Costume e Società
1968: l’inizio dell’era inKulturale
Tempo di lettura 3 minutiOggi il sostegno del Ministero della pubblica Istruzione è indirizzato verso ben altra cultura
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7 anni agoon
Storia di mezzo secolo fa. Altra gente, altri modi di concepire la vita, altra classe politica, un’altra Italia. Qualcuno esalta il progresso, qualcun’altro recrimina il presente, altri sono nostalgici del passato. Non è mai troppo tardi o forse sì? Molti ricordano il programma televisivo curato da Alberto Manzi che nella sua più conosciuta edizione, dal 1960 al 1968, la RAI mandava in onda dal lunedì al venerdì con il sostegno del Ministero della pubblica istruzione. Stiamo parlando d’altri tempi quando si faceva veramente Cultura. Si insegnava agli analfabeti a leggere ed a scrivere. Si avvicinava tanta gente, giovani ed anziani alla letteratura.
Oggi il sostegno del Ministero della pubblica Istruzione è indirizzato verso ben altra cultura. Venne il ’68 e segnò l’era dell’inkultura, aprendo la via all’anticonformismo. Fu allora che la cultura conobbe l’inizio del suo tracollo. Con il fiorire di nuovi talk show, dove il gossip dell’irrazionale e del pettegolezzo è all’ordine del giorno, il paese scivola mortificato verso un domani insicuro. E’ stato instaurato il principio di “uno vale uno e tutto è relativo”. Tutto è importante e niente è necessario.
Una generazione si nutre di conoscenza “copia incolla”. Mentre l’intelligenza artificiale avanza a passi da gigante, quella umana si impigrisce, si addormenta, si atrofizza.
Sta nascendo una generazione che si nutre di informazione e cultura mass mediatica preconfezionata, abbandonando i libri, gli studi analitici, la storia, l’arte, la letteratura classica ed i temi main stream contemplano tutto meno che temi poetici. Generazione tesa verso una cultura prêt-à-porter di facile riferimento offrendo il minimo dispendio intellettivo. Cultura usa e getta, vuoto a perdere, quel che basta per soddisfare il momento dell’interrogazione, della prova scritta.
L’attuale ministro dell’educazione, – Valeria Fedeli – sta considerando di mettere a disposizione degli studenti l’uso dello smartphone. Il ministro probabilmente crede che ciò possa essere una cosa intelligente; considerando che secondo il pensiero dominante “uno vale uno”, il ministro Fedeli potrebbe venire perdonata. E’ l’autostrada dell’inkultura che sta conducendo intere generazioni a un domani di sicuro insuccesso. Nella sua prima classifica mondiale delle scuole perfette, l’Istituto di ricerca inglese The Economist Intelligence Unit colloca l’Italia al 25imo posto nella graduatoria. Ciò, però sembra non impensierire il sottosegretario al Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Il sottosegretario, al contrario, si preoccupa di promuovere programmi di educazione al rispetto di genere in tutte le scuole di ogni ordine e grado e raccomanda al Miur l’impegno per raggiungere tali risultati. Gli fa eco il ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Valeria Fedeli che in cima al suo pensiero c’è l’educazione alla differenza ed al rispetto dei due sessi, se poi tutti e due i generi, come studenti si collocano al venticinquesimo posto della classifica della scuola perfetta, poco importa.
Le reti televisive, con rara eccezione di qualcuna, sposano il pensiero del ministro, del sottosegretario e ahinoi, di alte cariche delle istituzioni e più che mai la voce di qualche alto prelato. Se ben si scava ci si accorge che la preparazione culturale di costoro è figlia dell’inkultura sessantottina.
L’insensatezza del 6 politico, istituito negli anni ’70, segnava l’inizio della decadenza del livello scolastico perché fu una vera follia garantire a tutti un voto minimo, indipendentemente dallo studio, dai risultati e dal rendimento. Fu allora considerata dai movimenti studenteschi di estrema sinistra una vittoria. Oggi si stanno raccogliendo i frutti bacati di quella “vittoria di Pirro”.
Sul Corriere della Sera dello scorso 31 maggio, lo scrittore Galli della Loggia ha pubblicato un brano tratto dall’introduzione del suo nuovo libro “Il tramonto di una nazione”.
Concludo condividendo la riflessione dello scrittore dove parla degli italiani: “Che vedono ogni giorno scomparire luoghi e figure fino a ieri familiari, svanire principi e istituti, e insieme le più varie appartenenze ideali perdere senso, illanguidirsi e spegnersi. Nel mondo che cambia a un ritmo vertiginoso l’Italia appare avviarsi a un lento tramonto”.
Non è mai troppo tardi, insegnava Alberto Manzi. Le reti televisive sono le finestre della nazione. Spalanchiamole e lasciamo che entri una ventata di aria nuova.
Emanuel Galea
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