violenza che sempre più riempiono le pagine di giornali, televisioni, web. Il più “cliccato” in questi giorni è il caso del ragazzo che ha sterminato la propria famiglia. Vado diretto che sta succedendo?
C’è di sicuro una realtà sociale e di immagine che di sicuro è “complice” passami il termine di questa situazione. E poi, brutto da dire, è crollata la rete famigliare. Quella che un tempo era l’ancora di salvezza della nostra generazione, pur sempre con i suoi limiti e difficoltà, oggi è smantellata da una quotidianità sempre più propensa ad isolare ed a isolarsi anche nelle problematiche.
Quindi quel nucleo fondante la società civile, la famiglia appunto, oggi è sempre più assente. Il business a tutti i costi porta i genitori ad allontanarsi dai figli. Giusto?
Un tempo, neanche così lontano, i genitori davano regole ai proprio figli. Oggi li vedi fare con loro i balletti su Tik Tok e sono diventati i figli a dettare regole e tempi ai propri genitori. Oggi un genitore non è più una “autorità” per il proprio figlio ma è divenuto un loro “complice”. Un tempo un genitore indicava la strada da seguire ai propri figli mettendogli di fronte i rischi qualora avessero “deviato” la rotta. Oggi invece, molti genitori, sono i primi a dire ai propri figli di fare quello che vogliono senza porsi minimamente il problema delle conseguenze che tali azioni potrebbero poi generargli.
A tuo avviso questa situazione di mancanza di regole, specie per le nuove generazioni, non corre il rischio di generare una “generazione ancora più violenta” e più abituata a compiere violenza?
Certo che si. In fondo la mancanza di regole, di rispetto reciproco è la prima causa di quelle violenze che purtroppo come Centro Antiviolenza ci troviamo a combattere ogni giorno. E la cosa che preoccupa, te lo ripeto, è la mancanza di una rete di supporto post denuncia che metta nelle condizione la vittima, le vittime, di trovarsi al sicuro ed in una situazione che non generi ulteriori malesseri e problematiche, specie sui minori coinvolti in questi fatti.
Sempre nella telefonata che ha anticipato questa intervista abbiamo parlato di un aumento dei casi di uomini vittime di violenza. Quale è la situazione che tu hai sottomano oggi?
Beh più negativa di quella che vuole apparire. Gli uomini vittime di violenza e spesso di stalking sono ancora più restii a denunciare in quanto già la voce popolare li porta ad essere disprezzati, passami il termine, in quanto è inimmaginabile che un uomo possa trovarsi in queste condizioni. Ed invece vedo spesso ed assai volentieri uomini vessati da donne senza scrupoli che poi arrivano a spogliare di qualsiasi bene, fisico ed economico, i loro ex mariti, compagni, fidanzati generando poi situazioni drammatiche e conflitti ancora più gravi.
Quindi i casi di molti uomini che vivono in auto perché la moglie, la compagna o la convivente l’ha buttato fuori di casa ed ora vive ai limiti delle possibilità è vera e tangibile?
Certo che si ed anche in questi casi non esiste nessun paracadute capace di attutire il colpo ed evitare a questi uomini di sprofondare in un vero e proprio incubo.
Quindi quello a cui assistiamo alle tante immagini che compaiono sui mezzi di informazione è solo una punta di un iceberg e copre sia il mondo maschile che quello femminile.
Ma non solo. Oggi la violenza è violenza senza alcuna distinzione di sesso. Le violenze di genere sono ormai all’ordine del giorno e si assiste sempre di più ad una incapacità di gestirle al meglio.
Vorrei ritornare su un discorso iniziale: tu dicevi che a tuo avviso la prima azione da fare è allontanare il più possibile l’autore della violenza e non sottoporre l’aggredito ad una ulteriore limitazione della propria vita.
SI! Perché se io ho la possibilità di allontanare l’autore delle violenze posso, magari, con più facilità sollecitare la rete famigliare delle vittime ad assisterle e quindi quello che un tempo era il “confino” per determinate situazioni di reato potrebbe essere una delle soluzioni. Un domicilio coatto per gli aggressori perché poi, lasciamelo dire, prova ad immaginare anche i minori che vivono questa situazione “sballottati” in ambiti diversi e lontani dalla loro normalità consolidata magari dell’amichetto o della amichetta di scuola. Si distrugge davvero la rete di supporto sociale ed il “colpevole” o “presunto colpevole” invece vive ed opera, il più delle volte, indisturbato.
Vedo che torni sempre a parlare di un discorso di “rete” di supporto. So di farti una domanda che può presupporre una risposta scontata: è la rete di supporto post denuncia l’arma in più per questo codice rosso?
Certo! Ma deve essere concreta ed immediata. Un supporto economico, fisico, psicologico. Perché la percezione di chi è vittima di violenza e di trovarsi di fronte ad un salto nel vuoto senza alcuna aspettativa di futuro. Prima, nel bene e, soprattutto nel male, le vittime hanno una aspettativa, spesso tragica, ma l’hanno. Qui dopo la denuncia è una battaglia per sentirsi sicuri ed fuori dal pericolo di ripercussioni che di sicuri saranno peggiori delle condizioni vissute prima della denuncia.
Voi nel Centro disponete di una rete?
Certo abbiamo un team di avvocati, psicologi, psicoterapeuti, medici, telefoni attiva h24 che di fronte a richieste di pericoli agiscono immediatamente. Abbiamo la possibilità, come ti dicevo prima, di strutture fuori dai Castelli Romani ma non è così che “proteggiamo” le vittime. Le allontaniamo ancora di più e le rendiamo ancora più vulnerabili e di sicuro meno propense a denunciare i loro aguzzini. E te lo ripeto: tutto questo servizio è gratuito.
Ma i Comuni vi danno una mano, vi aiutano in questa situazione?
Questo è un tasto dolente. Frascati come molti altri comuni ha uno sportello che poi veicola al centro antiviolenza. Basterebbe una maggiore sinergia e di certo questo potrebbe essere un valore aggiunto perché poi alla fine le vittime si sentono “sballottate” da una parte all’altra come un “problema” a cui in pochi vogliono dare soluzione. Nulla di personale contro le amministrazioni, basterebbe un maggiore gioco di squadra fuori da logiche politiche con il solo scopo di fare del bene e fornire una attenzione alle vittime di violenza.
Beh una posizione molto attenta quella che ci stai esponendo e che di sicuro mostra la validità del vostro progetto.
Mi dicevi che un grazie speciale lo dovete a don Franz Vicentini, parroco di Cocciano, che vi ha permesso di avere una stanza nei locali della Parrocchia?
Don Franz è stato subito attento a quando abbiamo proposto questa possibilità perché ha compreso la necessità di fare rete, di dare risposte, di impegnarsi, passami il termine “sporcarsi le mani” su una questione che provoca dolore e, purtroppo, anche morte.
Stai scoperchiando davvero un vaso di Pandora in questa nostra chiacchierata. Ma si legge spesso di “segnali” che precedono i casi di violenza, specie nelle coppie. Quali sono?
Tanti. Dal semplice “quella tua amica non mi piace non ci devi uscire più”, al “dove vai, se esci devi farlo solo con me”. Quello che troppe volte è il primo motivo che scatena le violenze è il senso che si ha di proprietà, o di pensiero di proprietà, delle proprie vittime. Spesso è figlio di problematiche narcisistiche e non solo, di emulazioni che sono generate da una soprastrutture culturale – non ti nascondo che i casi di violenza tra donne magari italiane e uomini non italiani sono tra le maggiori – ma questo non vuole essere, voglio chiarire, una regola, sono di sicuro i casi maggiori e più eclatanti.
Ed in questi casi cosa bisogna fare?
Ovvio denunciare sempre perché il rischio che si corre è quello che poi la situazione possa sfuggire di mano e … meglio neanche pensare alle conseguenze.
Voi al Centro evidenziate alle donne queste difficoltà che possono arrivare in seguito ad una denuncia?
Certo che si. È un obbligo non solo di legge ma anche morale perché comprendiamo bene che potrebbero trovarsi doppiamente isolate e quindi debbono essere ben coscienti che l’azione che vanno a compiere diventa una scelta che porta poi conseguenze in caso di dietrofront. Cosa triste da dire ma bisogna avere il coraggio di dirla.
Rosy, davvero, io non posso che ringraziarti della tua disponibilità e della lucidità con la quale hai messo a nudo, passami il termine, una realtà che sembra lontana dalle nostre vite e poi di fronte alle troppe immagini che ci appaiono sui mezzi di informazione genera in noi lacrime e rabbia. Restiamo sempre disponibili per una “ulteriore chiacchierata” e se me mi permetti possiamo lasciare i contatti del Centro Antiviolenza Margherita, sezione Castelli Romani, di Frascati?
Si: la pagina web è https://centroantiviolenzamargherita.com/, numero di telefono attivo h24 è 3791015359, la nostra email centromargherita2023@gmail.com e ci trovate in via Giuseppe Romita, 1 a Frascati, località Cocciano.
Grazie davvero di cuore e non esitare a contattarci per qualsiasi situazione che vuoi farci conoscere in questo ambito.
È stata davvero un’ora piena di pathos e di groppo in gola. Il nostro “mestiere” ci porta ad affrontare tante situazioni e di certo questa non può e non deve passare inosservata.Il nostro impegno resta quello di essere voce a 360° per tutti coloro che hanno necessità di fare ascoltare la propria voce. Grazie ancora a Rosy Andreacchio ed al Centro Antiviolenza Margherita, sezione Castelli Romani, di Cocciano ed un grazie a don Franz Vicentini ed alla parrocchia di Cocciano.
Lapponia, pubblicato rapporto della Commissione per la verità e la riconciliazione sugli effetti dei cambiamenti climatici sulla cultura Sámi
Privo di virus.www.avast.com |
Tragedia ad Ariccia: operaio della raccolta rifiuti perde la vita
Grave incidente sul lavoro: dinamiche ancora da chiarire, indagini in corso
Morto l’operatore ecologico di 32 anni travolto ad Ariccia dall’autocarro per la raccolta differenziata della carta, mentre lavorava alla raccolta dei rifiuti. Il mezzo si è improvvisamente sfrenato, travolgendo l’uomo e schiacciandolo contro un muro.
L’incidente ha anche causato la rottura di una tubatura del gas, ma un tecnico presente ha immediatamente disattivato l’erogazione, evitando una tragedia. Sul posto sono intervenuti i soccorsi e la polizia locale, che ha avviato le indagini per chiarire la dinamica.
La nota dell’Organizzazione Sindacale Cobas Igiene Ambientale: “È un massacro senza fine quello che è in atto nel settore della Igiene Urbana”
Durissima la reazione con una nota da parte dell’Organizzazione Sindacale Cobas Igiene Ambientale. Da tempo Cobas Igiene Ambientale denuncia senza sosta i moltissimi casi in cui sono coinvolti i lavoratori del settore. “L’incidente ai danni di un nostro collega netturbino che ha poi ha portato alla sua morte, prosegue il comunicato, è l’ennesima controprova che nella Igiene Urbana le attività lavorative, per ciò che concerne la salute e la sicurezza, sono ad alto rischio e che le misure in materia di prevenzione degli infortuni sono assai carenti”.
Abbiamo, dalle pagine del nostro giornale, evidenziato tante volte tali situazioni che presentano, purtroppo, un leitmotiv, un filo rosso, collegato alla poca sicurezza che, stando a quanto dicono le organizzazioni sindacali, parrebbe non attuata dai gestori di tale servizio e il compito delle amministrazioni comunali, gli enti appaltanti appunto, dovrebbe essere, sempre a quanto dicono i sindacati, indirizzato ad un maggiore controllo, ad una maggiore presenza al fianco dei lavoratori.
Situazione questa che viene puntualizzata con enfasi dal testo del comunicato: “La responsabilità diretta di tutto ciò non può non essere delle aziende in appalto, che pur di trarre maggiori profitti abbattono i costi della sicurezza col sostegno legislativo dei peggiori governi nazionali ma anche delle peggiori politiche europee in tema di lavoro e appalti. La responsabilità, tuttavia, è anche degli Enti appaltanti perché hanno il dovere di controllare la regolarità delle attività lavorative in concessione, mentre nella maggior parte dei casi questi controlli non vengono effettuati. Ci adopereremo in ogni sede per fare luce su questa tragica notizie che ci sconvolge come lavoratori e come sindacato al fine di tutelare tutte le persone che lavorano in questo comparto“.
Un tragico epilogo che mette per l’ennesima volta in luce le troppe lacune nel sistema sicurezza nel mondo del lavoro.
“Giunga, chiude la nota stampa, alla famiglia del nostro collega scomparso la nostra vicinanza ed il nostro pensiero”
Codice Rosso: un’arma spuntata contro la violenza? [PRIMA PARTE]
L’intervista a Rosy Andreacchio vicepresidente del Centro Antiviolenza Margherita di Frascati
La violenza occupa sempre di più le pagine di giornali, televisione, web.
La legge 69/2019, nota come Codice Rosso, ha introdotto una serie di strumenti di materie di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere.
A Frascati opera ormai dalla fine del 2023 un Centro Antiviolenza, il Centro Antiviolenza Margherita sezione Castelli Romani, ospitato, grazie al parroco di Cocciano don Franz Vicentini, nei locali della Parrocchia di San Giuseppe Lavoratore.
Abbiamo incontrato Rosy Andreacchio, vicepresidente del Centro Antiviolenza Margherita sezione Castelli Romani al quale abbiamo rivolto alcune domande.
Innanzitutto grazie per la tua disponibilità e grazie per il servizio che gratuitamente riuscite ad offrire a decine di vittime di violenza che spesso trovano porte chiuse di fronte alle loro problematiche.
Io ho l’abitudine di andare dritto alla questione: cosa succede quando una persona, una vittima di violenza viene da te. Quale è il tuo approccio?
Loro si presentano da me al Centro ma sono molto restie, purtroppo, perché sanno che vanno incontro a tutta una serie di situazione che rischiano di trasformarle da vittime in “carnefici” di sé stesse.
Cioè spiegami meglio
Purtroppo, questo tipo di legislazione di legge che abbiamo porta, diciamo, a questo finale in quanto sono tante le donne che subiscono violenza ma solo 1 su 10 che la subisce poi arriva alla denuncia … le altre no e questo perché hanno paura. Hanno paura in quanto restano sole senza alcun aiuto concreto. Non c’è nessuno, o meglio sono pochissimi gli apparati, diciamo sociali, amministrativi, comunali che riescono a stare al fianco delle donne. La loro paura, che poi diventa realtà, è che alla fine tutto gli si ritorca contro, incominciando dagli altri.
Quindi sole durante la violenza, sole dopo la violenza, quindi il rischio diventa questo.
Si!
Quindi, per capire: io mi rivolgo al centro di violenza antiviolenza perché sono sola, trovo sicuramente te operatrice che mi dai una mano, ma poi chi dovrebbe compiere l’azione di blindare la persona non c’è! Giusto?
Sì! Non c’è perché la legge ti blocca. La legge, la norma li si blocca si ferma, cioè nel senso che poi è il Procuratore che gestisce il cosiddetto Codice rosso. È lui che, in quel momento vede, valuta se la donna deve essere messa in sicurezza o deve essere lasciata lì, così, nella sua quotidianità.
Allora, premesso, io non conosco nel dettaglio la norma relativa al cosiddetto codice rosso a differenza di te che operi in tale ambito . Ma su che parametri dovrebbe decidere? Cioè, mi spiego meglio: io allora io vengo da te e ti dico guarda c’è una persona che mi picchia. A questo punto cosa succede? Quindi tu accerti il caso, allerti gli organi di polizia giudiziaria si arriva davanti al giudice e lui decide. Ma su parametri oggettivi o in base alla sua discrezionalità?
Allora al giudice arriva la denuncia che viene fatta presso gli organi di polizia giudiziaria, caserma dei carabinieri, commissariato di pubblica sicurezza. Deve essere improntata in una certa maniera, cioè bisogna mostrare che esiste un pericolo imminente e quando arriva questa denuncia al procuratore, è poi a sua discrezione decidere se “bloccare” l’aggressore con un braccialetto elettronico o far continuare a far vivere l’aggredito nella sua quotidianità. Il fatto è che purtroppo poi subentrano i servizi sociali nel senso che al momento in cui ad esempio una donna con un figlio, dei figli, si trova ad essere vittima di violenza e, come spesso succede, l’aggressore è il marito che è l’unico che porta reddito in casa, si corre anche il rischio di vedere i figli allontanati da una madre perché questa non è in grado, a loro avviso, di sostenerli economicamente e socialmente. E questo, te lo garantisco, genera davvero ancora più paura nelle donne che si vedono, ancora di più, allontanate dai propri affetti vicini. Ed allora di fronte a queste “concrete possibilità”, questi ostacoli decidono di non denunciare più.
Noi prima di incontrarci ci siamo sentiti al telefono e ci siamo detti una cosa: ho letto di casi di donne che si sono trovate nella situazione che tu mi dicevi – figlio tolto perché non era in grado di sostenerlo economicamente. Queste donne si lamentavano del fatto che nelle case famiglie per la gestione dei bambini lo Stato spende circa 50 euro al giorno. Se faccio i cosiddetti “conti della nonna”: 50 euro al giorno per 30 giorni vengono fuori 1500 euro. Tu sei donna, sei mamma, anche nonna mi hai detto … sappiamo bene che una madre con anche la metà, anche un terzo farebbe di suo figlio davvero un principe, o sbaglio?
Sì! Io vorrei cercare di far arrivare la mia voce, come quella degli altri operatori dei centri antiviolenza, sul tavolo di chi ci governa. È stato tolto il reddito di cittadinanza in quanto troppe lacune nella gestione dei controlli ma di fronte a questi fatti non avrebbe senso di provvedere “immediatamente” ad un reddito che possa tamponare le necessità impellenti di queste donne
Quindi tu saresti d’accordo a che il governo possa generare una sorta di “paracadute economico” per gestire queste situazioni proprio in virtù di quello che ci siamo detti cioè evitare l’isolamento in cui rischiano di finire poi le donne?
Certo che si sarebbe uno degli elementi che metterebbe in sicurezza le persone vittime di violenza, ti dico, tra le altre cose, che ci sono anche molti uomini che vivono la stessa situazione. Cioè permetterebbe loro di vivere in una situazione di maggiore tranquillità. E lo dico perché da prima linea vivo costantemente le paure di queste persone vittime di violenza che si trovano davvero alla mercè, oltre che fisica e psicologica, a dovere dipendere, per sopravvivere, dai loro aggressori dal punto di vista economico.
Quindi, se non ho capito male, quando parli di “prima linea” mi stai confermando il mio pensiero: vengono prima da te che dai carabinieri a denunciare le aggressioni?
Certo che si in quanto la difficoltà maggiore che incontrano queste vittime di violenza è strettamente collegata al fatto di sentirsi sole e di non avere alcun appoggio di fronte a queste situazioni e noi abbiamo il dovere di renderle coscienti anche dei rischi che si troverebbero di fronte ad una eventuale denuncia che rischia di isolarla ancora di più.
In che senso, scusami?
Per quello che ci siamo detti fin ora. Io denuncio resto da sola con mio figlio, il mio aggressore è l’unico che lavora … mi spieghi dove va questa donna a vivere e con quali soldi? E se ci aggiungiamo che in queste situazioni vengono allontanate dal contesto violento e messe in sicurezza senza, molte volte, neanche la possibilità di poter uscire mentre, troppe volte, assistiamo agli aggressori che se la spassano tranquillamente in giro. Quindi una protezione che diventa una sorta di “arresto domiciliare” che non fa altro che generare ulteriore disequilibrio per la persona vittima di aggressione che diventa così isolata, spesso anche senza la possibilità di telefonare a quei pochi amici o amiche. Faccio io una domanda a te: tu riusciresti a vivere cosi?
Di certo no, te lo posso assicurare. Quindi questa in apparenza “blindatura” diventa un vero e proprio isolamento mentre il “mostro”, l’aggressore, se la spassa in giro?
Certo ho assistito ed assisto a numerosi casi di questo genere dove la vittima è isolata e l’aggressore se la spassa in totale tranquillità e se ci sono bambini questi finiscono per la loro “sicurezza” in una casa famiglia spesso separati dal genitore vittima di aggressione.
Io faccio un salto indietro perché mi frulla una cosa in testa: tu all’inizio mi hai parlato di “pericolo imminente” all’interno della denuncia ma poi è il giudice che deve decidere se il “pericolo è imminente o meno”?
No, vuole tutte le fotografie, vuole tutte gli audio che devi mettere da parte a testimonianza delle aggressioni. Per cui se una donna, per esempio, non ce l’ha queste queste cose, o magari ha cambiato telefono bisogna predisporre un altro iter che ovviamente allunga ancora di più i tempi di intervento.
Allora, se ho ben capito, è sempre la soggettività di un giudice che decide.
Sì!
Quindi se lui ravvisa che non c’è rischio se ne assume pure la responsabilità?
Si, dovrebbe essere così
Ragionando per ipotesi: la donna o l’uomo vittima di aggressione vengono uccise dall’aggressore la responsabilità, teoricamente, andrebbe in capo al giudice?
In teoria si, ma non lo è! Ed è questo che non riesco a capire: questa norma che, nella visione, dovrebbe garantire non ha strumenti concreti ed immediati per aiutare le vittime di violenza.
Allora provo a girare la domanda. Se tu domani avessi la possibilità, conoscendo, perché le vivi, le necessità ed i bisogni delle vittime di violenza, quali correzioni porteresti al cosiddetto “Codice Rosso”?
Attuare immediatamente un programma di protezione alla vittima, ma lasciandola libera nella sua casa, magari con i suoi figli, aiutandola magari economicamente ed il carnefice deve essere allontanato. Ti dico che, ad esempio, perché a me piace parlare sul dato concreto, io ho donne che stiamo assistendo e l’unico modo è mandarle in delle strutture in Calabria allontanadole dal loro contesto sociale, famigliare che è invece da sempre qui ai Castelli Romani e la loro colpa è essere vittime di violenza. Quindi oltre il danno la beffa di essere allontanate dai loro spazi di vita.
Anche perché, correggimi se sbaglio, in questo modo gli eventuali figli e anche le condizioni psicologiche di queste persone subirebbero ulteriori danni davvero poi non più quantificabili.
Correttissimo perché, sempre per esperienza, si assiste davvero ad uno sfilacciamento anche del rapporto, ad esempio, tra la mamma, vittima di aggressione, con dei figli. Questi poi si sentono davvero isolati con è un padre violento, con tutte le ripercussioni che questo può generare loro, ed una madre lontana che spesso fatica pure nel mantenere con loro dei rapporti genitoriali completi.
Questa è la prima parte dell’intervista rilasciataci da Rosy Andreacchio, vicepresidente del Centro Antiviolenza Margherita, sezione Castelli Romani, di Frascati.
Domani pubblicheremo la seconda parte nella quale verranno evidenziati anche i problemi delle violenze effettuate da minori verso i loro famigliari.
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Macabro ritrovamento a Vignale: Il mistero dei resti di neonati in una villetta di Parma
A Vignale di Traversetolo, Parma, la scoperta dei resti di un neonato e forse di un altro bambino ha sconvolto la tranquilla comunità. I corpi, rinvenuti in un giardino di una villetta abbandonata, hanno portato all’accusa di omicidio e occultamento di cadavere per una ragazza di 22 anni. L’autopsia sul primo neonato ha confermato che il piccolo era nato vivo, ma le cause del decesso restano ignote. Le indagini proseguono sotto il massimo riserbo, con i RIS sul posto e la villetta sotto sequestro.
A dare l’allarme è stato un vicino, e i resti sono stati ritrovati a distanza di un mese l’uno dall’altro. La comunità di Traversetolo, circa 10mila abitanti, è sotto shock, e i dettagli emersi non fanno che aumentare l’angoscia. Il sindaco Simone Dall’Orto ha descritto il quartiere come un’area benestante e tranquilla, dove nessuno si sarebbe aspettato una tragedia del genere.
Gli inquirenti stanno interrogando la giovane e il suo fidanzato, cercando di capire se la ragazza abbia agito da sola o se ci siano stati complici. Il fidanzato, che ha dichiarato di non sapere nulla della gravidanza, ha affermato che la loro relazione si era raffreddata negli ultimi tempi. Un dettaglio significativo è che la giovane era appena tornata da un viaggio in America, postando foto sui social mentre emergevano le notizie sul ritrovamento del cadavere.
La vicenda è ancora avvolta nel mistero, e si attendono ulteriori sviluppi dalle indagini, che potrebbero portare alla scoperta di altri corpi e chiarire le dinamiche di questo oscuro dramma.